Tra Dio e Satana. Napoli vista da Goethe

Lo spirito nordico incontra quello mediterraneo nelle bellissime lettere del Viaggio in Italia che Goethe dedica alla città di Napoli. E ciò che si crea è un connubio unico: lo sguardo di un artista si posa sulle bellezze che i napoletani danno per scontate, le ammira dall’alterità della sua posizione, che gli permette di scoprire un mondo pullulante di vita e costantemente in attività. È questa l’immagine più evocativa che Goethe ci abbia lasciato di Napoli: il brulichìo perenne, disordinato ed esuberante, di una città che non si spegne mai.

La raccolta: “Goethe.I miei giorni a Napoli”

goethe tischbein napoli
Tischbein, Goethe che legge

L’editore napoletano Dante e Descartes, molto caro agli studenti universitari che bazzicano il centro storico, ha di recente pubblicato la parte del Viaggio in Italia di Goethe dedicata a Napoli. “I miei giorni a Napoli” s’intitola la raccolta, ed è inaugurata da un disegno del pittore tedesco Tischbein, fedele compagno dell’autore nel corso del suo viaggio e ritrattista dei più celebri dipinti che ritraggono Goethe. In appendice, poi, c’è uno scritto di Giuseppe Montesano, una di quelle interviste impossibili che ogni lettore avrebbe voluto intrattenere col suo nume tutelare letterario almeno una volta nella vita: Montesano dialoga con Goethe passeggiando sul lungomare; cosa ci fa Goethe di nuovo a Napoli? “E dove potrei rinascere se non qui?”.

L’introduzione, curata da Raimondo di Maio, mette subito in luce quale sia la portata delle descrizioni che Goethe dà di Napoli: lottando contro l‘incomunicabilità che pure egli temeva fosse insita in ogni esperienza vissuta in prima persona (Erlebnis in tedesco ha la stessa radice del verbo tedesco leben, vivere), smonta stereotipi e pregiudizi e restituisce alla città la sua dimensione poetica più autentica, quella in cui si può parlare dei colori accesi del suo cielo e delle sue contraddizioni senza perdere un briciolo di autenticità e forza espressiva. Sotto il cielo serenamente azzurro non c’è nulla di vistoso, poiché nulla può vincere lo splendore del sole e il suo riflesso del mare. 

Per Goethe, Napoli è una città costretta tra Dio e Satana: sicuramente aveva in mente la potenza distruttiva del Vesuvio, meta di ben tre escursioni e oggetto di molte notti trascorse in contemplazione, ma anche oggi quest’immagine resta viva nella mente dei suoi abitanti.

Un superbo tramonto, una sera celestiale deliziarono il mio ritorno; ma sentivo chiaramente l’effetto sconvolgente di quel mostruoso contrasto. La terribilità contrapposta al bello, il bello alla terribilità: l’uno e l’altra si annullano a vicenda, e ne risulta un sentimento d’indifferenza. I napoletani sarebbero senza dubbio diversi se non si sentissero costretti fra Dio e Satana.

Napoli, 28 maggio 1787

A Napoli vi sarebbero da trenta a quarantamila fannulloni. […] non tardai a sospettare che il ritenere fannullone chiunque non s’ammazzi di fatica da mane a sera fosse un criterio tipicamente nordico.

In questa lettera, Goethe si propone nientemeno che di sfatare uno dei più radicati pregiudizi nei confronti di Napoli: quello sul carattere inattivo e ozioso del suo popolo. Si mette quindi alla ricerca di questa massa di oziosi, rivolgendosi innanzitutto al popolo, ma ciò che trova è una situazione del tutto diversa. Il suo sguardo si muove per le vie della città e scopre ragazzini che s’industriano, artigiani, venditori ambulanti e “rivenduglioli girovaghi” ad ogni angolo. I più piccoli si danno da fare per portare il pesce al mercato, altri raccolgono in piccole ceste pezzetti di legno e ramoscelli e cercano di rivendere le loro piccole provviste, altri ancora s’improvvisano mercanti di frutta e dolciumi presso i loro coetanei. Ciascuno sembra voler condividere e ingigantire quella festa del consumo che a Napoli si celebra tutti i giorni.

La tesi di Goethe, tutt’altro che scientifica, non è comunque priva di forza espressiva: il clima nordico impedirebbe all’uomo di godere delle ore più belle della giornata perché costretto a lavorare per fare scorte in vista dei mesi più rigidi: è la natura che lo costringe ad adoperarsi, a premunirsi. Al contrario, il clima prodigo del sud Italia permetterebbe di soddisfare senza sacrifici non solo le esigenze più urgenti, ma soprattutto di godersi il mondo nel modo migliore. Con un’immagine estremamente pittoresca, Goethe scrive che un accattone napoletano sdegnerebbe senza pensarci due volte il governo della Siberia o della Norvegia, pur di rimanere accattone nella sua Campania felix.

Questa versione goethiana della teoria dei climi, molto diffusa negli ambienti intellettuali del Settecento (lo stesso Goethe utilizza un’argomentazione simile per spiegare l’eccezionale produzione letteraria del mondo classico e greco in particolare), non dev’essere considerata come un ennesimo stereotipo, ma come il tentativo, da parte di un uomo colto, di motivare l’inesauribile forza vitale che Napoli gli presentava: il torrente impetuoso di Napoli e la sua violenza.

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

I miei giorni a Napoli, Goethe, ed. Dante & Descartes. Con E dove potrei rinascere se non qui? di Giuseppe Montesano