L’eterotrofia è la strada che hanno intrapreso le piante carnivore. Scopriamo perché Darwin in persona le definì “una meraviglia della natura”!
La maggioranza delle piante è costituita da organismi autotrofi, ovvero forme di vita in grado di sintetizzare i composti organici di cui necessitano a partire da nutrienti inorganici che assimilano dall’ambiente.
Tra gli elementi naturali, l’azoto è quello di cui le piante necessitano in maggiore quantità. Esso è infatti di fondamentale importanza, poiché entra a far parte di acidi nucleici, proteine, clorofilla, ATP, ormoni ed altre molecole ancora.
Per rifornirsi di azoto le piante ricorrono a diverse strategie. La più frequente consiste nell’assorbimento dal suolo di ammonio oppure nitrato, forme che verranno poi organicate. Altre piante stabiliscono simbiosi con particolari microorganismi azoto-fissatori.
La strategia più curiosa è quella adottata dalle cosiddette piante carnivore.
Le piante carnivore: eterotrofia nel mondo vegetale
Le piante che sono in grado di assimilare azoto inorganico e usare per organicare i composti necessari sono definite autotrofe. Non tutte le piante hanno la possibilità di ottenere azoto inorganico. Alcune specie infatti si sono evolute in direzione eterotrofa, diventando carnivore ed adattandosi ad assorbire l’azoto organico, digerendo insetti e piccoli animali.
Il primo trattato sulle piante carnivore fu scritto da Charles Darwin, il naturalista britannico divenuto famoso per le sue teorie sull’evoluzionismo e la selezione naturale. Le sue descrizioni colpirono profondamente l’immaginario collettivo, e diffusero credenze esagerate riguardo fantasiosi organismi vegetali di enormi dimensioni, dotati di fauci spaventose e denti aguzzi, adatti a mangiare carne umana.
Nella realtà le cose stanno ben diversamente: le piante carnivore sono individui di piccole dimensioni, e si procacciano l’azoto necessario digerendo insetti e altri animaletti, che catturano attraverso sistemi di trappole originate da metamorfosi fogliari.
Le circa 600 piante carnivore che si conoscono tra le angiosperme costituiscono un gruppo polifiletico, in quanto l’eterotrofia nel mondo vegetale non fa capo ad un unico antenato progenitore, ma si evoluta più volte (almeno sei) in taxa lontani tra loro filogeneticamente parlando. Gli studiosi le dividono quindi in base alla tipologia di trappola.
Le trappole delle piante carnivore
Le piante carnivore si sono evolute in ambienti nei quali la tipologia e le caratteristiche pedologiche dei suoli non permettono alle specie vegetali una nutrizione minerale soddisfacente in termini di assorbimento dell’azoto inorganico.
Per riuscire a coprire il proprio fabbisogno, esse hanno evoluto una strategia basata sull’attirare insetti ed altri piccoli animali, per poi catturarli con delle trappole, e digerirli, ottenendo il prezioso azoto organico.
Un mirabile esempio di questa strategia, così diversa rispetto a quella autotrofa adottata dalla maggior parte degli organismi vegetali, è quella delle piante carnivore con trappola a scivolo. Queste hanno evoluto una struttura allungata, detta ascidio, dalla forma conica, a partire da una foglia, che si è ripiegata nel corso dell’evoluzione, a formare una specie di contenitore, detto ascidio, nel quale la preda è attirata da colori aromi e nettare presenti sul bordo, detto peristoma.
Il malcapitato ospite scivola all’interno, dove è intrappolato dai peli presenti sulla superficie inferiore. La fuga è impossibile: le pareti sono ricoperte da una cera fortemente scivolosa, ed i movimenti dell’animale sono lentamente inibiti da una sostanza anestetizzante che la pianta stessa secerne. La morte sopraggiunge lenta.
Molto diffusa è anche la trappola adesiva, che lavora sfruttando una mucillagine altamente viscosa, in grado di intrappolare i piccoli organismi che vengono in contatto con le foglie sulle quali si trovano i peli ghiandolari che estrudono questa particolare colla. Queste foglie sono solite presentare colori accesi e vivaci, con lo scopo di attrarre le prede, alla cui cattura segue una fase digestiva.
Ma le piante carnivore che più sono entrate nell’immaginario collettivo sono sicuramente quelle con la trappola a tagliola. Questo meccanismo si è evoluto da una foglia metamorfosata costituita da due lobi che si chiudono a scatto mosse dalla variazione di pressione di turgore delle cellule costituenti l’epidermide della trappola stessa.
Lo stimolo si propaga con estrema velocità, cosicché l’ignaro insetto che si posa sulla tagliola fogliare, attratto dai suoi colori sgargianti, non ha alcuno scampo.
L’ultimo gruppo di piante carnivore annovera poche specie, che hanno evoluto la strategia forse più curiosa: le foglie si sono modificate per formare vescicole subacquee, dette otricoli. Quando le vescicole si aprono, creano una depressione che permette loro di risucchiare energicamente i piccoli animali di cui si nutrono. Gli otricoli sono chiusi da una valvola a battente, munita di lunghi peli sensoriali, che ne regolano l’apertura per contatto.
Darwin definì le piante carnivore “una meraviglia della natura“: esse sono uno straordinario esempio delle infinite possibilità alle quali il processo evolutivo può portare.
Lorenzo Di Meglio
Bibliografia
N.Rascio – Elementi di Fisiologia Vegetale – EdiSES
James Mauseth – Botanica Biodiversità – Idelson Gnocchi
Sitografia
http://www.carnivorousplants.org/cp/WhatAreCPs.php
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