La dinastia dei Severi, una “monarchia militare”

La dinastia dei Severi, che cronologicamente abbraccia tutta la prima metà del III sec. d.C., ricopre nella storia romana un duplice ruolo. Da un lato, è la seconda grande dinastia che conosciamo dopo quella giulio-claudia; dall’altro, la successione di Settimio Severo, Caracalla, Macrino, Elagabalo e Alessandro Severo conduce inevitabilmente Roma verso il tracollo dell’anarchia militare.

La “monarchia militare” nel III sec. d.C.

Gli studiosi parlano per la dinastia dei Severi di una vera e propria “monarchia militare”. Già in precedenza un comandante era stato acclamato imperatore dal suo esercito, ma alla fine del II sec. l’atto della “proclamazione” muta di significato. Pure un Didio Giuliano, appoggiato dai pretoriani, è troppo debole; adesso può ambire al potere solo chi controlla grandi eserciti. La lotta è quindi tra Settimio Severo, legato della Pannonia; Pescennio Nigro, governatore della Siria; e Clodio Albino, governatore della Britannia.

Settimio Severo, l’iniziatore della dinastia dei Severi

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Settimio Severo

Nativo di Leptis Magna (nell’odierna Libia), Settimio Severo riesce a vincere definitivamente gli altri pretendenti al trono nel 197 d.C. Avendo appreso dagli errori altrui, muove subito alla volta di Roma, su cui marcia coi suoi soldati.

Con l’ascesa al potere di Settimio Severo, termina a Roma il tentativo di creare principati adottivi. Settimio ha da subito il progetto di creare una dinastia ereditaria. Vinti i Parti e presa Ctesifonte nel 198, oltre a far erigere il suo arco omonimo, l’imperatore fa immediatamente proclamare dall’esercito il figlio maggiore Caracalla come Augusto, e il figlio minore Geta come Cesare. Caracalla, dunque, viene subito associato al potere, ma viene destinato col fratello Geta ad un futuro principato a due.

Settimio sa però che, oltre alle vittorie militari, anche la forma conta molto nelle successioni di potere. La sua famiglia, infatti, era di umili origini: discendeva forse da mercatores italici emigrati in Tripolitania all’inizio dell’età imperiale. Per nascondere la sua oscura ascendenza, Settimio in un primo momento assume il nome di Pertinace, il precedente imperatore, per presentarsi come suo legittimo erede. Rendendosi però conto che Pertinace aveva rappresentato solo una breve parentesi nella storia di Roma, e forse per appropriarsi di altri patrimoni, Settimio in seguito si autoadotta nella famiglia degli Antonini, al punto da designare suo figlio Caracalla come Marco Aurelio Antonino, fratello di Commodo.

La successione nella dinastia dei Severi

A confermare l’immagine di un regno militare sono le ultime parole attribuite da Cassio Dione a Settimio Severo. L’imperatore, che si trovava a York a seguito di una campagna in Britannia iniziata nel 208, avrebbe detto a Caracalla e Geta, prima di morire: “Andate d’accordo, arricchite i soldati e non preoccupatevi degli altri”. Lo stesso Settimio, infatti, intuendo l’influenza che gli eserciti avevano sulla stabilità dell’Impero, aveva accresciuto la paga dei militari e aveva abolito, tra gli altri, il divieto di contrarre matrimonio in servizio.

Tuttavia, il sogno dell’imperatore di vedere i due figli regnare in armonia ha vita breve. Caracalla (soprannominato così per l’abitudine di indossare un cappuccio celtico) non perde tempo ad uccidere Geta, e a cancellare ogni sua traccia con una feroce damnatio memoriae.

Caracalla, l’imperatore delle riforme

L’impero di Caracalla inizia quindi nel sangue, ma è ricordato da tutti per l’attuazione di un importante editto, la Constitutio Antoniniana del 212. Secondo questa disposizione legislativa, la cittadinanza romana viene finalmente estesa a tutti gli abitanti dell’Impero, ad eccezione di una classe misteriosa, quella dei dediticii, forse da identificare con i barbari non ancora integrati. La Constitutio, però, non soltanto legalizza uno stato di fatto, ma soprattutto rappresenta una mossa ben calcolata da parte di Caracalla. Già il padre Settimio Severo, con l’istituzione di alcune boulài (assemblee) in Egitto, aveva esteso la sfera di potere addirittura in una prefettura. Caracalla, quindi, riprende il progetto del padre per recuperare popolarità in seguito all’assassinio di Geta.

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Caracalla

Nonostante l’apparente natura rivoluzionaria dell’editto, la situazione politica e sociale dell’Impero non muta di molto. Caracalla, infatti, non prevede clausole restrittive per i Cristiani, almeno da quello che dicono le fonti, e soprattutto divide la cittadinanza – teoricamente uguale davanti alla legge – in humiliores e honestiores, distinguendo ulteriormente gli italici con il ius italicum. L’ordine gerarchico precedente, dunque, resta identico, anche se in nuove forme.

Altra grande riforma attuata da Caracalla è la coniazione di una nuova moneta, l’antoniniano. Questo argenteo aveva il valore nominale di due denari, pur avendo un valore effettivo di un denario e mezzo. Secondo le fonti più malevole, l’imperatore attua questi due importanti provvedimenti – l’ampliamento della cittadinanza e la coniazione di una nuova moneta d’argento – per aumentare le entrate nelle casse dello Stato; ma nemmeno questo basta a garantire la pace. Caracalla è infatti assassinato a Carre, in Siria, nel 217, durante una congiura militare, senza che abbia concluso la sua spedizione contro i Parti e soprattutto nominato un successore. Imperatore è quindi acclamato Macrino, prefetto del pretorio e capo della rivolta.

Macrino, il primo imperatore cavaliere

Macrino rappresenta il primo caso di imperatore di condizione equestre nella storia di Roma. Questo è un segnale forte del profondo cambiamento dei tempi: il Senato non ha più la forza di sostenere l’aristocrazia, ed è per questo che gli eserciti promuovono i cavalieri.

L’impero di Macrino, però, fa eccezione anche su un altro fronte: per la prima volta Senato e esercito si alleano, e congiurano contro Macrino. Imperdonabile infatti era non soltanto la sua discendenza umile, ma anche la pace stipulata coi Parti.

Elagabalo, il sacerdote del Dio Sole

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Elagabalo

Morto Macrino nel 218, il potere passa di fatto alle donne della famiglia, in particolare a Giulia Domna, la moglie ancora viva di Settimio Severo, e a Giulia Mesa, sorella di quest’ultima. È infatti Giulia Mesa ad orchestrare l’acclamazione del nuovo imperatore, Vario Avito Bassiano, detto Elagabalo.

Il soprannome Elagabalo è legato alla profonda fede dell’imperatore nel culto di El-Gabal (cioè del Dio Sole di Emesa), ereditata dal ramo siriaco e femminile della sua famiglia. Il tentativo di introdurre a Roma una forzata devozione nel Dio Sole – oltre che il suo simulacro – è però un vero e proprio fallimento. A differenza del futuro imperatore Aureliano, Elagabalo non capisce che, per essere accolto, il culto va romanizzato, attraverso la costruzione di templi alla latina e l’organizzazione di un sacerdozio.

Elagabalo, al contrario, rinnega la tradizione romana; secondo le fonti, pretende di sposare una vestale – legata all’obbligo di verginità – e rifiuta la prosecuzione della guerra contro i Parti. Il risultato non può che essere una congiura. Anche questa volta è protagonista Giulia Mesa, che fa uccidere non solo Elagabalo, ma anche Giulia Soemiade, madre di Elagabalo e sua diretta figlia.

Severo Alessandro e l'”epoca dei giuristi”

Nel 222 sale così al potere Bassiano, promosso allo stesso modo da Giulia Mesa. Bassiano, che prende poi il nome di Alessandro Severo per riallacciarsi agli ideali cosmopoliti del grande condottiero greco, è di gran lunga più rispettoso delle tradizioni. Sa di essere un ragazzino e un soldato; affida così il governo a Ulpiano, grande giurista nonché prefetto del pretorio, e organizza un gruppo di consiglieri, il consilium principis. Inizia così l’“epoca dei giuristi”, un atteso periodo di pace nella dinastia dei Severi.

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Alessandro Severo

Dopo alcuni screzi coi Cristiani causati forse da Settimio Severo, il nuovo imperatore promuove anche un’alleanza con l’élite dell’altro credo religioso. Sappiamo che Giulia Mamea, madre di Alessandro, si ritenne onorata della visita di Origene a Roma, e lo stesso imperatore incaricò Giulio Africano, un letterato cristiano, di costruire una biblioteca, in cui erano conservati anche dei computi pasquali.

A turbare il ritrovato equilibrio nel regno di Alessandro, è un evento di politica estera: nel 224 in Persia si afferma una nuova dinastia, quella dei Sasanidi, che vanta di discendere dall’antica e nobile stirpe degli Achemenidi. Alessandro Severo non può fare nulla per salvare la Mesopotamia romana dalla violenta incursione dei Persiani, ma riesce perlomeno a bloccare l’offensiva nemica. L’azione dell’imperatore viene però scambiata per una pace, o peggio ancora per un asservimento. Alessandro Severo viene così assassinato insieme alla madre nel 235.

La fine della dinastia dei Severi

La dinastia dei Severi si chiude così nella violenza, dopo un cinquantennio di governo burrascoso. L’Impero, riformato ma debole nei suoi vertici e fortemente turbato dall’inquietudine degli eserciti, si avvia verso la sua epoca più buia: l’anarchia militare.

Alessia Amante