La rivoluzione dei santi: come si sviluppò il fenomeno?

Il culto dei santi fu praticato fin dal Cristianesimo primitivo, ma come si sviluppò nei secoli? Chi fece da “impresario”? Quali le ragioni del successo?

Il culto dei santi ha tutt’ora un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa cattolica. Lo sviluppo del culto non fu però dovuto ad una imposizione “popolare”, ma – come ricorda Peter Brown nel suo Il culto dei santi (Einaudi, 2002) –  a «radici ben più profonde. Sentimenti intensi di devozione per figure sante e defunti martirizzati risalgono fino al tardo giudaismo: esse sono parte di un imponente continuum di credenze».

Gli “impresari” del culto dei santi

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Paolino di Nola

Furono poi i vescovi a ufficializzare e incoraggiare il culto dei santi. Basti pensare ad Ambrogio che, nel 385, in occasione del ritrovamento delle reliquie dei santi Protasio e Gervasio, fece subito traslare le reliquie sotto l’altare della nuova basilica collegandole così alla liturgia eucaristica episcopale. Quindi – nota Brown – che «Ambrogio non aveva “introdotto” il culto dei martiri a Milano, ancor meno era stato acquiescente in modo puramente passivo nei confronti di pratiche precedenti».

Lo stesso accadde per Paolino di Nola, una figura di grandissimo rilievo, che si prodigò per la costruzione di un santuario per san Felice, cui era devotissimo. Anche Agostino di Ippona aveva i suoi santi protettori, per questo nell’ultimo libro della Città di Dio, presenta un lungo elenco dei miracoli compiuti in vari santuari locali per intercessione di santo Stefano. E Agostino non può certo essere accusato di tiepidezza nei confronti del paganesimo. Scrive ancora Brown:

Non siamo davanti né ad un compromesso riluttante o politico con una forma di “religiosità” popolare, né a misure messe in atto per assorbire “masse” pagane prive di guida per mezzo di una dose omeopatica di “superstizione”.

Due nuove categorie: donne e poveri

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Ambrogio

E se Ambrogio e Agostino vietavano le laetitiae (sorta di banchetti) presso le tombe dei martiri, era soprattutto per l’effetto disgregante del ruolo di patronus che il santo rivestiva nei confronti della comunità. E quest’ultima comprendeva «due categorie insolite e potenzialmente disgregatrici, le donne e i poveri»; il santo era per tutti, anche per chi non poteva permettersi – per motivi sociali o economici – di organizzare feste presso i sacrari. Del resto, una caratteristica importante era proprio il momentaneo annullamento delle barriere sociali e sessuali che si verificava in occasione delle processioni. In particolare

Per le donne del mondo antico, le aree cimiteriali erano sempre state una zona di «gravità debole”, dove i loro movimenti e la scelte delle persone a cui accompagnarsi erano meno soggette all’esame dei maschi e al controllo della famiglia. […] La situazione dei poveri era analoga a quella delle donne. Il senso di solidarietà […] fece di essi [i santuari, ndr] il naturale luogo di aggregazione per i poveri.

Una nuova classe di benefattori: le matrone

Ma alla nuova classe di beneficiari, corrispose – da parte della Chiesa cattolica – anche la scelta di una nuova classe di benefattori: le matrone. Le quali furono sempre più incoraggiate ad assumere un’inedita funzione pubblica. Brown non esita a parlare di «una generazione eccezionale», con uomini e donne che dovunque «erano pronti a mettere a disposizione tutte le risorse culturali proprie delle classi alte…». Quindi, non siamo di fronte a concessioni riluttanti ma ad un gruppo di “impresari” che «prendeva iniziative, compiva scelte e coniava, così facendo, un linguaggio pubblico che si sarebbe conservato nell’Europa occidentale fino al medioevo».

Il compagno invisibile

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Agostino di Ippona

Brown non manca però di interrogarsi sulla natura profonda del culto dei santi. Il bisogno di avere un protettore invisibile è senza dubbio precedente, come dimostrano le varie figure del daimon, del genius e poi dell’angelo custode. Ma basta studiare l’intenso dialogo che Paolino di Nola intrattiene, nei suoi carmi, con san Felice per rendersi conto della differenza. Infatti tutte le figure precedenti erano non umane, idealizzate e senza tempo. Il santo, invece, ha un volto umano e storico. Spiega Brown:

Parlare di un uomo quale Paolino come se avesse semplicemente sostituito la venerazione degli dei antichi con il suo attaccamento a san Felice, significa impiegare un modello troppo statico per spiegare il mutamento.

Infatti l’umanità del protettore permetteva di identificarsi con lui «in quanto compagno di condizione umana» e il culto dei santi, proprio per il suo carattere di rapporto “umano”, scoraggiava l’adorazione delle antiche figure pagane. Il santo non è un dio o un angelo che deriva i suoi poteri semplicemente dal posto che occupa in una gerarchia spirituale, ma un intercessore che opera proprio perché servo di Dio. I santi costituivano una testimonianza continua – e potente – della speranza cristiana della risurrezione.

Ettore Barra