Auden e il lamento d’amore: una voce del Novecento inglese

Wystan Hugh Auden è stato un importante poeta britannico del XX secolo. Nato nel 1907 da una famiglia middle-class inglese, studiò all’Università di Oxford. Qui fondò un circolo letterario chiamato Auden Circle, che ancora oggi porta il suo nome. Auden fu uno stretto amico di Christopher Isherwood, che fu invitato proprio dal poeta a trascorrere del tempo a Berlino durante gli anni della Repubblica di Weimar. La capitale tedesca offriva ai due letterati una maggiore libertà e un contesto più aperto alla loro omosessualità. W. H. Auden e Chirstopher Isherwood si trasferiranno nel 1939, anno dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti. Pochi anni dopo, Auden si trasferirà a Vienna, dove muore nel 1974.

“La più grande mente del ventesimo secolo”

Definito “la più grande mente del ventesimo secolo” dal poeta russo Iosif Brodskij, premio Nobel per la letteratura nel 1987, è stato una figura centrale nella poesia inglese dagli Trenta in poi. Non è semplice racchiudere e sintetizzare la ricca e poliedrica produzione poetica di W. H. Auden. Se ne possono individuare più che altro delle direzioni e delle tendenze nelle diverse fasi della sua carriera.

W. H. Auden e la sua produzione

Le prime poesie della raccolta Poemspropongono infatti una ripresi dei modelli precedenti ai modernisti mentre la seconda raccolta The Orators unisce la prosa alla poesia, e tenta di compiere la diagnosi della società inglese di quegli anni. Pubblicata nel 1932, emerge da questa raccolta l’immagine di una società scissa, alla deriva. Nasce così una tendenza poetica, quella di partire da una forte accusa della società e di anelare all’azione con un forte impegno sociale e ideologico: è la tendenza di Auden e dei poeti a lui successivi, raggruppati dall’etichetta Trentisti.

I trentisti invocano un cambiamento, sostenuto dalla speranza di poter apportare una trasformazione alla società.  L’atteggiamento eversivo nei confronti della società sono legati anche al suo vissuto personale e in particolar modo alla sua omosessualità, a lungo bistrattata dalla critica letteraria. È infatti lo stesso atteggiamento di rifiuto che ritroviamo nella prosa di Chistopher Isherwood dei primi anni.

Dopo i trentisti

Crollate le speranze dei trentisti con la Seconda Guerra Mondiale, la poesia successiva di Auden si chiude sull’interesse per la riflessione filosofica e la riflessione religiosa, che erano rimaste in ombra nella produzione precedente. La poesia degli anni Cinquanta e Sessanta, inoltre, presenta un forte interesse per la musica. Scriverà infatti dei libretti e le sue poesie saranno musicate.

W. H. Auden e Christopher Isherwood

Funeral Blues

Quella che qui presentiamo è una delle poesie più famose di Auden, Stop all the clocks o anche detta Funeral Blues. Nella poesia il poeta lamenta la perdita di una persona cara (un amico, ma molto più probabilmente un amante) e chiama tutto il mondo a piangere con lui la sua morte.

Stop all the clocks, cut off the telephone,
Prevent he dog from barking with a juicy bone,
Silence the pianos and with muffled drum
Bring out the coffin, let the mourners come.

Let aeroplanes circle moaning overhead
Scribbling on the sky the message He Is Dead,
Put crepe bows round the white necks of the public doves,
Let the traffic policemen wear black cotton gloves. [1]

Già dalle prime due strofe emerge la natura del lamento pubblico della poesia. Quello del poeta è un dolore estremo, conseguente a una tragica perdita. Il tono della poesia è quello di una tristezza melanconica, rinforzato dallo schema rimico (aabb) e dal pentametro giambico utilizzato. Il poeta richiama il pubblico di lettori a soffrire con lui: li invoca di “fermare gli orologi, di isolare i telefoni, di zittire i cani”. Sono le distrazioni del giorno, le azioni quotidiane che devono fermarsi per rendere il giusto rispetto al defunto.

La seconda parte

He was my North, my South, my East and West,
My working week and my Sunday rest,
My noon, my midnight, my talk, my song;
I thought that love would last for ever: I was wrong.

The stars are not wanted now: put out every one;
Pack up the moon and dismantle the sun;
Pour away the ocean and sweep up the wood;
For nothing now can ever come to any good [2]

Nella terza e quarta strofa si sottolinea la natura intima del rapporto dell’autore con la persona defunta. La riverenza e l’amore del poeta sono espresse da metafore iperboliche (“Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte; / imballate la luna, smontate pure il sole; / svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco; / perché ormai più nulla può giovare”). Il forte pessimismo ribadito dall’ultimo verso segue dalla delusione vissuta dal poeta: “pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto”. La persona è descritta come il centro dell’universo e dell’esistenza del poeta.

È molto interessante notare lo stile della poesia. Nella forma di un’elegia classica, include elementi linguistici informali e immagini tratte dalla vita quotidiana.

Salvatore Cammisa

Fonti e traduzioni:

Paolo Bertinetti, Storia della letteratura inglese, Torino, Einaudi, 2000

Traduzione di Gilberto Forti:

[1] Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.

Incrocino aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.

[2] Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: e avevo torto.

Non servon più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.