La Geisha e la differenza con la cortigiana giapponese

Quando si pensa alla cultura giapponese, la geisha è una delle prime figure che appaiono immediatamente nella mente di un occidentale. A causa di scarse traduzioni e incomplete informazioni, si tende spesso a fraintendere il vero significato della geisha e soprattutto quale ruolo occupava nella società giapponese. In questo articolo cercheremo di capire chi è una geisha e soprattutto quali sono le differenze tra questa figura e quella della cortigiana giapponese.

Chi è una geisha?

In giapponese geisha si scrive 芸者: il primo kanji significa “arte” e il secondo indica la “persona”. In questo senso, diventa chiaro l’indizio che le parole vogliono suggerire. Il ruolo della geisha era quello di intrattenere artisticamente il pubblico, attraverso esibizioni di canto, danza o tramite l’utilizzo di strumenti musicali per l’esecuzione di armoniose melodie.

Inizialmente, infatti, erano delle vere e proprie artiste che agivano nelle strade, ma non solo le donne anche gli uomini rientravano in questa categoria. La parola geisha indica l’armonia che esiste tra l’essere umano e l’arte, unione che vive nell’animo dell’artista. In seguito, questo termine è stato utilizzato per categorizzare soltanto donne capaci di intrattenere con le proprie doti il pubblico interessato.

Quando nasce la figura della geisha?

Non si può stabilire un momento preciso in cui sancire la nascita della geisha, ma possiamo risalire ad un periodo in cui questa figura ebbe particolare rilevanza. Innanzitutto bisogna brevemente menzionare il contesto sociale in cui agisce una geisha, così da capire in modo più semplice ed efficace il suo ruolo.

Ci troviamo nel periodo Edo (dal nome della capitale, l’attuale Tokyo) che va dal XVII al XIX secolo. In questo momento il Giappone era governato della famiglia Tokugawa, la quale sembrava avere principalmente un obiettivo: detenere il controllo di ogni individuo giapponese e, di conseguenza, dell’intero territorio. Inoltre, viene utilizzato il termine sakoku per indicare lo stato in cui il Giappone si trovava a partire dal 1641, uno stato di totale chiusura interna, ma anche verso i paesi esteri. Da quel momento nessuna persona poteva entrare o uscire dal Giappone, ogni movimento era controllato dallo shogun (governatore militare).

I quartieri di piacere

In questo contesto sociale, nemmeno la prostituzione era tollerata. O meglio, non era tollerata la prostituzione non controllata. Ecco perché nascono i quartieri di piacere, in cui le cortigiane giapponesi erano la principale attrazione. Chiunque desiderasse vivere un momento di distacco dalla frenesia della vita quotidiana, sapeva dove andare. Inoltre la loro struttura era particolare, con un solo punto di ingresso che corrispondeva all’unica via di uscita (così da avere un controllo su clienti e “collaboratrici” che vivevano il quartiere).

Intorno ai quartieri di piacere nascono moltissime storie che permeano la letteratura giapponese. Di solito, i protagonisti vivono un amore impossibile, non ricambiato o addirittura praticano il doppio suicidio d’amore, il cosiddetto shinjū. Questa pratica veniva scelta dai due amanti nel momento in cui non trovavano un modo per vivere il loro amore a pieno: l’unica soluzione era il suicidio, doppio perché in primo luogo l’uomo uccideva la donna e in seguito metteva fine alla sua stessa esistenza (ricordate quindi di diffidare dai superstiti).

Le geisha non rientrano all’interno della gerarchia e dell’organizzazione dei quartieri di piacere poiché, come abbiamo già visto, erano delle artiste senza legami con padroni o maitresse. Questi ultimi, invece, ricevevano soldi dalle cortigiane sulle quali esercitavano il loro potere. Soltanto più tardi ritroviamo anche alcune geisha che scelgono indipendentemente di prostituirsi, ma la loro origine non ha nulla a che vedere con tale pratica.

Chi è la cortigiana giapponese?

La cortigiana giapponese era la principale attrazinoe all’interno dei quartieri di piacere. I clienti fondamentalmente erano coloro che potevano permettersi il lusso di frequentare questi luoghi e a seconda delle proprie disponibilità economiche, usufruivano di diversi servizi. Infatti, esisteva una gerarchia tra le cortigiane giapponesi, da quelle più ambite e costose a quelle meno colte e più economiche. Di seguito, vediamo i principali ruoli che potevano occupare.

Al primo posto nella gerarchia c’erano le Tayu, donne bravissime in tutte le arti, molto acculturate e potevano addirittura scegliere di rifiutare un cliente. Seguivano le Tenjin, donne colte tanto quanto le Tayu, ma il loro compito era quello di stare nelle vetrine, attirare i clienti, in più il loro onorario non era molto alto. L’ultimo posto era occupato da Sancha e Umecha, donne che si concedevano per pochi soldi ed erano meno acculturate delle precedenti (se non del tutto). Per essere una perfetta cortigiana giapponese esisteva anche un percorso di pratica in cui le apprendiste, fin dalla giovane età, imparavano le arti per diventare donne affascinanti e raffinate.

Differenze rilevanti tra la geisha e la cortigiana giapponese

Se una geisha diventava tale per scelta personale, anche la cortigiana giapponese poteva scegliere in prima persona di svolgere questa attività. Non era soltanto un obbligo da parte dei genitori in seguito a condizioni di povertà familiare, ma il più delle volte era un’alternativa al matrimonio. Le donne passavano da essere oggetto di proprietà del loro padre a oggetto di proprietà del loro marito (e quest’ultimo non doveva per forza corrispondere all’amore della propria vita).

Un’altra differenza già citata sopra, è basata sulla libertà da legami economici. Mentre le geisha non pagavano tributi a possibili maitresse, le cortigiane giapponesi dovevano consegnare i soldi ai loro genitori oppure alla padrona del quartiere di piacere. Questo debito era inestinguibile, così le cortigiane giapponesi erano costrette a passare il resto della loro vita in una condizione del tutto precaria. Si poteva decidere di abbandonare tutto e riformare totalmente lo stile di vita (dandosi alla mondanità oppure avvicinarsi ad una realtà monacale). L’ultima chance era quella di sperare in un cliente importante capace di pagare il debito.

In fin dei conti si può notare come la donna poteva semplicemente scegliere tra opzioni varie che le venivano offerte. Essere geisha ed essere cortigiana erano modi differenti attraverso cui le donne esprimevano sé stesse, adeguandosi al ruolo che la società “imponeva” loro. Probabilmente erano convinte di vivere in modo libero ciò che in realtà era diventata un’abitudine e che la mente ormai aveva interiorizzato.

Miriam Verzellino

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