Per Scuola siciliana s’intende una delle tre correnti poetiche che dominarono lo scenario letterario italiano del XIII secolo. Chi si prodigò affinché fiorisse e prosperasse fu l’imperatore Federico II di Svevia, un uomo a sua volta molto colto che parlava addirittura sei lingue. E la sua idea di regno si reggeva sul concetto di pacificazione, mettendo al primo posto il tanto sospirato otium litteratum tanto in voga presso i romani.
La scuola siciliana: dalla Provenza alla Sicilia di Federico II
Da oltre un secolo la Sicilia era meta di forti migrazioni da parte dei trovatori italiani settentrionali, i quali avevano avuto modo di confrontarsi con i colleghi provenzali, e assorbirne quindi lo stile e la poetica. Federico II di Svevia, intellettualmente molto curioso e vivace, aveva colto la palla al balzo per rielaborare l’esperienza francese e adattarla alle esigenze della sua corte.
Si può parlare, a questo punto, di un modo di fare cultura piuttosto costruito, dal momento che furono soprattutto i funzionari regi a prendersi la briga di comporre versi, sotto la stretta sorveglianza dello stesso sovrano, intervallandoli ai propri doveri amministrativi. Tecnicamente lo scopo principale della scuola siciliana era quello di dare lustro alla corte di Federico II.
Il poeta più largamente conosciuto, legato agli ambienti siciliani, fu Giacomo da Lentini, da Dante ricordato anche come il Notaro in riferimento alla sua professione di notaio. Il suoi componimenti sono i più antichi e a lui è stato attribuito l’invenzione del sonetto, la forma metrica che tanto ebbe successo nella poesia successiva.
L’amore e il feudalesimo
Se da un lato il tema fondamentale delle poesie dei siciliani è ancora l’amore, dall’ altro è possibile individuare un margine di differenza rispetto ai provenzali. Il rapporto amoroso tra dama e cavaliere è concepito soprattutto da un punto di vista sociale; esso deve ricalcare il sistema del feudalesimo. Ciò significa che l’uomo deve rendere omaggio e servizio alla donna amata, ed esserle quindi fedele, così come farebbe un qualunque vassallo col suo signore.
Un’interpretazione di questo genere dell’amore cortese ha ridimensionato il concetto stesso di amore, spogliandolo di tutti quei tratti estremamente drammatici così preziosi per i provenzali. Il rapporto tra uomo e donna appare adesso più concreto nella misura in cui sono concrete le situazioni in cui entrambi vengono a contatto; a sparire è di fatto l’ambientazione favoleggiante usata dai poeti francesi.
La modalità con cui si manifesta l’amore è altrettanto nuova, e la famosissima poesia di Giacomo da Lentini, Amore è un desio che vien da core, ci può venire in aiuto:
Amor è un desio che ven da core
Per abbondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.
Già dai primi versi appare chiaro che l’amore è un sentimento che si manifesta attraverso la vista della donna per passare solo in un secondo momento nel cuore. È nello sguardo, dunque, che scatta la scintilla amorosa, ma è il cuore che letteralmente nutre e sostiene questo sentimento. Il concetto del vedere d’amore si traduce in poesia, da un punto di vista stilistico, nell’ utilizzo di molte metafore.
Questioni di lingua
È ben noto che il latino era a quel tempo non soltanto la lingua dei giuristi, ma anche quella della letteratura cosiddetta aulica, in contrapposizione al volgare popolare. La scuola siciliana ha avuto il merito di utilizzare proprio il dialetto locale e di evolverlo a lingua di cultura. Stiamo parlando di una lingua ancora impregnata di forti latinismi e di fatto pulita da eventuali intercalari stilisticamente bassi, ma l’idea in sé di dare una chance al dialetto era assolutamente all’avanguardia, e venne ripresa dalla produzione poetica successiva, di cui Dante è l’esempio lampante.
Roberta Fabozzi