I valori cavallereschi medievali spiegati da Marc Bloch

La cerimonia di “adoubement” (addobbamento), con cui un uomo veniva ufficialmente nominato cavaliere, è una delle tematiche approfondite da Marc Bloch, il più illustre medievista di ogni tempo. Ne “La società feudale , la più famosa opera sul feudalesimo, egli analizza la nascita della nobiltà e, in stretta connessione con essa, la nascita della cavalleria. I valori cavallereschi sono in parte sopravvissuti al corso dei secoli, influenzando ancora oggi la società moderna, ma nacquero per ragioni propagandistiche: vediamo come nascono la nobiltà cavalleresca e i relativi ideali.

Una vita all’insegna della guerra

Fino al XI secolo non esisteva una classe nobiliare ben definita, e la parola latina “nobilis” non equivaleva al significato moderno della parola nobile.[1]

Ciò che caratterizzava il nobile era la sua vocazione: suo compito era consacrare la sua vita alla guerra. Il nobile, in prima istanza, era un guerriero professionale, e caratterizzato da un armamento completo: lancia e spada, elmo, scudo e armatura; inoltre combatteva a cavallo. Non era quest’ultimo solamente a “fare” il cavaliere, ma l’unione di armamento completo e cavallo. Nel corso dei secoli l’armamento si era perfezionato sempre di più, diventando, al contempo, più costoso e più difficile da maneggiare: per tale ragione solo chi disponeva di ingenti somme di denaro, o era un uomo fedele di un ricco, poteva munirsi dell’equipaggiamento necessario.[2]

La nascita della nobiltà cavalleresca

valori cavallereschi medievali
Cerimonia di adoubement

Nella seconda metà del secolo XI compare la cerimonia atta a “fare un cavaliere”, vale a dire la sopraccitata cerimonia di adoubement. Essa fu il frutto dell’autoconsapevolezza acquisit adagli ambienti cavallereschi della distanza che vigeva fra loro e la massa non armata. I cavalieri ritennero quindi necessario inventarsi un rito per ufficializzare l’ingresso nella cavalleria, che divenne, a questo punto, un corpo elitario di combattenti.[3]

La guerra era per il cavaliere un modo per combattere la noia. La vita di un nobile nel Medioevo era fortemente monotona. A questo si deve l’emergere di distrazioni che potevano avere luogo anche lontano dalla terra natia: non pochi cavalieri intraprendevano spedizioni militari in luoghi lontani o, addirittura, partecipavano alle Crociate per svagarsi.[4]

Le distrazioni nobiliari erano, quindi, improntate da uno spirito guerriero: i cavalieri non avevano nulla dello stile di vita degli agricoltori. Prima di tutto la caccia, che non costituiva un semplice sport, ma uno dei modi con cui procacciarsi il cibo, soprattutto in un’epoca in cui la cacciagione aveva un posto importantissimo nell’alimentazione, specialmente dei ricchi. Quindi i tornei, nati nel Pieno medioevo, che avevano sia una funzione ludica sia di addestramento delle truppe.[5]

Questo stile di vita cozzava fortemente con i dettami cristiani. La Chiesa romana disprezzava fortemente il carattere bellico della classe nobiliare in formazione e i cavalieri erano spesso protagonisti di saccheggi e razzie.

I valori cavallereschi: la cortesia e l’amor cortese

Questo comportamento incontrollabile da parte della nobiltà cavalleresca trovò ad un certo punto la sua fine. Tale classe, dai contorni ben definiti grazie al loro genere di vita unico, oltre che al loro ruolo nella gerarchia sociale, si diede un particolare codice di vita, per distinguersi ulteriormente dalle altre classi. L’insieme delle componenti che formano tale codice è designato col nome di “cortesia”, da “corte”.[6]

I valori cavallereschi di stampo cortese furono influenzati pesantemente dalla religione cristiana, che così potè addolcire i costumi cavallereschi. Furono messi l’accento sulla liberalità, sulla ricerca della gloria, sul disprezzo del riposo, della sofferenza e della morte. I compiti del cavaliere devono essere conformi al messaggio cristiano: difendere la Chiesa contro i pagani, proteggere le vedove, gli orfani, i poveri, combattere i malvagi. La Chiesa romana legittimava così l’ordine cavalleresco attraverso l’attribuzione di un compito ideale.[8]

Così la nobiltà cavalleresca acquisì le sue caratteristiche che la distinguevano visibilmente dalle altre classi: al suo compito primigenio, quello di combattere, si aggiungeva così il rispetto della morale cristiana. Ciò è reso manifesto dalla letteratura epica medievale: i protagonisti delle Chanson de geste, insieme a quelli del ciclo arturiano, sono i prototipi del cavaliere perfetto, quindi contemporaneamente abili combattenti e valenti cristiani.

Sebbene una classe cavalleresca, per ovvie ragioni, non esista più nell’età contemporanea, i valori cavallereschi diffusi dalla relativa letteratura, come la lealtà, il coraggio, la difesa dei più deboli, e l’amor cortese, continuano a far sentire viva la loro influenza nel giorno d’oggi.

Davide Esposito

Note

  • [1] Bloch., M., La società feudale, pag. 326
  • [2] Ibid., pag. 330-332
  • [3] Ibid., pag. 354-35
  • [4] Ibid., pag. 333-339
  • [5] Ibid., pag. 343-346
  • [6] Ibid., pag. 346-353
  • [7] Ibid., pag. 359-362