Le dieci (pardon, dodici) fatiche di Ercole

Perché dieci e non dodici fatiche di Ercole? Originariamente, Euristeo, re di Tirinto e cugino di Ercole, figlio di Stenelo, fratello di Anfitrione, sentenziò dieci fatiche all’eroe tebano per espiare il reato degli omicidi dei figli avuti da Megara.

Due “fatiche” però furono annullate per ordine dello stesso re perché Ercole fu aiutato, quindi quelle prove furono invalidate.

Le prime tre fatiche di Ercole: Leone di Nemea, Idra di Lerna, Cerva di Cerinea

Saputo il suo destino e confortato dai suoi amici più stretti perché irato di dover servire quello che lui definiva un “buffone” come Euristeo, Ercole a malincuore accettò il verdetto della Pitonessa di Delfi e si recò subito a Tirinto dove servì il re per 12 anni; in cambio avrebbe ottenuto l’immortalità direttamente dagli dei.

La prima delle fatiche di Ercole fu quella di uccidere un potentissimo leone che stava mettendo in ginocchio la città di Nemea a nord-ovest di Argo. Il leone era di una mole titanica con la pelle invulnerabile e gli artigli e le zanne più dure del metallo. Riuscì a trovarlo nei pressi di una grotta a due uscite. Quivi lo colpì con le frecce facendogli il solletico, sguainò la spada per colpirlo e questa si spezzò al primo colpo, infine lo percosse con la clava sul muso, ma si ruppe anche questa.

Il leone ritornò nella sua tana come se nulla fosse. Ercole così bloccò un’uscita della grotta mentre utilizzò l’altra per entrarvi. Afferrò il leone in gola con tutta la sua forza e questi morì strozzato, poi gli staccò gli artigli e le zanne per levargli via la pelle. Da allora, Ercole utilizzò quella pelle sia come vestiario che come armatura.

La seconda delle fatiche di Ercole fu quella di annientare l’Idra di Lerna, un terribile drago a nove teste di cui una sola, quella centrale, immortale. Il sangue della bestia era un fluido velenosissimo che a contatto con la pelle umana provocava terribili e dolorosissime ustioni. Lerna è una città che sorge a 5 miglia da Argo ed il mostro aveva la tana sotto un platano presso la sorgente Amimone. Ercole tagliò le teste dell’Idra, ma vanamente; queste ricrescevano velocemente a due alla volta, così l’eroe chiese l’aiuto di Iolao, il nipote, figlio di Ificle.

Il piano escogitato fu questo: Ercole avrebbe tagliato una delle teste del mostro, il nipote invece avrebbe dovuto dare fuoco al collo in modo tale da evitare che la testa gli ricrescesse. Fu fatto così per tutte le teste. Quella immortale, invece, la seppellì sotto una roccia per evitare che facesse ulteriori danni e lì rimase per l’eternità. Ercole sventò il corpo dell’animale ed inzuppò nel sangue e nella bile dell’animale la punta delle sue frecce in modo tale che qualsiasi colpo, o anche graffio, recasse danni permanenti nelle carni delle sue vittime. Euristeo però annullò la fatica perché gli fu riferito che la lotta tra l’eroe ed il mostro era avvenuta con la collaborazione di Iolao.

La terza “fatica” fu quella di catturare la cerva del monte Cerinea, un animale sacro ad Artemide dal mantello maculato con zoccoli di bronzo e corna dorate: doveva condurla viva presso Enoe a Micene. Ercole così la inseguì per un anno intero, arrivò sino in Istria dove trafisse l’animale tra i tendini e lo zoccolo anteriore riuscendo ad immobilizzarlo. Di ritorno, affrontò Artemide che lo rimproverò aspramente per questo oltraggio, lui si giustificò dicendo di prendersela con Euristeo perché era stato lui ad imporgli di portare la cerva a Micene. Artemide così placò la sua ira accompagnando Ercole a destinazione.

Quarta, quinta, sesta fatica: Cinghiale di Erimanto, Stalle di Augia, Uccelli del lago Stinfalo

fatiche di Ercole
Ercole mostra ad Euristeo il cinghiale di Erimanto

La quarta delle fatiche di Ercole fu quella di catturare vivo il cinghiale di Erimanto, una feroce bestia che infestava le pendici del monte. Nel suo viaggio, soggiornò presso il centauro Folo. Quivi si nutrirono di carni arrostite ed aprirono del vino conservato per quella occasione da Dioniso quattro generazioni prima. Il profumo del vino fece infuriare tutti i centauri, così nacque una terribile rissa che costrinse l’eroe ad ucciderne molti ferendo, purtroppo ed accidentalmente, anche Chirone, costringendolo così alla sofferenza eterna per colpa del sangue dell’Idra che gli provocava dolori atroci.

Accidentalmente morì anche Folo, così Ercole gli diede prima onorata sepoltura, e poi riprese la caccia al cinghiale che trovò proprio lungo le rive dell’Erimanto, dove lo sospinse sino alla vetta imbancata del monte. Qui la bestia sprofondò nella neve ed Ercole si gettò sul suo dorso riuscendo ad immobilizzarlo con delle catene. Lo portò così a Tirinto dove Euristeo per lo spavento si nascoste dentro un’urna fatta apposta su misura.

La quinta delle fatiche di Ercole fu quella di ripulire le stalle di Augia, l’uomo più ricco della Grecia in greggi e mandrie. Il sovrano aveva delle stalle che non puliva mai dal loro sterco creando così un fetore talmente vomitevole che causò una terribile pestilenza in tutto il Peloponneso. Eracle vedendo il sudiciume invadere sia le stalle che la valle, strinse un patto, davanti a Fileo, figlio del re come testimone, con Augia promettendogli che avrebbe pulito le stalle e la valle in un giorno in cambio di un decimo del suo bestiame.

Augia accettò ridendo consapevole di avere la vittoria in tasca, però Ercole, aiutato anche in questa circostanza da Iolao, aprì delle brecce nelle mura della stalla, poi deviò il corso di due fiumi, Alfeo e Peneo, che lo aiutarono a ripulire sia la valle che la stalla. Il re, a fine giornata, rifiutò di ricompensare Ercole negando addirittura di aver siglato un simile patto con lui, sapendo inoltre che il figlio avrebbe negato tutto. Ci fu un arbitrato dove Fileo “tradì” il padre, così Augia dovette pagare la somma concordata, però si vendicò di Ercole dicendo ad Euristeo che l’eroe, nel compimento della “fatica”, fu aiutato dagli dei fluviali, ragion per cui il sovrano di Tirinto l’annullò. Così fu che da dieci fatiche divennero dodici.

La sesta fatica fu quella di cacciare dal lago Stinfalo dei terribili uccelli di bronzo con piume ed artigli di bronzo sacri al dio Ares. Essi vivevano lungo le rive del fiume che sorge nei pressi della città di Orcomeno in Beozia, e la loro specialità era quella di volare in cielo lanciando le loro piume di bronzo per uccidere persone ed animali di cui si nutrivano, e poi lasciavano nel loro tragitto escrementi velenosi che ammazzavano le colture. Notando che gli uccelli erano numerosi ed accortosi che la palude era profonda per contenerlo, Ercole salì sul monte Cillene dove percosse delle nacchere, un dono di Atena, gli uccelli si spaventarono e scapparono via liberando in poco tempo la palude.

Settima, ottava, nona fatica: toro di Creta, cavalle di Diomede, cintura di Ippolita

La settima “fatica” fu la cattura del toro di Creta, ovvero il padre del Minotauro (anche se ci sono diversità di interpretazione tra gli autori su chi fosse il toro). Ercole sbarcò a Creta dove Minosse si offrì nell’aiutarlo a catturarlo, ma Ercole rifiutò temendo che avrebbero annullato anche questa fatica. Andò da solo a cacciarlo, riuscì a catturarlo e lo portò da Euristeo che lo liberò dedicandolo ad Hera, che lo condusse direttamente a Maratona dove fu ucciso da Teseo.

L’ottava delle fatiche di Ercole fu quella di catturare le cavalle di Diomede, ferocissimi animali mangia uomini che dimoravano in Tracia legate con delle potenti catene nella stalla del re dei Bistoni. Ercole riuscì a rubarle, le condusse nella nave che aveva usato per arrivarci; inseguito dai bistoni, deviò il corso di un canale di acqua che li sopraffece in pianura, poi si scontrò col re tanto crudele quanto feroce e lo vinse. Lo condusse poi sulla nave dove le cavalle lo sbranarono vivo.

La nona “fatica” fu quella di portare ad Admeta, la figlia di Euristeo, la cintura della regina delle amazzoni Ippolita, un dono fattole dal padre Ares. Giunto a destinazione con delle navi, Ercole incontrò Ippolita che se ne invaghì e decise di offrirgli la cintura come pegno d’amore. Hera, assunte le sembianze di un amazzone, convinse le compagne della regina che Ercole stava per rapirla: queste allora si precipitarono in forze contro la nave dell’eroe, il quale, dopo aver resistito agli assalti, strappò la cintura ad Ippolita ed intraprese la via del ritorno.

Decima, undicesima, dodicesima fatica: bestiame di Gerione, pomi d’oro degli Esperidi, Cerbero

fatiche di Ercole
Ercole mostra Cerbero ad Euristeo

La decima “fatica” fu quella di catturare il bestiame di Gerione, un mostro con tre busti e tre teste, giudicato l’uomo più forte del mondo. La missione fu in Spagna, oltre lo stretto del Mediterraneo conosciuto. La mandria era custodita da Eurizione e da Ortro, un cane a due teste. Ercole approdò così in Libia, poi in Tunisia ed infine in Marocco, dove raggiunse lo stretto di Gibilterra e qui eresse due colonne per lato, note come “le colonne d’Ercole”. Entrò così in Spagna dove uccise sia il mandriano che il suo cane impadronendosi degli armenti. L’eroe attraversò tutta l’Europa per ritornare in Grecia dove interruppe le sue “fatiche” per intraprendere una nuova missione a fianco degli dei: la gigantomachia.

L’undicesima delle fatiche di Ercole fu la raccolta dei pomi d’oro nel giardino delle Esperidi, dei frutti meravigliosi, doni di Gaia (o Tellure) a Zeus ed Hera quando convolarono a nozze. I pomi d’oro erano custoditi in un misterioso giardino alle porte dei Campi Elisi (il “giardino dell’Eden” secondo i cristiani). Non sapendo quindi dove andare, si recò direttamente dal “generale dei titani”, ovvero Atlante, per pregarlo di andare a prendere i pomi d’oro per conto suo.

Atlante rifiutò perché aveva paura di Ladone, un drago a cento teste che sorvegliava i Campi Elisi, gli indicò così dove andare ad affrontarlo. Ercole così si diresse ad affrontare il drago, lo uccise, ritornò da Atlante che gli cedette la volta celeste sino al suo ritorno con i pomi. Il gigante propose di andare personalmente a consegnare i frutti ad Euristeo, ma Ercole intuì che, in realtà, lui voleva solo scappare per non tornare più, così mentì e gli chiese la cortesia di tenere la volta celeste solo un attimo per sistemarsi la pelle di leone sulla testa. Il gigante acconsentì ignorando l’inganno di Ercole, che scappò coi pomi lasciando Atlante imprecare.

L’ultima delle fatiche di Ercole fu la più difficile: catturare Cerbero, il cane a tre teste, guardiano dell’Oltretomba. Dopo essersi purificato presso il santuario di Eleusi, Ercole scese negli Inferi presso capo Tenaro, in Laconia, guidato da Atena ed Ermes.

Quivi ebbe l’autorizzazione da Ade di portare Cerbero a Micene, purché lo catturasse senza usare alcuna arma. Ercole riuscì a domarlo afferrandolo per la gola, poi lo portò a Micene dove Euristeo ritornò nella giara perché impaurito anche dal grosso animale infernale.

L’eroe dopo le “fatiche” non ottenne l’immortalità dagli dei, condannato ancora a rimanere sulla Terra dove affrontò altre intrepide avventure.

Marco Parisi

Bibliografia:

  • Robert Graves, I miti greci, Longanesi e C.