I racconti di Sartre: libertà, clausura, istituzione

Jean-Paul Sartre fuori e dentro libertà

La libertà imprigiona, come un castigo punisce con la sua doppia istituzione, quella pratica e quella etica, chiunque imbocchi una via invece che un’altra. Se la libertà è la “condizione prima” dell’azione, come scrive Jean-Paul Sartre a principio della quarta parte (Avere, fare ed Essere) de L’Essere e il Nulla, sua più intensa opera filosofica, allora è l’azione stessa a soffrire d’una mancanza che le scava, in profondità, un oceano di contraddizioni. Il paradosso è tanto più trasparente quanto più drammatico: combattere richiede un certo grado di responsabilità, risolversi nel pacifismo o nella vigliaccheria ne richiede uno differente, tuttavia entrambi risultano disgraziatamente tragici. Che fare? Restare fermi, stretti ai propri affetti, nell’abbandono verso una Voce della Coscienza che lamenta disappunto per quel poco amor di patria oppure gettarsi nella calca di combattenti con il terrore e di essere tra chi ha torto e di perdere la vita? La libertà abita i luoghi della multi-ambiguità dove non è dato riposo né giusto fremito. Fuggire da sé stessi, dai propri credo, dalle proprie ossessioni è l’arte che intende presentare Sartre tra le esistenze dei personaggi che nella raccolta di racconti Il Muro si affaccendano erosi dal proprio libero arbitrio. Erano interi, la decisione li restituisce frammentati; vivevano da sani, la scelta li disforma dentro una malattia che li reclude alla società.

Racconti e internamenti

SartreCosì le figure dei racconti: forti di una decisione eppure acquattati dietro di essa come se il vigore della scelta potesse salvarli da qualsiasi ritorsione della società. Dalla libertà non esiste evasione poiché ella stessa non sarebbe che un troncamento, pur eroico o almeno antisociale, di una delle teste d’Idra che presenta l’arbitrio. Quali, dunque, le grandi istituzioni di cui scrive l’esistenzialista? Lo Stato, innanzitutto, il quale lavora ininterrottamente per disinnescare ogni tentativo di sovversione, sorvegliando e punendo (la citazione è a una delle maggiori opere del filosofo Michel Foucault) i suoi cittadini. “Dov’eri la mattina del 9 e che facevi?”, “Hai preso parte al sabotaggio delle munizioni?”, “Dov’è Ramon Gris?”, così nell’interrogativo, meglio, nell’interrogatorio senza interruzioni, si posa lo sguardo del potere sull’individuo. Quando non la sorveglianza, il castigo: ne Il Muro i partigiani antifalanghisti sono strappati uno per uno alla propria lotta, e dove la vita è conservata non è che per merce di scambio nel gioco del sacrificio. Una consolazione mascherarsi nel grembo della propria ideologia? Misera.

Labirinti della ragione

La tessitura dell’istituzione rapisce, dunque, ogni tentativo irrazionale: fuggire dalla società, l’istituzione maggiore, è il più grave dei delitti. Eva, ne La Camera, decide per l’amore verso un folle, non pericoloso, un ossessivo (stregato, dice l’uomo di sé) di cui si prende cura nonostante le pressioni dei genitori. L’interrogativo non è soltanto il poco originale “chi è il folle, tra i due?”, quanto “per mezzo di quale sguardo si può ragionevolmente rapportarsi al mondo?”. “<<Vi sono momenti in cui divento pazza. Ma no, -pensò amaramente, – non posso diventar pazza. Sono snervata, semplicemente.>>”; allo stesso modo, la protagonista di Intimità, Lulù, non per vigliaccheria si risolve in un amore infelice quanto per il peso della sua condizione di “ragazza nata in un mondo”, come scrive Pier Paolo Pasolini nel testo teatrale Orgia. Vi sarà rimpianto? Certo, ma il rimpianto è il sentimento che abbraccia l’individuo da solo, non l’intera umanità.

L’inferno, sono gli altri?

“Gli uomini, bisogna guardarli dall’alto”, sostiene il protagonista di Erostrato, “Una sera mi è venuta l’idea di sparare [su di loro]”, comunica, ma l’amarezza gli fende uno spazio breve di lucidità: “Perché bisogna uccidere tutta questa gente che è già morta?”. Il peso della responsabilità è tutto sociale, il suicidio è già un atto metafisico, un dialogo che con la civiltà ha ben poco a che fare. Rimorso, civiltà, rispetto delle condizioni, ecco la crescita del piccolo Luciano, destinato a diventare un capo come suo padre. Nel destino nessuna azione è contemplata alla pratica umana. Egli non deve decidere per sé stesso, la sua omosessualità o anche solo una vita differente sono soffocate e rimosse dalla strada luminosa verso l’avvenire nella cui privazione si dispiega l’ordito dei racconti: cos’è l’avvenire se non ciò che ancora non è stato ma che è già descritto in un progetto dell’Immaginario?

Antonio Iannone

BIBLIOGRAFIA

J.-P. Sartre, L’Essere e il Nulla, Il Saggiatore, Milano 2014, trad. it. di G. del Bo.
J.-P. Sartre, Il Muro, Giulio Einaudi editore, Torino 1947, trad. it. di E. Giolitti.
M. Foucault, Sorvegliare e Punire, Giulio Einaudi editore, Torino 1976, trad. it. di A. Tarchetti.
P. P. Pasolini, Orgia, in Tutte le opere. Teatro, A. Mondadori, Milano 2001.