Il Simposio di Platone: l’amore e la mancanza

In questo articolo andremo ad approfondire uno dei dialoghi più famosi di Platone, insieme ad alcuni dei temi fondamentali che il filosofo tratta: l’amore e la mancanza. Prima di approfondire, è bene avere chiaro cosa sono i dialoghi platonici e cos’è il Simposio di Platone.

Platone e la figura emblematica di Socrate nel Simposio

Il Simposio fa parte dei dialoghi giovanili scritti dal filosofo, in cui il personaggio principale è quasi sempre Socrate che discute con l’interlocutore. Il dialogo gli permette di esprimere il proprio parere attraverso l’arte della maieutica, una tecnica particolare che ha appreso dal mestiere della madre levatrice. Platone vede la nostra anima come una partoriente che ha bisogno di aiuto, lui si offre come mezzo per arrivare a partorire un’idea.

Introduzione al Simposio di Platone

La parola greca “Simposio” significa “banchetto” e ai tempi dei greci e dei romani prendere parte ad un banchetto era anche un’occasione per confrontarsi su un argomento di comune interesse. Il Simposio si apre con la figura di Apollodoro, storico ateniese e discepolo di Diogene lo Stoico, che racconta all’amico le vicissitudini del banchetto a cui prende parte anche Socrate.

Il filosofo si accomoda al fianco di Agatone e il banchetto ha inizio; nessuno dei partecipanti ha intenzione di bere molto, quindi Fedro propone un argomento di cui discutere insieme. Sceglie il dio del desiderio, Eros, raccogliendo l’approvazione di Socrate e dell’intero simposio.

simposio
Il simposio

“Lo stato di Eros” per Fedro

Uno dei partecipanti, Fedro, comincia ad esporre le origini del dio: egli sostiene che Eros non fu frutto di nessuna unione, dal Caos si originarono la Terra e l’Eros.

Il dio è millenario e si impossessa dei giovani, che in stato di Eros sono capaci di fare da vittime inerti al proprio bello solo per essere notati. L’Eros, secondo Fedro, trasforma ogni giovane innamorato in un dio dell’eroismo.

Eros non tocca solo gli uomini, ma anche le donne, infatti Fedro porta l’esempio di Alcesti, figlia di Pelia. Quest’ultima fu disposta a morire sostituendosi al suo uomo, tanto da far apparire i genitori dell’amato come due estranei. Altri eroi sono morti in nome di Eros, come Achille che decise di vendicare l’amato Patroclo uccidendo Ettore, consapevole di essere condannato a morte con quel gesto.


“I sentimenti che devono guidare per tutta la vita gli uomini destinati a vivere nel bene non possono ispirarsi né alla nobiltà della nascita né agli onori né alla ricchezza, né a null’altro: devono ispirarsi ad Eros.”

“Il mito androgino” di Aristofane

Aristofane, uno dei partecipanti al Simposio, esprime il proprio pensiero. In origine i sessi non erano due, ma tre: c’erano gli uomini, le donne e gli ‘uomo-donna’. Oggi sopravvive solo il loro nome, ricoperto di vergogna, di loro non ce n’è più traccia; erano creature con quattro braccia, quattro gambe, due volti retti da un solo collo. Erano mostri di aggressività, pieni di orgoglio e di ira che scagliavano contro le divinità che non sopportavano la loro insolenza. Zeus, per indebolire questi mostri, decise di dividerli in due parti perfettamente uguali ricucite da Apollo, che terminava la cucitura sul ventre, nel punto chiamato ombelico.

Da quel momento in poi le metà iniziarono a cercarsi per tornare ad essere uno, ma morivano perché non riuscivano a sopravvivere da soli. Zeus provò compassione e diede loro l’opportunità di unirsi nell’atto della procreazione, così che continuasse ad esserci la vita sulla terra.

“Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere. E così morivano di fame e d’inazione, perché ciascuna parte non voleva far nulla senza l’altra. E quando una delle due metà moriva, e l’altra sopravviveva, quest’ultima ne cercava un’altra e le si stringeva addosso.”

Socrate e Diotima nel Simposio di Platone

Quando arriva il turno del protagonista del Simposio, egli non elogia Eros, ma esprime il suo parere raccontando ciò che una sacerdotessa di Apollo, Diotima, gli aveva riferito riguardo Eros. Secondo Socrate, è inesatto dire che Eros sia figlio di nessuno; egli è figlio di due dei, Pòros e Penìa.

Quest’ultima, dea della privazione, approfittò del Dio dell’abbondanza ubriaco ad una festa organizzata in onore di Afrodite e rimase incinta. Il figlio, Eros, è l’emblema del desiderio. Quest’ultimo unisce abbondanza e privazione insieme, poiché si desidera l’oggetto amato e una volta che lo si ottiene se ne vuole di più, è una perenne ricerca. Eros non è bello, è un dio scalzo, insoddisfatto, che cerca qualcosa che non otterrà mai.

Socrate, dopo aver riferito le parole di Diotima, afferma che solo gli uomini attratti dal bello riusciranno a cogliere la vera essenza di Eros; per coloro che invece vedono nella figura femminile solo un corpo utile a procreare non c’è alcuna speranza di arrivare ad avere un’anima fertile.

L’insoddisfazione di Eros nel Simposio di Platone

Platone fa recitare a Socrate un discorso cardine della filosofia, che difficilmente può essere contestato perché esso è universale. In stato di Eros ognuno di noi desidera l’amato, ma una volta ottenuto si arriva alla felicità? Secondo Platone no. Il Simposio ci mostra l’amore scalzo, povero, che non riesce ad accontentarsi di ciò che ha, perché colmato un vuoto se ne genera un altro, così all’infinito. La natura umana forse è di per sé insoddisfatta, come se ognuno di noi si sentisse diviso a metà, ma rispetto a ciò che dice Aristofane, nemmeno trovare l’altra metà può soddisfarci perché rimarranno sempre e comunque le cicatrici del passato.

Ecco che, pur distaccandosi, Socrate dipinge probabilmente il quadro di ognuno di noi e di sé stesso. Il filosofo sa di non sapere, ed è proprio questa consapevolezza che lo spinge alla ricerca. Forse la vera domanda è: cosa desideriamo così tanto da non poter mai raggiungere? Per Platone la risposta è una: il Bene immortale.

Come può fingersi natura celeste un essere brutto, povero, insoddisfatto, infelice e mortale come Eros? Questa figura può essere considerata un ponte tra il mortale e il soprannaturale, tra abbondanza e privazione, così come il filosofo che si trova tra i sapienti (coloro che sanno di sapere) e gli ignoranti (coloro che non sanno di non sapere). È curioso vedere come queste due figure che sono agli antipodi siano in pace, mentre il filosofo non lo è.

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Eros e la ricerca dell’immortalità

Ebbene, una volta che il Simposio ci ha insegnato che Eros non potrà mai essere soddisfatto, come affrontano gli uomini questo senso di mancanza? Percepiamo di non poterlo colmare, ma ci proviamo in tutti i modi, fra questi pare che ce ne sia uno che prevale sugli altri: l’immortalità. Dentro di noi sappiamo di non possedere questo dono e quindi cerchiamo qualcuno che possa essere la nostra ombra, la nostra estensione, un figlio giovane che si lasci alle spalle il vecchio e che possa portare avanti ciò che siamo stati.

Eros, l’amore carnale, ci spinge proprio alla procreazione perché è esso stesso desiderio di immortalità che dai genitori viene trasmesso alla prole. Ecco un’altra faccia di Eros, un demone che si annida nel vuoto dell’incompletezza umana, è il campione dell’avidità e del negativo, perché sfrutta le debolezze degli uomini per soddisfare i propri fini.

“Non c’è niente che gli uomini amano se non il bene.”

Sara Foraggio

Bibliografia

Platone, Simposio/Apologia di Socrate/Critone/Fedone, Milano, Mondadori, 2016.