Zio Vanja di Anton Cechov: la trama e il significato

Il 26 ottobre del 1899 Anton Čechov fa rappresentare al Teatro d’arte di Mosca Zio Vanja. Assieme a Il gabbiano è considerato uno dei drammi più importanti dello scrittore di Taganrog, in quanto rappresentazione di una realtà familiare intrisa di odio e di rancori inespressi.

Trama

In una tenuta immersa nella campagna vive il signor Ivan Vojnickij detto “Zio Vanja“, il quale manda avanti da anni un’azienda agricola con l’aiuto della nipote Sonja. La tranquillità della loro vita è turbata dall’arrivo dell’anziano Serebrjiakov, un illustre professore che da poco ha sposato la giovane Elena Andreevna.

Vanja disprezza profondamente il professore: essendo suo cognato (la prima volta si era sposato con la sorella di Vanja, deceduta) ha dovuto sempre sottostare al suo servizio e mentre lui si dedicava agli studi accademici, Vanja ha dovuto provvedere a sostenerlo economicamente lavorando nell’azienda. Come se non bastasse, Vanja nota come Elena stia buttando via la sua giovinezza nel stare accanto ad un uomo anziano e non perde occasione di mostrare il suo debole per lei.

Nella tenuta giunge anche Astrov, un medico di campagna. Cinico e disilluso, il dottore si trova lì per prendersi cura del signor Serebrjiakov e anche lui non perde occasione di mostrare il suo interesse per la giovane Elena. Sonja, la nipote di Vanja, è segretamente innamorata di Astrov ma non viene ricambiata.

Un giorno il vecchio professore ha un annuncio da fare alla famiglia. Poiché la situazione finanziaria non è delle migliori, ha preso la decisione di vendere la tenuta e con i soldi guadagnati di affitare una villa in Finlandia per lui ed Elena. Vanja non ci vede più dalla collera: rinfaccia al professore il fatto che ha lavorato un’intera vita per lui, che ha rinunciato a vivere la sua giovinezza e a realizzare i suoi desideri per aiutarlo economicamente e ora decide di gettarlo in mezzo ad una strada per vendere la casa che si è guadagnato con tanti sacrifici.  La situazione collassa quando Vanja tira fuori una pistola e cerca di sparare al professore, mancandolo. Elena è sconvolta da quello che ha visto e decide che il giorno seguente lei e il professore se ne andranno.

Depresso e disperato, Vanja ruba una fialetta di morfina dalla borsa del dottor Astrov e questi, aiutato anche da Sonja, lo convince a non suicidarsi. Il dramma finisce con Vanja e Sonja che lavorano su un libro contabile, con la ragazza che tenta di consolare lo zio.

Zio Vanja. Il dramma dell’apatia e del rimpianto

Zio Vanja
Una rappresentazione di  Zio Vanja  a teatro

Una delle cose che si nota di più è il fatto che Zio Vanja sia un dramma basato su un vero e proprio meccanismo di inerzia. Non è un’opera giocata sul movimento e sull’azione, ma sulla staticità di personaggi cinici, rassegnati e colmi di desideri che non potranno mai più concretizzare. L’ingombrante presenza del professore sembra gettare sui personaggi un alone di mollezza, un’opprimente ombra di insoddisfazione che si attacca alla pelle.

Il primo a sentire tale peso è naturalmente Vanja. Si è detto di come questi abbia avuto la sfortuna di avere a che fare con un cognato egocentrico e pomposo, che ha frequentato i più raffinati salotti culturali e per permettersi ciò lo ha spremuto di ogni energia fisica ed economica, condannandolo a sottostare nel limbo dell’azienda agricola.

VANJA: Da cinquant’anni parliamo parliamo, e leggiamo opuscoli. È ora di finirla.

MARJA (1): […] Scusa Jean, ma in quest’ultimo anno sei tanto cambiato, che non ti riconosco più. Eri un uomo di fermi principi, una persona luminosa, eri un faro!

VANJA: Oh sì! Un faro! Un faro che non illuminava nessuno! Io un faro! che atroce ironia! Ho quarantasette anni […] mi sono tappato gli occhi con tutte queste sue ideologie, per non vedere la realtà della vita! E pensavo che questa fosse la cosa da fare! Mentre adesso lo sa che non dormo la notte, dalla rabbia, dall’angoscia! Per avere così stupidamente lasciato passare il tempo in cui avrei potuto avere tutto quello che adesso non posso più avere perché sono vecchio!

Se “Zio Vanja” ha sprecato i suoi tempi migliori perché costretto, non si può dire lo stesso della giovane moglie del professore: Elena. Questa ha accettato di sposare un uomo facoltoso forse perché attratta dalla ricchezza e dal prestigio di lui. Ma poi inizia a pentirsi di questa scelta, notando come sia intollerabile il matrimonio con un uomo così insopportabile.

SEREBRJAKOV: […] Tu sei giovane, sana, bella, hai voglia di vivere, e io sono vecchio, quasi un cadavere. Che, non ti capisco? E certo, è stupido che io sia ancora vivo. Ma aspettate, presto vi libero tutti. Non ne ho ancora per molto da trascinarmi così.

ELENA: Sono esausta, non ne posso più. Basta, ti prego!

SEREBRJAKOV: Sempre così: grazie a me tutti sono esausti, tutti si annoiano, perdono la loro giovinezza, e io solo mi godo la vita e mi diverto. Eh già, naturale!

ELENA: Basta! È una tortura!

SEREBRJAKOV: Certo, io torturo tutti! Naturale.

ELENA (fra le lacrime): Non ne posso più! Dimmi, che vuoi da me?

SEREBRJAKOV: Niente.

ELENA: Allora taci, ti supplico!

[…]

Nel dramma si delineano allora due tipi diversi di giovinezza. Una giovinezza perduta, che contraddistingue il povero Vanja e lo costringe a vivere per sempre nel rimpianto e a cui si oppone una giovinezza sprecata, che è invece incarnata dalla giovane Elena e che la porta a non approfittare del fiore dell’età per cambiare le cose.

Il dramma dei desideri inespressi

Zio Vanja
Locandina di Zio Vanja, lungometraggio diretto da Andrei Konchalovsky

A proposito del suo teatro, Anton Čechov scriveva questo:

Il pubblico vuole che ci siano l’eroe, l’eroina, grandi effetti scenici. Ma nella vita ben raramente ci si spara, ci si impicca, si fanno dichiarazioni d’amore. E ben raramente si dicono cose intelligenti. Per lo più si mangia, si beve, si bighellona, si dicono sciocchezze. Ecco che cosa bisogna far vedere in scena.

In effetti, sono tutte parole che si riflettono perfettamente in Zio Vanja. Infatti i personaggi vivono in una cappa di noia dalla quale non sembrano intenzionati a fuggire. Vorrebbero fare qualcosa per reagire alla propria insoddisfazione e in alcuni momenti sembrano anche riuscirci, ma poi ritornano al punto di partenza. Questo discorso vale per il medico Astrov, che tenta di sedurre Elena, ma anche per la stessa Sonja innamorata di Astrov. Nulla è destinato a cambiare.

Zio Vanja si può allora definire il dramma delle occasioni mancate, della rinuncia a cogliere l’opportunità di cogliere le occasioni per cambiare la propria vita. Eppure, sembra che la speranza di un qualcosa di migliore non sia assente del tutto: lo dimostrano le parole di Sonja, rimasta a lavorare accanto allo zio:

Zio Vanja, vivremo. Vivremo una lunga, lunga fila di giorni, di lente serate: sopporteremo pazientemente le prove che il destino ci mandera; […] e quando arriverà anche per noi la nostra ora, moriremo umilmente, e di là, oltre la tomba, diremo che abbiamo sofferto, che abbiamo pianto, che la sorte è stata amara per noi, e Dio avrà pietà di noi, e io e te zio, caro zio, vedremo una vita luminosa, bella, incantevole, conosceremo la gioia, e guarderemo alle nostre disgrazie di oggi con tenerezza, con un sorriso … e riposeremo! […]

Ciro Gianluigi Barbato

Note

(1) Si tratta della madre di Vanja

Bibliografia

Anton Čechov – Teatro (Il gabbiano – Zio Vanja – Tre sorelle – Il giardino dei ciliegi) – Oscar Mondadori