Jan Fabre a Firenze, tra immaginazione e scandalo

Poco comprensibile, provocatoria, scandalosa: così è definita oggi l’arte contemporanea di cui spesso si ignorano i presupposti, i mezzi espressivi, le idee che ne sono alla base. Talvolta però certe critiche non sono del tutto ingiuste, in primis quando viene a mancare il rispetto per se stessi e per gli altri. Nel panorama attuale uno degli artisti più ambigui e discussi è Jan Fabre, di origine belga, attivo anche come coreografo, regista teatrale e scenografo.

Quest’anno è Firenze, culla del Rinascimento, a dedicargli una mostra, intitolata Jan Fabre, spiritual Guards, ospitata in quei luoghi che rappresentano il cuore pulsante della città: la storica fortezza di Forte Belvedere, Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria. Sono esposte circa cento opere, tra sculture, lavori in cera e film che documentano varie performances, realizzate tra gli anni ’70 del Novecento ed oggi, illustranti l’intero percorso di Fabre che ha fatto dell’interdisciplinarità la cifra del suo lavoro.

Jan Fabre a Firenze, tra immaginazione e scandalo

Jan Fabre: l’artista come “guida spirituale”

In Piazza della Signoria si erge maestosa la scultura bronzea Searching for Utopia, autoritratto dell’artista a cavallo di una enorme tartaruga, posta a fianco della statua equestre di Cosimo I realizzata dal Giambologna; e se si alza lo sguardo verso l’Arengario di Palazzo Vecchio si vede, tra le copie del David di Michelangelo e la Giuditta di Donatello, un’altra scultura, anch’essa un autoritratto in bronzo di Fabre, dal titolo The man who measures the clouds.

Immediatamente è esplosa la polemica: sarebbe inappropriata la scelta del luogo, impensabile un dialogo tra opere  così diverse. A detta dell’artista le sue due sculture sono state pensate proprio per lo specifico contesto di Piazza della Signoria, ma non è propriamente vero. Si tratta in effetti di opere realizzate anni prima e collocate lì in occasione dell’esposizione; non bastano i richiami iconografici, né il fatto che il basamento di 90 centimetri della scultura Searching for Utopia sia uguale a quello delle altre statue della piazza.

Jan Fabre a Firenze, tra immaginazione e scandalo
Jan Fabre, Searching for Utopia Firenze, Piazza della Signoria. Fonte: musefirenze.it

Operazione di marketing o meno, ciò che però è estremamente affascinante è il significato dei due lavori. Per Fabre l’artista è una guida, dotata di un potere speciale  che non è potere politico o economico, ma quello dell’immaginazione che consente di superare le contingenze, le terrene possibilità, di toccare dimensioni altre, perché solo con l’immaginazione si possono misurare le nuvole. È da qui che si può partire per affrontare la questione da un punto di vista differente; ed ecco che entra in gioco il pubblico perché, si sa, molta arte contemporanea affida le redini proprio all’osservatore, il quale è chiamato costantemente ad interagire, a completare l’opera che fino all’intervento del suo destinatario non può dirsi conclusa. Quindi se pure le sculture di Fabre non sono state realizzate appositamente per dialogare con quel museo a cielo aperto che è Piazza della Signoria, non è detto che delle connessioni, dei legami più o meno profondi, più o meno fondati, non possano essere trovati da chi si trova ad ammirarle. Non è forse questo il potere dell’immaginazione?

Jan Fabre, l’arte da condannare

Nelle sale di Palazzo Vecchio ci si imbatte in un grande mappamondo, dal diametro di 2.50 m; ma la particolarità non è certo la dimensione, bensì il fatto che è interamente rivestito di scarabei dal carapace cangiante in presunto dialogo con il globo cinquecentesco della Sala delle Carte geografiche realizzato da Egnazio Danti. Quest’opera, così come il teschio anch’esso formato da scarabei che addenta uno scoiattolo impagliato (presente nella medesima mostra), ha suscitato scandalo e soprattutto l’ira degli animalisti che mesi fa hanno firmato e presentato al sindaco di Firenze una petizione affinchè venissero rimosse quelle opere in cui sono utilizzati cadaveri di animali; e, sebbene Fabre abbia sempre detto di essere nipote dell’ entomologo Jean-Henri Fabre (molto probabilmente un caso di omonimia piuttosto che di parentela!), i precedenti dell’artista certamente non depongono a suo favore: si pensi, ad esempio, alla performance di Anversa del 2012 durante la quale egli lanciava in aria dei gatti e che gli è costata una meritata aggressione da parte dei passanti. Fabre si è difeso sostenendo di aver usato per queste opere animali già morti e di non aver quindi commesso alcuna violenza, ma a questo punto è lecito nutrire qualche dubbio. Certamente il performer belga non è l’unico a strumentalizzare con crudeltà gli animali per ottenere effetti visivi nelle sue azioni artistiche e ci sono anche artisti che provocano lesioni a se stessi e ad altri nelle loro performances (l’esempio limite è rappresentato dall’Azionismo Viennese). Ma è davvero artista chi fa violenza a stesso, ad altri individui o animali fino a metterne in pericolo la vita stessa?

Emanuela Ingenito