Il Bunraku, noto a molti anche come Jōruri, è una delle quattro principali rappresentazioni teatrali in Giappone. Esso si distingue dai più noti Nō e Kabuki per la totale assenza di attori fisici sul palco principale. Il teatro delle marionette giapponese ha radici molto antiche, in questo articolo parleremo dalla sua storia e dello sviluppo nel tempo.
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Nonostante le rappresentazioni teatrali vere e proprie siano riconosciute soltanto in epoca Tokugawa (1603-1868), l’utilizzo dei burattini è in realtà molto più anteriore. Vi sono infatti delle testimonianze risalenti all’epoca Heian (794-1185) che vedono dei monaci ciechi utilizzare le marionette come forma di intrattenimento.
Molto probabilmente, però, il teatro delle marionette così come lo conosciamo oggi, affonda le sue radici nel periodo Muromachi. Infatti è proprio durante il XIV secolo che in Giappone si crede nel Jōruri, nome del paradiso di Yakushi Nyorai, una divinità buddhista sulla quale circolavano moltissime storie affascinanti. Fu proprio la pubblicazione di queste in un’unica versione nel Jōruri Jūnidan Zoshi a conferire il nome arcaico a questo teatro, modificato poi nel tempo con l’appellativo di Bunraku.
Il termine Bunraku, è utilizzato a partire dal 1920 ed è il risultato dell’unione dei due kanji 文楽: 文 letto bun, significa arte, figura; 楽 letto raku, significa musica, conforto. In sintesi lo tradurremmo come ‘l’arte della musica’ appellativo molto evocativo dato che sarà proprio la musica la matrice principale di tale rappresentazione teatrale. Esso viene utilizzato in onore di Uemura Bunraku Ken, un uomo grazie al quale il Bunraku è portato in auge a partire dal 1700, periodo travagliato per il teatro propriamente detto a causa di alcuni veti pronunciati dal governo centrale. Tendenzialmente, fu sempre lui a stabilire ad Ōsaka la sede centrale del Bunraku.
Potremmo dividere la storia del Bunraku in tre fasi principali, collocando questa forma artistica in tre zone distinte:
Come qualsivoglia forma teatrale, il Bunraku vanta degli elementi che lo scindono dalle vicine arti del Nō e del Kabuki.
L’elemento principale, come abbiamo potuto ben capire, è il burattino. In giapponese si utilizza la parola 人形 ningyo, che vuol dire letteralmente ‘dalla forma umana’ ed è adoperata oggi per indicare bambole di ogni genere. Al tempo, tale termine venne designato per sottolineare proprio le fattezze umane dei burattini i cui volti venivano intagliati e dipinti proprio per essere quanto più fedeli possibili alle emozioni dei vivi. Di fatti la composizione del burattino subì un enorme mutamento con il progredire delle tre fasi precedentemente menzionate.
Durante la prima fase, ovvero quella della nascita, i burattini sono realizzati in creta e sono sprovvisti di gambe, sono molto piccoli e presentano esclusivamente gli elementi essenziali utili alla scena. Essi venivano manovrati da un solo burattinaio.
Durante la seconda fase, ovvero quella dell’elaborazione, il legno sostituisce la creta. I burattini divengono più complessi, i personaggi maschili sono spesso muniti di gambe e quelli femminili di sopracciglia mobili. Il fulcro principale è la testa: essa è una cavità vuota contenete tutti gli ingranaggi che servono al movimento che, in questa fase, viene adoperato da almeno due burattinai. La testa, insieme ai costumi e ai capelli, rappresentano le due parti mobili del burattino che si contrappongono a quelle fisse di braccia e gambe.
Durante l’ultima fase, quella dell’epoca d’oro, abbiamo invece burattini incredibilmente dettagliati la cui altezza ammonta almeno a 120 cm. Cominciano ad esserci personaggi fissi, riconosciuti dal pubblico grazie alla capigliatura e ai costumi tipici. Durante questa fase possiamo denotare una maggiore elaborazione nelle mani dei burattini. Esse diventano pensili, quindi in grado di mantenere oggetti di vario tipo. Verso la fine di questo periodo, viene introdotta la sella per il burattino maschio facendo delle gambe (diversamente dall’epoca anteriore) una parte mobile della struttura. I manovratori diventano tre e si espongono al pubblico come artisti veri e propri.
I burattinai esistevano già in epoca Heian, ma il loro non era né un mestiere riconosciuto né un lavoro vero e proprio. Essi venivano chiamati Kugutsu Mawashi, appellativo con il quale si definiscono gli artisti di strada. Venivano considerati dei veri e propri fuoricasta in quanto sprovvisti di dimore fisse. Al tempo di Heian, ove la corte e il suo sfarzo venivano ben declamati nei monogatari e nei nikki, era assolutamente oltraggioso che elementi del genere facessero parte della società.
Dunque, possiamo appurare che l’appellativo affibbiatogli fosse estremamente dispregiativo e ne troviamo la conferma nel fatto che Kugutsu Mawashi fosse un termine utilizzato per delineare le figura della prostituta. Tendenzialmente, la maggior parte delle persone in questi gruppi mitiganti erano donne che spesso e volentieri donavano il loro amore a uomini aristocratici per racimolare qualche soldo.
È solo dopo che la corte ebbe riconosciuto il bunraku come arte vera e propria che i burattinai presero il nome di 人形使い ningyōzukai, letteralmente ‘colui che utilizza i burattini’.
Sebbene venissero considerati fuoricasta, tutti i ningyōzukai che decidevano di affermarsi come artisti, dovevano attraversare un lungo addestramento. Questo durava dai 10 ai 30 anni, dipendentemente dalla parte del burattino che si intendeva manovrare. Ogni parte del burattino presentava una sua difficoltà, per questo i piedi, braccio sinistro, braccio destro e testa richiedevano almeno un decennio di pratica per essere padroneggiati con assoluta naturalezza. Potrebbe sembrare un tempo incredibilmente lungo, ma in realtà non è così. Se si assiste ad uno spettacolo di Bunraku la prima cosa che salterà all’occhio sarà la fluidità dei movimenti dei burattini, che si spostano sul palco come veri e propri esseri umani.
Inizialmente, i burattinai erano nascosti dal pubblico. Durante la prima fase del bunraku, infatti, questi manovravano i ningyō con dei fili. Quando il legno diverrà poi l’elemento di composizione principale e i burattini cominceranno ad evolversi, nel 1705 i ningyōzukai si presenteranno sul palco. Attenzione, però: non ruberanno mai la scena ai protagonisti veri e propri!
Infatti il loro abbigliamento caratteristico consisteva in tuniche nere che presentavano dei veli utili a coprire il volto del manovratore che portava anche dei calzini particolari chiamati butai geta importanti per far scivolare i piedi sul palco in modo uniforme e fluido.
Nel 1734 si registra per la prima volta la necessità di manovrare il burattino con 3 manovratori al posto di uno singolo. Tale sistema prende il nome di 三人使い sanninzukai. I tre burattinai vengono divisi a seconda di quale parte manovrano:
Altro elemento fondamentale per il bunraku è il copione. Sappiamo che, convenzionalmente, agli albori del bunraku, questo non aveva alcuna valenza letteraria. Molto probabilmente perché si tratta di un testo che potremmo definire ibrido per molteplici motivazioni.
La bellezza ed efficacia del testo risiedono completamente nella voce del declamatore, altro elemento fondamentale del bunraku, il quale dona la voce e tutti i personaggi. Sul copione che viene a lui dato, non vi è una suddivisione di battute, il che rende il testo ancora più ostico da leggere per qualcuno che non ha familiarità con il genere. Spesso i declamatori non si limitano solo ed esclusivamente a dare voce ai personaggi, infatti non è raro che descrivano una scena nella sua totalità, oppure che aggiungano commenti personali. Quindi appuriamo che il testo non rientra completamente né nel campo teatrale, né in quello letterario.
Fino al 1686 i testi di bunraku rientrano nel genere Ko-Joruri (vecchio joruri) e hanno elementi congruenti ai kana-zoshi, termine con cui si designano i racconti scritti in alfabeto. Questi esordivano spesso con ‘c’era una volta’, ‘adesso vi racconto una storia’. Sarà solo con la comparsa del drammaturgo Chikamatsu Mozaemon e la messa in scena nel 1686 della sua Shusse Kagekiyo, che il copione sarà considerato un testo teatrale vero e proprio.
Altra personalità fondamentale è quella del declamatore che, come già introdotto precedentemente, ha il compito di donare la voce ai personaggi che sono in scena. In giapponese si delinea questa figura con l’appellativo di tayū, termine utilizzato per riferirsi anche alle cortigiane particolarmente abili e, dunque, molto lusinghiero.
Nella prima fase del bunraku, come i burattinai, erano considerati fuoricasta. Essi si impegnavano a divulgare gesta epiche per via orale servendosi di uno strumento musicale chiamato biwa. Questo aspetto è fondamentale per la comprensione del passaggio da artista di strada a artista di bunraku. Infatti, solo con il passaggio allo shamisen si avrà questa fattispecie di scalata sociale.
I declamatori avevano bisogno di un severo addestramento per definirsi tali. Il loro apprendistato cominciava già in tenera età, in modo da elasticizzare le corde vocali quanto più possibile in vista di una futura carriera. Essi, infatti, praticavano molto degli esercizi a freddo, in modo da potenziare la voce. Ciò risulta molto importante in quanto, come abbiamo già precedentemente accennato, il declamatore interpretava sia personaggi maschili che personaggi femminili.
Con il tempo si sviluppano due scuole principali:
Essa potrebbe definirsi la matrice vera e propria della nascita del bunraku. Inizialmente, le arti catalizzate nel teatro della marionette erano separate e singole, tranne nel caso dei cantastorie. Questi univano l’arte del declamatore con quella del musico, dividendosi solo in secondo momento. Caratteristico delle esibizioni dei cantastorie era l’utilizzo del biwa, un liuto piriforme che produceva un suono abbastanza grave. Esso accompagnava la narrazione degli episodi caratteristici dello Heike Monogatari.
Lo shamisen, altro strumento a corda si presenta similmente al biwa, ma produce un suono molto più penetrante ed acuto, inoltre la sua struttura è più sottile ed allungata. Esso sarà lo strumento utilizzato dai musici del bunraku. Introdotto in Giappone nel 1570 circa, verrà ritenuto più adatto all’atmosfera teatrale e riscuoterà un enorme successo.
Il ruolo della musica è quello di scandire le scene e di creare un ambiente consono alle battute recitate dal declamatore. Inizialmente, musici e declamatori formavano un duo definito chobo. La coordinazione e l’intesa dei due è fondamentale per la riuscita delle rappresentazioni.
è peculiare. Rispetto al palco del Nō esso è sopraelevato, così da nascondere gli arti inferiori dei burattinai. Tempestato di corridoi che sonano profondità alla scena, si disloca su tre livelli:
Dunque può capitare che i manovratori debbano porsi su tre livelli diversi di profondità. Per quanto riguarda la scenografia, essa è composta di pannelli di legno dipinti nello stile del Kabuki. Essi figurano per la maggior parte paesaggi e sono fissi. Gli oggetti di scena, invece, sono proporzionati ai burattini e cambiano a seconda della trama della rappresentazione.
Il lungo addestramento a cui vanno incontro i burattinai, prevede l’insegnamento di alcuni tipi di movimento tipici dei burattini. Tendenziamlente se ne riconoscono almeno quattro tipici del bunraku:
Chikamatsu Mozaemon, padre dei drammaturghi, definì il bunraku ‘un certo qualcosa compreso nel più sottile margine fra reale ed irreale’. E forse la sua è la definizione che più calza a questa arte teatrale. La maestria dei burattinai, le peculiarità dei burattini, i musici e i declamatori fanno del bunraku uno dei generi tatrali più belli ed eleganti della storia giapponese. Tematicamente più vasto del Nō e visivamente più elegante del Kabuki, catalizza in sé lo spirito del Bel Giappone.
Fonti:
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