L’isola di Arturo è il secondo romanzo di Elsa Morante dopo “Menzogna e sortilegio”. Fu pubblicato nel 1957 ottenendo il Premio Strega e suscitando grande successo e attenzione da parte del pubblico. “L’isola di Arturo” fa parte del genere del “romanzo di formazione”, giacché le vicende, raccontate dal protagonista-narratore Arturo Gerace ormai adulto, ripercorrono i momenti salienti della sua infanzia e adolescenza, presentandosi come una sorta d’iniziazione alla vita.
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Arturo è orfano di madre, ed elemosina con scarso successo l’affetto del padre Wilhelm Gerace , nei confronti del quale prova una vera e propria venerazione ma in cambio riceve soltanto indifferenza; ai suoi occhi è un eroe irraggiungibile e impegnato in lunghi e misteriosi viaggi che lo allontanano frequentemente dall’isola. Il giovane Gerace proietta la sua vita in una dimensione mitica e fiabesca, una dimensione destinata a cambiare con l’arrivo di Nunziatella, la giovane sedicenne sposa del padre. Il protagonista prova disprezzo nei suoi confronti, non concedendole nemmeno il privilegio di essere nominata almeno per tutta la prima parte del libro, laddove Nunziatella è menzionata solo come “N.”. Questo tratto sottolinea l’odio nei suoi confronti, che si acuisce con la nascita del piccolo Carmine Gerace al quale sono riservate tutte le attenzioni. La tensione è agli sgoccioli e Arturo, desideroso di attenzioni, tenta il suicidio ingerendo sonniferi del padre.
Durante la convalescenza Nunziatella si prende cura di lui ,ed è in questo momento che Arturo è colto da sentimenti ed emozioni contrastanti nei confronti della donna, che bacerà non appena ritornerà in forze. Nunziatella rifiuta il ragazzo, ma al contempo è attratta da lui, ormai le certezze fanciullesche sono crollate poiché una nuova verità ha squarciato il velo dell’ingenuità: l’amore e il desiderio. Arturo, respinto da Nunziatella, conoscerà allora Assuntina che lo inizierà al sesso.
Egli è tormentato e disperato; non è più quel bambino dedito ad avventure tra spiagge e scogliere. A ciò si aggiunge una decisiva delusione nei confronti dei misteriosi viaggi di Wilhelm, che si rivelano essere assidue visite al penitenziario, poiché intrattiene una relazione omosessuale con un detenuto. Il mito paterno, la figura divina, indifferente ed onnipotente, è svanita. Arturo è senza certezze, è smarrito, è diventato uomo. Decide di arruolarsi e di abbandonare per sempre Procida, che diventa la metafora dell’abbandono dell’infanzia.
Alla vigilia della partenza si reca da Nunziatella; le dice addio dichiarandole il suo amore ma è un amore impossibile.
L’impossibilità, che trasformava in dolore simili pensieri di gioia, era un’ingiustizia snaturata, che mi struggeva!
Al momento dell’imbarco su l’aliscafo, Arturo decide di non voler guardare l’isola farsi lontana e sparire dietro di sé mentre si confonde con l’orizzonte. Preferisce pensare che non sia mai esistita.
E rimasi col viso sul braccio, quasi in un malore senza nessun pensiero, finchè Silvestro mi scosse con delicatezza , e mi disse: Arturo, su, puoi svegliarti. Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano. L’isola non si vedeva più.
La Morante considera la crescita personale come una viaggio amaro ma necessario, assolutamente convinta che essa costituisca una croce, una legge che è al di fuori della bellezza dell’età puerile ridotta a mero limbo (come ella stessa definisce).
Valentina Grasso
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