Lo scontro tra Searle e Dennett a colpi di esperimenti mentali

Se per un verso la causa del filosofare è, come sostenuto da Aristotele, la meraviglia, per l’altro anche la capacità di astrarsi dalla realtà è stata alla base della nascita di molti sistemi di pensiero. Quest’ultimo approccio si manifesta oggi in modo particolare, sempre più frequentemente, attraverso l’utilizzo di esperimenti mentali, di cui i filosofi si servono per supportare l’una o l’altra argomentazione a proprio favore. Vediamo i casi di John Searle e Daniel Dennett.

Esperimenti mentali in ambito filosofico

Gli esperimenti mentali sono per l’appunto esperimenti non realizzati, che vengono immaginati con il fine di acquisire delle conoscenze a partire dalla sola teorizzazione. Processi concettuali di questo tipo hanno cambiato la storia dell’umanità, come nel caso della teoria della relatività di Einstein. Molteplici esperimenti mentali sono stati realizzati nel corso dei secoli anche in ambito filosofico: il diavoletto di Cartesio, lo spettro invertito di Locke, la nave di Teseo immaginata da Hobbes, il mulino leibniziano.

Inoltre, nonostante siano stati investiti anche da diverse critiche, gli esperimenti mentali rappresentano oggi più che mai un procedimento in continua ascesa, soprattutto nell’ambito della filosofia della mente, che ha contribuito a rafforzarne il carattere metodologico. Un esempio di ciò riguarda la teoria dell’intelligenza artificiale forte, che ha scatenato un vero e proprio scontro a colpi di esperimenti mentali tra due grandi filosofi noti nel panorama internazionale: Daniel Dennett e John Searle.

La stanza cinese di Searle

mentali Searle
Una raffigurazione anonima della scatola cinese di Searle

L’intelligenza artificiale forte, detta anche IA forte, non è altro che la definizione che Searle dà all’intelligenza artificiale o meglio alla pretesa che questa possa assumere connotazioni del tutto umane, perché in grado di riprodurre allo stesso modo dell’uomo ragionamenti stati mentali. Il filosofo parte dalla convinzione che, anche laddove il computer attraverso la programmazione riesca ad acquisire competenze affini a quelle umane, non vi potrà mai essere corrispondenza tra una macchina e l’uomo, perché la prima non è dotata di coscienza.

Nell’esperimento della stanza cinese, egli riprende così l’esempio della macchina di Turing, ovvero l’IA che elabora simboli e che dà adito a molti funzionalisti di pensare che sia in grado di formulare processi mentali. Searle si sostituisce alla macchina e immagina di essere chiuso in una stanza e ricevere dall’esterno una serie di domande scritte in cinese. Come la macchina è dotata di un programma il filosofo ha con sé un libro scritto in cinese. Dunque, confrontando gli ideogrammi che riceve con quelli del testo, riesce ad elaborare delle risposte pur non comprendendone il senso. Dimostra così ché né lui né la macchina svolgono l’attività avendone consapevolezza, anche se dall’esterno l’idea che emerge è proprio questa. La macchina effettua operazioni di sintassi perché segue una logica di causa ed effetto, ma lascia fuori l’intera sfera semantica.

La posizione di Dennett e l’importanza delle pompe d’intuizione

mentali Dennett
Daniel Dennett

Per Searle la mente non è dunque riducibile né al cervello organico né all’IA. Di tutt’altro avviso è invece Dennett che fa derivare dal cervello, che considera funzionale, ogni qualsivoglia contenuto mentale. Il filosofo rielabora l’esperimento mentale, anche detto pompa di intuizione, di Searle e sottolinea alcuni particolari di cui egli non ha tenuto conto. In prima istanza ha sostenuto ma non dimostrato la differenza tra stati mentali e cervello organico. In secondo luogo ha inteso la coscienza come un elemento centrale posto in un luogo isolato, che riceve input dall’esterno al quale poi segue semplicemente una risposta. Questa sorta di osservatore privilegiato in realtà per Dennett non esiste affatto. La situazione è molto più complessa sia per il cervello che per l’IA.

Quando si sostituisce  al computer, Searle non considera che la macchina, invece di presentare uno schema semplice basato su domanda e risposta, possa essere dotata di un programma straordinariamente ramificato e sofisticato, in cui molteplici dati entrano in relazione tra loro. Searle ci convince del fatto che l’IA non sia in grado di simulare stati mentali, semplicemente perché non considera questa variante. È a questo punto che la critica di Dennett si sposta dal contenuto della pompa d’intuizione di Searle alle finalità del suo utilizzo. Infatti, in merito agli esperimenti mentali di Searle asserisce:

 Queste pompe di intuizione sono difettose; non accrescono la nostra immaginazione, la fuorviano.

Mentre, in merito ai suoi esperimenti mentali scrive:

Le mie pompe di intuizione sono usate nella maggior parte dei casi per aiutarti ad immaginare nuove possibilità, non per convincerti che certe prospettive sono impossibili.

La mente come laboratorio, un problema controverso

Quel che emerge dal quadro delineato è che gli esperimenti mentali, di fatto, si prestano al carattere multidisciplinare proprio della filosofia della mente e in qualche modo progrediscono con la stessa. Non a caso la filosofia della mente si interroga sulla mente e sui  rapporti che intrattiene con il cervello, il corpo e il mondo esterno. In tal frangente l’esperimento mentale acquisisce un significato ulteriore, perché per la prima volta si dà valore a quel materiale che emerge a seguito di un ragionamento articolato intorno ad una situazione immaginaria. La mente divenuta laboratorio ci permette di saperne di più sulle nostre intuizioni e sul funzionamento degli stati mentali. Secondo Roberto Casati, infatti:

Gli esperimenti mentali ci possono dunque sorprendere, stabilizzando le nostre intuizioni; ma hanno anche un’altra funzione: allargano lo spazio concettuale, ovvero ci mostrano che potremmo avere più risorse concettuali di quante pensassimo.

D’altra parte però anche le questioni che si sollevano intorno a questo approccio non sono poche. Occorre capire in che modalità gli esperimenti mentali si differenziano da quelli reali e in che prospettiva possiamo affidarci ad essi. Utilizzati perlopiù per attestare l’adeguatezza o meno di una teoria, lo statuto di questi esperimenti continua inoltre ad essere molto ambiguo. Secondo molti non sarebbe il caso di attribuire loro alcuna efficacia, né in ambito scientifico né filosofico, nonostante molte delle conquiste del nostro secolo si debbano proprio alla loro elaborazione.

Giuseppina Di Luna

Bibliografia

John Searle, Minds, Brains and Programs Behavioral and Brain Sciences, 1980.

Daniel C. Dennett, Coscienza. Che cosa è, Laterza, Milano 2009.