Lo Spaccio della bestia trionfante di Giordano Bruno: l’analisi

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Tra i testi pubblicati in gran fretta da Giordano Bruno durante il soggiorno londinese, tra il 1584 e il 1585, si è soliti operare una divisione tra opere di argomento cosmologico e opere morali. Queste ultime comprendono, in ordine di pubblicazione, lo Spaccio della bestia trionfante, la Cabala del cavallo pegaseo e gli Eroici furori.

Nello Spaccio, in particolare, Bruno propone, per bocca di un anziano e disincantato Giove, una vera e propria riforma celeste: la sostituzione – ossia lo “spaccio” – dal cielo delle vecchie immagini bestiali, emblemi dei vizi che affligono l’umanità, con le corrispettive virtù. Per compiere questa difficile operazione, come vedremo, entrano in gioco fattori relativi a tutti gli ambiti d’interesse del Nolano: etica, cosmologia, religione e anche politica.

L’antiantropocentrismo dello Spaccio della Bestia Trionfante

Tra le righe di questa trattazione allegorica, che intende restaurare “meriti, gerarchie e differenze” [1] , il discorso di Giordano Bruno opera a diversi livelli, uno dei quali è di natura antropologica. Giordano Bruno usa lo Spaccio della Bestia Trionfante per fare un generale discorso sull’uomo, contestualizzato nel dibattito religioso tra justitia sola fide luterana e valorizzazione dell’azione umana. Alla base dell’agire umano, secondo Giordano Bruno, devono essere poste la Fatica, la Sollecitudine e lo Zelo. In quest’ottica, Bruno critica aspramente l’età dell’oro, mito tanto caro agli uomini del Rinascimento:

nell’età dumque de l’oro per l’Ocio gli uomini non erano più virtuosi che sin al presente le bestie son virtuose, e forse erano più stupidi che molte di queste. [2]

Quest’etica della praxis si fonda su un assunto di natura non morale, ma ontologica: è vero che esiste una differenza tra uomo e bestia, ma questa differenza non va riscontrata in una diversa disposizione spirituale – tant’è vero che, se un serpente si trovasse nel corpo di un uomo, sarebbe uomo a tutti gli effetti – bensì in un fatto del tutto materiale: l’utilizzo delle mani.

Il tema, che viene maggiormente sviluppato nella Cabala, pone Giordano Bruno in netto contrasto con il classico motivo rinascimentale affrontato, tra gli altri, da Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, della dignità dell’uomo: l’unica dignità che l’uomo può vantare, infatti, sta nella sua capacità fisica di plasmare il mondo a proprio vantaggio, che gli è data non per volere divino, ma perché lo “sviluppo vicissitudinale” della realtà ha prodotto, casualmente, questo risultato. “Il possesso dell’intelligenza, dell’elemento che lo diversifica e lo distingue dagli altri viventi, non è dovuto a una differenza ontologica originaria. Non è un “dono” particolare concesso soltanto all’uomo da Dio. […] è semplicemente l’effetto della forma acquistata dal suo corpo nella vicissitudine eterna a cui è soggetta tutta la realtà.” [3]. L’uomo, in poche parole, ha potuto affinare la propria ragione e sviluppare una civiltà evoluta grazie all’uso delle mani.

In questo senso, quindi, Bruno si attesta su posizioni radicalmente opposte rispetto all’antropocentrismo rinascimentale: non c’è alcun primato dell’uomo nell’universo, l’unica cosa che lo rende “diverso” è la sua capacità – potremmo, a questo punto, parlare della sua libertà – di servirsi della ragione e delle mani per influire sulla vicissitudine eterna, cioè per plasmare il proprio destino. Come ha osservato Aniello Montano, Bruno rituffa l’uomo nel flusso perenne dell’infinita materia.

Riforma religiosa, civile e politica

Partendo da questa premessa, unitamente al contesto storico dal quale scaturisce lo Spaccio della Bestia Trionfante – le guerre di religione che dilaniavano l’Europa alla fine del Cinquecento – risulta evidente che esso non sia solo un testo di filosofia morale, bensì anche, ad un livello implicito, un trattato politico (nella misura in cui politica e religione sono strettamente connesse).

Monumento a Giordano Bruno in piazza Campo de Fiori, Roma

L’allegoria della riforma celeste è stata interpretata in vario modo, ma volendo riscontrare due tendenze prevalenti possiamo distinguere un’interpretazione ermetica, che fa capo agli studi di Frances Yates, e un’interpretazione simbolica, che ha invece ridimensionato l’influsso delle fonti ermetiche su Bruno e messo in secondo piano il sostrato magico del suo pensiero.

Lo Spaccio della Bestia Trionfante è indubbiamente permeato da riflessioni ermetiche: la traduzione del Lamento ermetico, la presenza della dea Iside e l’elogio della religione egizia ne sono la prova; ciononostante, l’idea che Bruno intendesse posizionare ciascuna virtù in un particolare luogo del cielo affinché tale virtù esercitasse un effettivo influsso sull’umanità [4] può apparire, oggi, un po’ limitante. Analizzando le figure dello Spaccio, inoltre, sono stati riscontrati svariati riferimenti alla realtà politica in cui viveva Bruno: la corona australe di cui si dice tertia coelo manet, ad esempio, allude a re Enrico III di Valois, che dopo aver ottenuto il trono di Polonia e di Francia aveva rinunciato ad ulteriori conquiste territoriali. Durante il suo soggiorno in Francia, Bruno era stato effettivamente vicino al re e ai suoi sostenitori.

L’attacco all’Ozio accennato sopra, infine, costituisce una critica a Lutero e ai suoi seguaci, gli “angeli perniciosi” che porteranno l’attuale civiltà alla rovina. La filosofia della storia di Bruno, infatti, concepisce il tempo come una ruota e tutti gli avvenimenti come un’eterna vicissitudine; Lutero sarebbe, per Bruno, il punto più basso della ruota nella fase della civiltà giudaico-cristiana.

In qualità di Mercurio, cioè di messaggero di una nuova era, nello Spaccio Bruno si assume il compito di risvegliare le coscienze e richiamarle al proprio dovere, esercitare la libertà di cui sono corporalmente – e non spiritualmente – dotate.

Maria Fiorella Suozzo

Fonti

[1] Giordano Bruno, Michele Ciliberto, Laterza

[2] Spaccio della bestia trionfante, Giordano Bruno, in Opere italiane, vol. II

[3] La mente e la mano. Aspetti della storicità del sapere e del primato del fare in Giordano Bruno, Aniello Montano

[4] cfr. Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Frances Yates

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Maria Fiorella Suozzo

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