“Ten” dei Pearl Jam, un capolavoro del grunge

Ten, dei Pearl Jam è il primo album in studio del gruppo di Seattle, pubblicato il 27 agosto del 1991. Il nome lo si deve al numero di maglia del giocatore di pallacanestro Mookie Blaylock. Tra i 500 migliori album secondo la rivista Rolling Stone, ha decretato il successo di uno dei gruppi più famosi al mondo e l’affermarsi del movimento grunge e del rock alternativo.

Pearl Jam: Un’introduzione

Ten Pearl Jam

La band che cambiò la storia del rock'n'roll

I Pearl Jam esordiscono nella capitale del
grunge Seattle, in particolare Jeff Ament e Stone Gossard nel 1984. Tra le fila dei pionieri Green River assieme a Mark Arm e Steve Turner dei futuri Mudhoney, ed in seguito con il gruppo meteora Mother Love Bone del compianto Andrew Wood.

In seguito alla morte prematura di Wood i due si uniscono a Mike Mc CreadyChris Cornell e Matt Cameron (Soundgarden) nel progetto Temple Of The Dog, pubblicando un solo album omonimo dedicato appunto al leader scomparso dei Mother Love Bone, piccola gemma pre-grunge a cui parteciperà anche Eddie Vedder, benzinaio di San Diego con un sogno nel cassetto: Diventare un cantante.

Nel ’91 i Pearl Jam stabilizzano l’organico con l’entrata del batterista Dave Krusen, e licenziano un anno dopo per la Epic l’esordio Ten che li catapulta ai vertici del Rock mondiale.

Al successo di Ten  dei Pearl Jam seguono Vs. (1993) e Vitalogy (1994), quest’ultimo caratterizzato da atmosfere più introspettive ed oscure, ed apre la combutta del gruppo con la Ticketmaster e tutto il mondo mainstream portandolo ad abolire ogni tipologia pubblicitaria e promozionale, senza però subire alcun calo di notorietà ed anzi alimentando la forte ascesa del gruppo.

Nel 1995 i quattro collaborano assieme al loro padre putativo Neil Young alla realizzazione di Mirrorball.

No Code viene pubblicato nel ’96 e sancisce un decisivo cambio di rotta, spostandosi dal rock classico degli esordi verso sonorità maggiormente sperimentali e garage.

Nel 1998 pubblicano Yield, netto ritorno alle vecchie sonorità, seguito dall’incerto ed altalenante Binaural del 2000. Durante la tappa del Binaural Tour al festival di Roskilde, la tragedia della morte di nove fans schiacciati e soffocati dalla folla durante l’esibizione del gruppo, segnò un periodo di forte crisi portandolo sull’orlo dello scioglimento ed alla decisione di non suonare più in Europa e di evitare i concerti con grandi platee.

Nel 2002 i Pearl Jam pubblicano Riot Act, un album a tratti oscuro e fortemente politicizzato contro il governo Bush.

L’album omonimo viene pubblicato nel 2006 e sancisce il ritorno dei Pearl Jam nel vecchio continente in un tour che toccherà anche l’Italia per ben 5 date.

È infine del 2009 la pubblicazione di Backspacer, ottavo album in studio della band.

Contesto storico

Ten Pearl Jam

Nel settembre 1990, mentre lavorava come benzinaio a San Diego, l’ex frontman dei Bad Radio, Eddie Vedder, ascoltò per la prima volta i demo strumentali realizzati da Stone Gossard, Mike McCready, Jeff Ament e dal batterista Matt Cameron (ottenne il nastro dell’ex batterista dei Red Hot Chili Peppers ,Jack Irons).

La storia dei Pearl Jam da lontano, nel 1984, quando il bassista Jeff Ament e il cantante Mark Arm formano i Green River, uno dei gruppi che più hanno influenzato il Seattle sound negli anni 80. A loro si aggiunge, l’anno seguente, il chitarrista Stone Gossard.

Dopo alcune esperienze musicali poco impegnative, Ament e Gossard, insieme al chitarrista Mike McCready (da poco conosciuto) e a Matt Cameron (il batterista dei Soundgarden), incidono un nastro contenente il materiale che di lì a poco sarebbe diventato la musica dei Pearl Jam. Nel frattempo Dave Krusen rimpiazza Cameron alla batteria e il demo finisce nelle mani di Jack Irons, ex drummer dei Red Hot Chili Peppers, il quale lo consegna a Eddie Vedder, un amico che lavora presso una pompa di benzina a San Diego e ama trascorrere il tempo libero facendo surf e cantando nei Bad Radio, una piccola band locale.

Inizialmente la band decide di chiamarsi Mookie Blaylock, omaggio a un famoso giocatore di basket, ma quasi subito il nome si trasforma in Pearl Jam, in riferimento a una particolare marmellata allucinogena che la nonna di Vedder (Pearl, appunto) preparava con il peyote per il marito indiano, secondo i canoni e la tradizione dei popoli precolombiani. Il titolo dell’album – Ten – intende mantenere un legame con il primo nome del gruppo, essendo 10 il numero di maglia con cui giocava Blaylock nei New Jersey Mets.

Le Tematiche del disco

“Ten ” dei Pearl Jam è un album che tratta di tematiche importanti come: depressione, suicidio, solitudine e questioni sociali, le composizioni strumentali, a cui Vedder aveva aggiunto le parole, che compongono la gran parte dei brani dll’ album.
Il disco produsse singoli di successo, come “Alive”, “Even Flow” e “Jeremy”.
È stato inserito al 209° posto della lista dei 500 migliori album secondo la rivista Rolling Stone, mentre il video di “Jeremy” fu premiato con l’Mtv Video Music Award come video dell’anno nel 1993.
“Ten” affronta anche il problema dei senzatetto, degli ospedali psichiatrici e, sebbene i testi siano cupi, il disco è considerato l’apripista del rock alternativo negli anni ’90.

Smells Like Teen Spirit la canzone più famosa della bandIl Successo Di Ten

Ten Pearl Jam

Ten  il disco d’esordio dei Pearl Jam, dalla sua uscita rimase in classifica per oltre due anni, divenendo uno degli album più venduti nella storia del rock, con dodici dischi di platino e un disco di diamante nel 2013 dopo aver superato i 10 milioni di copie vendute negli Usa.

A Natale del 1991 ebbe inizio il particolare rapporto della band con i propri fan, con la nascita del “Ten Club” e l’invio, ogni anno ai membri del club, di un singolo in vinile con due canzoni inedite.

Il successo ottenuto, nonostante alcune critiche da parte della stampa musicale dell’epoca, decretò l’inizio della carriera di una band destinata a cambiare il panorama musicale e a influenzare ancora oggi i gruppi rock contemporanei.

Di seguito, vi riportiamo le canzoni che compongono Ten, primo album dei Pearl Jam, pubblicato nel 1991. Ecco i brani:

1 – Once
2 – Even Flow
3 – Alive
4 – Why Go
5 – Black
6 – Jeremy
7 – Oceans
8 – Porch
9 – Garden
10 – Deep
11 – Release

Once

 “Ten” dei Pearl Jam contiene “Once” come primo brano dell’ album.

Saliamo in auto, assieme alla band, per questa scorribanda intitolata Once (Un Tempo), somigliante a una danza tribale che velocemente prende piede tra le strade di una città americana. Batteria e basso si insinuano sottopelle e nel cervello fino a stordire l’ascoltatore, poi Vedder esordisce quasi sussurrando, ammettendo l’esistenza dei demoni che popolano e tormentano la sua mente.

McCready e Ament tessono una trama famelica, che tutto divora, nel più bell’esempio di selvaggio e robusto hard rock, condendo il tutto con uno splendido assolo e con una possente rullata da parte di Krusen.

Even Flow

Le chitarre di McCready e di Gossard duellano creando un vortice metallico, arrugginito e letale, in grado di infettare e avvelenare gli ascoltatori. Una specie di flusso funky rock che travolge ogni cosa, e così Even Flow (Flusso Costante) si delinea col suo robusto corpo musicale, i toni possenti e l’amara melodia che echeggia nella mente di un pover’uomo, afflitto dal male dell’esistenza.

Alive

Alive (Vivo) è in qualche modo legata a “Once”, perché tratta dello stesso ragazzo diventato un folle omicida, tradito da sua madre, deluso dai suoi affetti. Scritta da Vedder prima di unirsi alla band, racconta di un giovane che scopre che l’uomo che lo ha cresciuto non è il suo vero padre.

Il riff iniziale è annichilente, dona al pezzo un suono nero come la pece, quasi apocalittico, poi interviene la voce di Vedder a declamare la prima strofa, che trasforma il brano in uno splendido affresco rock n roll che rievoca il sound e l’attitudine di un certo Neil Young. “Figliolo, ha detto lei, ho una storiella per te: colui che credevi tuo padre non era nient’altro che uno qualunque.

Why Go

Why Go (Perché Andare) nasce da una riflessione pirandelliana: “Anche la pazzia è forma di normalità”, e così la band americana si scaglia contro la superficialità dei medici di questi istituti e criticano i terribili metodi praticati per la riabilitazione.

Ament è in grande spolvero, così Krusen, davvero terremotante, tanto che si ha la sensazione di ascoltare un pezzo sleaze metal, anche se il retrogusto funky torna in auge non appena arriva la prima strofa.

Tra distorsioni e ritmiche danzerecce, Eddie ci parla di una povera sgraziata condannata alla reclusione all’interno di un manicomio.

Black

La solitudine di una vittima reclusa all’interno di un manicomio viene trasferita nella danza notturna di Black (Nero), fenomenale e cremosa ballata che spezza cuori e frantuma sentimenti.

Risulta incredibile l’intuizione chitarristica di McCready, che con la sua chitarra si dimena in un fraseggio malinconico che avanza lentamente a partire dallo splendido ritornello, un capolavoro di melodia e di scrittura, tanto per ribadire la geniale penna di Vedder.

Nella voce rotta di Eddie emerge il senso di dolore, un dolore che viene reso alla grande dalle asce e dal basso, che si fanno largo indicando a tutti gli ascoltatori il sentiero della solitudine.

Jeremy

Si apre come una cantilena acustica, Jeremy, dai toni morbosi e sinistri che raccontano una macabra vicenda realmente accaduta: il suicidio di un giovane liceale davanti ai suoi compagni di classe. Jeremy era un ragazzo solo, che faceva fatica a interagire con i suoi coetanei e a instaurare un rapporto sereno con i genitori.

Non appena Vedder lesse l’articolo di giornale che riportava la notizia buttò giù il testo. Il dramma viene musicato alla perfezione dalla band attraverso un suono nevrotico, le corde di chitarra sempre tese, come i nervi del ragazzo, la voce sporca di Eddie, il basso che sembra rimbombare nell’aula dove avvenne il fatto.

Oceans

“Mi aggrappo al filo, le correnti mi trascinano e mi conducono da te. Tu sai che qualcosa è rimasto e che a tutti noi è concesso di sognare la prossima volta che ci toccheremo” canta Eddie Vedder, sovrastando i dolci arpeggi di McCready che assomigliano a onde del mare, liquide e spumose.

Scritta insieme al chitarrista Gossard, questa canzone è un caso unico all’interno del disco, definito dai musicisti come un momento strano e affascinante, quasi un intermezzo sperimentale, di altissima intensità, che ha permesso ai Pearl Jam di esplorare territori differenti.

L’arrangiamento iniziare era diverso, molto più sporco, molto più grunge, ma nelle ultime sessioni McCready ha preferito spogliare il brano della sua veste rock per trasformarlo in una perla delicata e sognante.

Si parla di amore, un amore astratto e puro, limpido come il mare, e non è un caso se ad ispirare le liriche sia stata la passione per il surf da parte di Vedder, che ne ha pensato le prime battute mentre era sulla sua tavola, intento a cavalcare le onde dell’oceano.

Porch

Questo è l’unico pezzo arrangiato da Vedder da solo, registrato in un giorno soltanto poche settimane prima di attuare il missaggio definitivo dell’album.
Anche in questo caso le liriche riflettono sul significato di amore, come spiega il vocalist in varie esibizioni live. Forse è il pezzo di “Ten” che riesce a trasmettere meglio la foga sonora del grunge, con i suoi contenuti sporchi e le sferzate metalliche.
 L’intensa parentesi strumentale, con basso e chitarre in prima linea, esterna l’abisso profondo dell’amore. “La vita è breve, se amate qualcuno, diteglielo” è solito recitare Eddie per introdurre questo ottimo brano dall’indole punk.

Garden

Emozioni profonde e intime che prendono forma anche nell’introspettiva Garden (Giardino), sublime perla che odora di morte.

Si dice che tale pezzo sia stato ispirato dal proclama del presidente Bush Senior quando dichiarò guerra in medioriente, e che Vedder fosse in casa, davanti la tv e insieme a Gossard e l’amico Chriss Cornell, quando ascoltò le parole dell’uomo più importante del mondo.

Voce profonda, lamentosa, come una nenia oscura che culla le anime dei defunti. Gli strumenti si stendono come un tappeto funebre, entrando sotto pelle: la chitarra è pungente, il basso muscoloso, la batteria quasi annichilita di fronte all’ennesima disfatta moderna.

Deep

Deep (Profondo) è appunto profondità infinita, dai suoni grassi e abissali, ricamati su una serie di fraseggi ondulati che rievocano l’immagine di altissime onde oceaniche, nelle quali annegare e fluttuare.

I nervi si fanno tesi, il brano si contamina con un sostrato mistico, voci che si rincorrono, versi di Vedder al microfono, una leggera psichedelia che invade gli spazi.

Il tempo si fa sospeso, sempre più astratto, il drumming è cauto, le chitarre addormentate, resta solo la voce.

Release

Innocenza perduta, che è anche catarsi, sublimazione massima di un amore perduto, quando il riff cosmico di Stone Gossard battezza la conclusiva Release (Riuscita), emozionale inno d’amore, dedica al padre, il vero padre di Eddie, morto quando lui era ancora adolescente e che non ha mai conosciuto.

Ma la canzone riporta in vita anche il ricordo di Andrew Wood, vocalist dei Mother Love Bone, band nella quale Ament e Gossard suonavano, e perciò lega ogni singolo musicista alla stessa sorte. “È un canto universale, un inno ai ricordi delle persone perdute”, la definisce così l’autore, che in quasi dieci minuti esterna tutto il suo dolore.

Conclusioni

Ten” dei Pearl Jam esce nel momento perfetto, quando la scena di Seattle conquista i cuori dei giovani ascoltatori e il mondo musicale è in piena trasformazione, creando una frattura profonda con la tradizione.

Spinto dalla major Epic Records, il primo album dei Pearl Jam non si impone subito in classifica, ma decolla lentamente, mese dopo mese, riuscendo soltanto quasi dopo un anno a raggiungere un successo inimmaginabile e definendo nuove coordinate stilistiche.

Hard rock che affonda le radici negli anni 70, rock alternativo, cenni di psichedelia e brevi scorrazzate punk, “Ten” è un mix letale che seduce tutti quanti con i repentini cambi di tempo, i lisergici riff di chitarra e lo schizzato drumming di Dave Krusen, quest’ultimo costretto a lasciare poco prima dell’uscita dell’album a causa dell’alcolismo che lo attanaglia in una morsa ossessiva. E proprio la schiavitù dell’alcool e l’esigenza di auto-distruzione sembra comandare il suo stile, nevrotico e imprevedibile.

La copertina di “Ten” è iconica, la foto della band al completo, su sfondo rosa, mentre si dà il cinque, che stringe una sorta di patto, segno di amicizia profonda tra i singoli membri e che sottolinea una visione coesa dei traguardi da raggiungere.

I Pearl Jam cantano di un mondo disperato, nella più classica tradizione Grunge, ma al contempo se ne distaccano, rivelando un’indole differente dal resto della scena e che risale alla mitologia del grande rock, dai Led Zeppelin agli U2, dai Neil Young agli Stooges, e forse proprio per questo motivo sono gli unici a sopravvivere agli anni 90, mantenendo un successo strepitoso che li porta a diventare una delle più popolari rock band del pianeta.

Livia Rachele Gambardella

Bibliografia

Ten Pearl Jam

Pearl Jam Evolution: in D. Moretti e L. Villa, prefazione di Gianni Sibilla

Livia Gambardella