Nel precedente articolo abbiamo chiarito ciò che possono essere considerati gli elementi essenziali del montaggio connotativo. In questo, invece, ci dedicheremo al montaggio formale.
Come abbiamo già detto la volta scorsa, l’esistenza di più modalità o forme di montaggio non implica che esse si escludano a vicenda ma, al contrario possono armoniosamente coesistere nell’ambito di uno stesso effetto di montaggio. Ciò è parso evidente proprio con uno degli esempi già fatti: l’immagine dell’astronave che segue quella dell’osso in 2001: odissea nello spazio (Kubrick – 1968). In questo senso, il rapporto fra due inquadrature può essere nel contempo narrativo, semantico e anche estetico.
La funzione estetica del montaggio è quella che tende a porre in primo piano degli effetti di tipo formale, attraverso l’accostamento di immagini che instaurano fra loro un rapporto di volumi, superfici, linee, punti, al di là della concreta natura degli elementi rappresentati. Ovviamente, il fatto che il montaggio formale non sia per sua natura in conflitto con quello connotativo è evidente.
Nel cinema d’avanguardia degli anni Venti il montaggio formale ha trovato proprio uno dei suoi momenti di massima intensità (ma anche nei lavori audiovisivi odierni, soprattutto nell’ambito degli spot pubblicitari o nei videoclip).
Un regista che si è dedicato a un modello di rappresentazione alternativo a quello classico è certamente il giapponese Yasujirô Ozu. Egli, frequentemente, nei dialoghi gioca proprio sulla ricerca di associazioni e sovrapposizioni di tipo formale rifiutando il classico campo e controcampo e ponendo la macchina da presa proprio sull’immaginaria linea che unisce gli interlocutori.
In questa scena, una dei tanti dialoghi che si succedono fra la coppia e Setsuko, Ozu riprende i personaggi uno a uno ponendo la macchina da presa sulla linea immaginaria che li unisce, inquadrandoli frontalmente. Lo sguardo non appare rivolto l’uno verso l’altro ma verso la macchina da presa e, poi, c’è anche una certa ricerca estetica nelle soluzioni scenografiche facendo in modo che gli oggetti posti alle spalle dei personaggi abbiano una forma rettangolare. Le inquadrature che si succedono hanno delle esplicite analogie formali: la frontalità, la direzione dello sguardo, i volti che occupano la stessa dimensione schermica e il sovrapporsi degli oggetti alle spalle.
Le inquadrature, in questo modo, più che succedersi l’una all’altra si sovrappongono creando uno splendido gioco di somiglianze.
Di certo, il montaggio formale appena esposto pone delle importanti conseguenze sul piano della comunicazione filmica e anche per quello della costruzione del significato. Da un lato c’è una rappresentazione quasi straniante, la quarta parete viene abbattuta e i protagonisti appaiono interloquire con gli spettatori. Dall’altro, questa tipologia di montaggio esprime in modo pieno e adeguato il rapporto di profonda armonia che lega i personaggi.
Gli esempi di montaggio formale non sono pochi, la storia del cinema ne è ricca:
il sintagma è costruito dall’alternarsi di due inquadrature il cui soggetto principale è diverso, ma la cui struttura formale è identica nell’ambito di un rapporto di tipo speculare.
Il cinema ancora una volta crea e mostra qualcosa di incorporeo: il sentimento di profonda mancanza che provano i due protagonisti.
Cira Pinto
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