Letteratura italiana del Novecento

Sandro Penna: poesie sull’omosessualità

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Sandro Penna (1906 – 1977), poeta italiano del Novecento, racconta nella sua poesia un dramma personale e sociale. 

Compare infatti nella rappresentazione novecentesca dell’Eros il nuovo tema dell’omosessualità. Tra le due guerre si era scatenata contro gli omosessuali la persecuzione Nazista, che li aveva destinati ai campi di sterminio. In Italia furono colpiti da discriminazione e disprezzo dall’epoca fascista fino addirittura agli anni Cinquanta.

Sandro Penna: dramma e poesia

È in questo quadro che si pone il dramma sociale ed esistenziale in cui affonda le radici la poesia di Sandro Penna, condizionandone anche le modalità espressive.

Sandro Penna trova il coraggio di esprimere “pulsioni indicibili” attraverso la sublimazione della forma, che ne neutralizza il contenuto trasgressivo tramite la grazia della contemplazione a distanza, del ricordo e della reticenza.

“Per averlo soltanto guardato”

Per averlo soltanto guardato
nel negozio dove io ero entrato
sulla soglia da dove egli usciva
è rimasto talmente incantato
con gli occhi tonti ferma la saliva
che il più grande gli fece: Hai rubato?

Poi ne ridemmo insieme tutti e tre
ognuno all’altro tacendo un perché
uniti da quell’ultimo perché
che lecito sembrava a tutti e tre. ( Da “Una strana gioia di vivere”) 

“Sempre fanciulli nelle mie poesie”

Sandro Penna rivendica la legittimità della propria ispirazione contrapponendo la forza del piacere a qualsiasi alternativa morale o metafisica.

“Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d’altre cose.
Le altre cose son tutte noiose.
Io non posso cantarvi Opere Pie.” ( Da “Altre”) 

Ma lo slancio verso la vita e la gloria non esclude il tormento e il senso di colpa derivati dall’esclusione familiare e sociale.

Lo stato di reietto cui il poeta è legato si interiorizza, diventa autocondanna, incapacità di accettare quello che egli stesso considera un peccato.

“Mi nasconda la notte e il dolce vento”

Sandro Penna cerca così rifugio nella natura notturna; prova a nascondersi, a sfuggire dallo sguardo degli uomini.

Mi nasconda la notte e il dolce vento

Da casa mia cacciato e a te venuto
mio romantico antico fiume lento.

Guardo il cielo e le nuvole e le luci
degli uomini laggiù così lontani
sempre da me. Ed io non so chi voglio
amare ormai se non il mio dolore.

La luna si nasconde e poi riappare
– lenta vicenda inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di guardare.” (Da “Poesie”)

“È l’ora in cui si baciano i marmocchi”

La natura non è solo nascondiglio, ma anche materna e amica. Il poeta cerca l’innocenza e l’armonia altrove precluse, in una sorta di simbiosi erotica. Alla realtà positiva della natura si oppone quella negativa della città, dove il poeta è costretto a nascondersi.

La scissione natura- società non solo contrappone l’io agli altri, ma si fa più drammatica lacerando interiormente la coscienza, divisa tra l’esaltante pulsione dell’eros e il divieto morale, di chi vorrebbe essere “normale” e chi è “diverso“. Il poeta è costretto a riconoscere colpevole la propria gioia

“È l’ora in cui si baciano i marmocchi
assonati sui caldi ginocchi.
Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi
inutilmente. Io, mostro da niente.”

Alla dolcezza di cadenze musicali Sandro Penna affida il potere di rimuovere l’orrore del proprio Eros, come unico modo per renderlo accettabile a se stesso ed ai lettori.

Nadia Rosato

 

Fonti:

Sandro Penna, Tutte le poesie ( Garzanti, 1973) 

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Nadia Rosato

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