Pompei theatrum mundi: una recensione dell’Orestea

Dal 22 Giugno al 23 Luglio 2017 si svolge presso il Teatro Grande di Pompei la prima rassegna di drammaturgia antica, con spettacoli dello spessore dell’Orestea, Antigone, Prometeo, Baccanti e Fedra. Dal 22 Giugno al 25 è andata in scena l’Orestea, rappresentata in due giorni: il primo è stato riservato all’Agamennone e il secondo e ultimo a Coefore e Eumenidi.

Il regista Luca De Fusco, dopo un inizio difficile, ha raggiunto le cento repliche dello spettacolo e ha realizzato il suo sogno: rappresentare l’Orestea lì dove l’aveva immaginata, a Pompei. L’intenzione, a detta del regista, era fondere il rispetto del testo con un’occhiata al futuro: da qui la collaborazione con Monica Centanni, docente universitaria alla Ca’ Foscari e traduttrice dell’Orestea per Mondadori, e contemporaneamente l’utilizzo di led wall.

La prima serata: l’Agamennone

APompeill’Agamennone, già messo in scena dallo stesso regista a Siracusa, è stata riservata l’intera prima serata. È stato così possibile comprendere a fondo le scelte di scenografia, anche questa già sperimentata a Siracusa: il palco è una lunga distesa di terra nera. A primo acchito, lo spettatore può collegare tale scelta alla tematica dell’Agamennone, come se quella distesa di polvere indicasse la distruzione causata dalla guerra, anche per chi l’ha vinta. Al contrario, il regista ha successivamente chiarito che essa rappresenta una sorta di scavo archeologico, capace di collegare il passato al presente e al futuro. Durante la rappresentazione, infatti, gli attori hanno più volte immerso le mani nella terra nera per portare alla luce vari oggetti: soggettiva è la decisione di tirar fuori foto di soldati dei nostri tempi o scarponi moderni ma, come detto, era una scelta consapevole per raccontare universalmente il dramma della guerra.

Molto più apprezzato, invece, è stato l’impiego dei led wall, in particolar modo per proiettare sulla scena un’immagine molto vivida nell’Agamennone. Quando Agamennone arriva ad Argo, viene accolto con un lungo tappeto rosso, presagio della sua morte. Tale scena è stata rappresentata proprio attraverso l’utilizzo degli schermi luminosi: la scena si è riempita di un fiume di sangue, proprio all’altezza del cammino dell’eroe.

Gli attori son stati eccezionali, e anche in quest’aspetto si è percepito molto il rispetto della prospettiva di Eschilo, ossia il concentrarsi sulle figure femminili. Anche nella moderna rappresentazione, infatti, le vere protagoniste son state Clitemnestra, donna avvelenata dal rancore, e Cassandra, la cui attrice (Gaia Aprea) è stata magistrale nella rappresentazione del suo delirio.

La seconda serata: Coefore e Eumenidi

Passando alla seconda serata, le Coefore e le Eumenidi hanno chiarito quel rapporto istituito dal regista tra passato e futuro: massiccio è stato, infatti, l’impiego del led wall, ora non più solo sulla scena ma anche incastonato nella porta del palazzo regale. Anche il suo utilizzo è stato preciso e funzionale.

Nell’indimenticabile scena del ritrovamento tra Elettra e Oreste, i due fratelli invocano sulla tomba il padre mortoPompei e giurano vendetta in cambio del suo aiuto. In quel momento, il led wall inserito nella porta regale è divenuto tutto bianco ed è stata proiettata l’immagine di Agamennone, sfocata, per dare l’idea della presenza del fantasma dell’eroe.

Anche al momento dell’uccisione di Clitemnestra, lo schermo è venuto in aiuto dello spettatore per chiarire il senso della tragedia: quando Oreste trascina la madre nel palazzo per ucciderla, è stata rappresentata sul led wall l’immagine di un pugnale insanguinato, accompagnato da un secondo fiume di sangue sulla scena. In tal modo, lo spettatore è stato aiutato nell’interpretazione del dramma: le Coefore sono la tragedia della vendetta e del miasma, che può essere arrestato solo con la giustizia.

PompeiNella seconda serata, inoltre, il coro ha avuto molto più spazio e il suo ruolo è stato più vicino al ruolo originale nel dramma greco: è stata rispettata la differenza tra coreuti e corifeo, il quale ha avuto la giusta importanza nello svolgimento dell’azione. A tal proposito, apprezzata è stata anche la scelta di far cantare, ogni tanto, il coro: nonostante la “modernità” del canto, il tutto ha avvicinato la moderna rappresentazione all’originale greco, in cui i coreuti, nell’orchestra, cantavano e danzavano.

Le Eumenidi “tecnologiche”

Mentre le Coefore hanno rappresentato il vertice di rispetto del testo greco, le Eumenidi, ultima tragedia, si sono definitivamente aperte al futuro: l’impiego dei led wall, in questo dramma, è stato totale. Anche in questo caso, l’utilizzo della tecnologia è stato in generale finalizzato alla comprensione del testo e allo svolgimento dell’azione.

Ad esempio, ad inizio tragedia, è stata proiettata sullo schermo la scena di Oreste che, dall’antro di Apollo, scappa Pompeiverso Atene mentre l’attore, fisicamente, fuggiva via dalla scena. Senza alcun dubbio, tuttavia, il momento più alto di comunione tra passato e futuro è stato raggiunto a fine dramma, nel momento del processo ad Oreste. Sorpresa, qui, è stata l’attrice che impersonava Atena, la quale, è stato dopo chiarito, era la stessa di Cassandra. La rappresentazione della dea è stata sublime: Atena entra in scena avvolta da una veste “metallica” totalmente d’oro, per sottolineare il suo status di divinità. In generale, la raffigurazione della dea è riuscita rispetto a quella di Apollo, il cui costume forse era troppo moderno.

Il processo “a Pompei”: tra realismo e futuro

Al momento del processo, dunque, la scenografia è venuta in aiuto. Si sono disposti sulla scena, infatti, tutti i personaggi coinvolti nell’agone giudiziario: al centro Atena, quasi giudice imparziale, e ai lati Oreste con Apollo e le Erinni. I led wall si sono accesi al momento dello scontro, e quest’impiego è stato probabilmente il più riuscito in assoluto: proiettando, da un lato e dall’altro, le figure dei personaggi coinvolti, è stata perfettamente rappresentata la contrapposizione e lo scontro tra le due parti, proprio come avveniva nell’agone greco.

Il giudizio dell’Areopago è stato altrettanto proiettato sul display. A tal proposito, la scelta del Teatro Grande di Pompei per rappresentare la trilogia, al di là della suggestione e dell’emozione, ha fatto la differenza. Sullo schermo, infatti, è apparsa proprio la cavea, come se gli spettatori fossero i giudici dell’Areopago. Il contesto “antico” ha reso il tutto più realistico: rispetto all’anno scorso, in cui la trilogia fu rappresentata al teatro Mercadante, il quale era troppo moderno per rappresentare l’Areopago, vedere sul led wall una cavea antica ha dato molto più l’idea di una vera assemblea riunita per decidere le sorti di Oreste.

Discutibile, al contrario, è stata la scelta di accompagnare la visione della cavea con la rappresentazione del voto, sempre digitale: il led wall si è riempito di quattro tacche rosse da un lato e quattro tacche verdi dall’altro, per indicare la parità. A tal proposito, sarebbe stata forse più rispettosa dell’originale la rappresentazione per alzata di mano, o il semplice comunicato da parte di Atena della parità.

La trasformazione mancata

A fine tragedia, Oreste è assolto e le Erinni si trasformano in Eumenidi, che danno il nome alla tragedia: la metamorfosi viene segnalata solo attraverso un canto comune con Atena, nella rinnovata concordia, mentre probabilmente sarebbe stato d’impatto un cambio anche di costume, stracciando, ad esempio, le vesti nere per dar spazio, sotto, a delle nuove vesti bianche, simbolo di benevolenza.

Una rappresentazione riuscita

Nel complesso, in conclusione, la rappresentazione dell’Orestea a Pompei è stata ottima, grazie al rispetto del testo greco unito a dei piccoli accenni al futuro, impiegati per attualizzare il testo e per non “annoiare” lo spettatore. Tali interventi, tuttavia, non hanno stravolto il senso della tragedia e hanno lasciato inalterata l’atmosfera di pathos che Eschilo creò magistralmente nella trilogia. Una rappresentazione, dunque, riuscita, nel nome di una rinnovata e tanto attesa valorizzazione del Teatro Grande di Pompei e del nostro patrimonio storico-culturale.

Alessia Amante