La gatta Cenerentola: capolavoro teatrale

Una storia senza tempo, dall’anima intrisa di napoletanità, dai colori ed i costumi caldi come calda è l’anima della Napoli portata in scena. Si parla de La gatta Cenerentola di Roberto De Simone, opera teatrale del 1976, messa in scena per la prima volta al Festival dei Due Mondi, Spoleto. Ispirata a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile contaminato ad altri elementi di tradizione locale dei secoli successivi.

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La gatta Cenerentola: favola del mondo

L’opera teatrale è focalizzata sulla figura di Cenerentola, una povera giovane donna vestita di stracci, maltrattata dalla matrigna e dalle sue sei figlie. La sua figura è altamente interessante in quanto rivestita di un valore allegorico che vede in lei il potere del popolo, ma anche i soprusi che questo costantemente deve subire dai potenti, dai “prufessure” per citare Eduardo.

Infatti proprio il prologo, recitato dal capocomico a inizio dell’opera, è ironicamente e coloritamente dedicato a “Ogni letterato ‘struito” e a tutti coloro che “se credono ca ogni èvera è bbona pe’ la ‘nzalata senza sape’ addistinguere la lattuca nuvella da ll’èvera ca serve p’annettarse lu culo”. Da subito si nota che l’intera opera è scritta in dialetto napoletano e riprende molto lo stile dello stesso Basile: la lingua è tipicamente popolare e di conseguenza ricorrono frammenti di quotidianità fatti di proverbi, termini prosaici e addirittura osceni.

La gatta Cenerentola matriglia
Non tutto è però preso in prestito dall’opera di Basile, il quale ha articolato il proprio lavoro secondo uno schema ciclico: Lo cunto de li cunti è anche detto Pentamerone (notevole la ripresa del Boccaccio) dove si presentano cinquanta fiabe raccontate in cinque giorni da dieci donne che fungono da novellatrici, la novella iniziale coincide con quella finale creando così la struttura circolare e ciclica di cui sopra, presente sì all’interno de La gatta Cenerentola ma senza la convivenza di tutte le storie. Il De Simone inoltre si rifà solo alla sesta fiaba, alla quale comunque appone qualche piccola modifica.

La messa in scena di questa storia, degli inciuci delle capere, dei furibondi litigi tra lavannare e dell’ostinazione di una mamma che a tutti costi vuole far apparire la propria figlia è magistrale, nulla a che vedere con la Cenerentola Disney e con i suoi topini parlanti il cui ruolo in questa opera è svolto dal monaciello, mentre in Basile da una pianta magica (regalo del padre di Zezzolla) ripresa anche in De Simone. Interessante è la tematica dell’alternarsi del motivo notte-giorno-notte che scandisce schematicamente il sottofondo della rappresentazione e riprende il motivo della circolarità (infatti l’inizio del melodramma è inaugurato da un canto lungo ed intenso: “Jesce sole”) assumendo sempre e comunque un valore allegorico spesso ricercato nella letteratura.

La gatta Cenerentola lavandaie
La tradizione Napoletana non emerge solo dalla presenza di figure tipiche e topiche come il monaciello, la capera, la lavannara ma anche dalla presenza delle canzoni popolari che raccontano scene tipiche e motivi ricorrenti nell’immaginario napoletano. La gatta Cenerentola racconta la realtà con gli strumenti del lavoro, allontanandosi da tutti coloro che ragionano con il vocabolario in mano, che tettano di muse da mamma (e a tal proposito Giordano Bruno nel suo Candelaio avrebbe molto da dire) racconta attraverso gli occhi e le mani del popolo la storia della Napoli bassa, povera e volgare che infondo non è così diversa da Parigi, Venezia e tutte le altre città europee proprio come sostiene Giordano Bruno nel suo Cena de le Ceneri.

Corinne Cocca