Cinema horror

Il thriller – horror italiano, da Mario Bava a Dario Argento

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Verso la fine degli anni Cinquanta, con film come La maschera di Frankenstein (1957) e Dracula il vampiro (1958) di Terence Fisher, l’horror comincia una fase di ripresa anche nel cinema italiano.

Sarà però solo nel 1960 che verranno alla luce in Italia film riconducibili al genere horror. “La maschera del demonio” di Mario Bava; “Il mulino delle donne di pietra” di Giorgio Ferroni; “L’ultima preda del vampiro” di Piero Regnoli; “Seddok l’erede di Satana” di Anton Giulio Maiano; e “L’amante del vampiro” di Renato Polselli.

L’horror italiano nasce imitando i canoni anglosassoni, ma tendenzialmente possiede un elemento che lo caratterizza e che lo distingue: la centralità della figura femminile. Ci sono, ad esempio, donne vampiro e streghe che possono essere considerate come dei veri e propri tratti distintivi della poetica di autori come Bava e Freda.

L’horror italiano di Riccardo Freda

Riccardo Freda (Alessandria d’Egitto, 24 febbraio 1909 – Roma, 20 dicembre 1999), di origini napoletane, comincia la carriera di sceneggiatore con Gennaro Righelli, Goffredo Alessandrini e Raffaello Matarazzo. Ma è nel 1942 che, con il film Don Cesare di Bazan, che esordisce come regista.

Nella parte iniziale della sua filmografia tende al filone storico-avventuroso; tuttavia, nel 1956 con il film “I vampiri”, il suo nome comincia ad essere legato a quello del genere horror.

Freda, nei suoi film, mostra l’orrore come un qualcosa di propriamente umano, legato all’insita e onnipresente malvagità e non come un qualcosa di partorito da entità sovrannaturali.

L’horror italiano di Mario Bava

Di contro, Mario Bava, già dal suo esordio (La maschera del demonio del 1960) cura particolarmente l’aspetto figurativo e la composizione delle immagini; film come I tre volti della paura (1963), La frusta e il corpo (1963), Operazione paura (1966), Cinque bambole per la luna d’agosto (1969) sono caratterizzati da un uso espressionistico del colore e da un utilizzo frenetico dello zoom (considerato anche esagerato da alcuni critici).

Alla fine degli anni Settanta il fenomeno horror si è in gran parte concluso da tempo e, sulla scia della risonanza ottenuta da George Romero con Zombi (1978), l’horror italiano trova una reincarnazione in soli alcuni titoli di Lucio Fulci (Zombi 2 – 1979, Quella villa accanto al cimitero – 1981) e di Umberto Lenzi (Incubo sulla città contaminata – 1980, Cannibal ferox – 1981).

Il thriller italiano

La strada del thriller italiano viene tracciata, ancora una volta, dal geniale Mario Bava. La ragazza che sapeva troppo (1962) e Sei donne per l’assassino (1964) hanno tutti gli archetipi del genere: l’assassino vestito di nero; atipici movimenti di macchina (Reazione a catena, del 1971, è uno degli esempi più convincenti); infine un generale clima di minaccia.

Ma, l’autore italiano che viene universalmente riconosciuto come il maestro del brivido (italiano!) è Dario Argento. Il regista romano, con L’uccello dalle piume di cristallo (1970), mette a punto uno schema nel quale i meccanismi del giallo sono calati in angoscianti contesti urbani dotati di una prepotente carica di violenza. Dario Argento riprende molte delle caratteristiche che sono tipiche dell’horror italiano (il colpevole è spesso una donna, il trauma che ha comportato la follia omicida è frequentemente di origine sessuale e l’assassino si accanisce su vittime di sesso femminile). La formula viene perfezionata ne Il gatto a nove code (1971) e in Quattro mosche di velluto grigio (1972) sino ad arrivare a Profondo rosso (1975) nel quale il primato delle immagini viene definitivamente sancito. Con i successivi Suspiria (1977) e Inferno (1980) Dario Argento pare però essersi spostato più sul versante horror che su quello del thriller.

Sulla strada di Dario Argento si apporranno anche altri cineasti come Lucio Fulci, Sergio Martino e Pupi Avati; ma, alla metà degli anni Settanta, il genere thriller viene messo da parte a causa della dirompente crescita e supremazia del genere poliziesco. Riavrà un temporanea ripresa all’inizio degli anni Ottanta: Tenebre (1982 – Dario Argento), di fatto, costituisce la summa e il testamento del genere che ha caratterizzato un’intera epoca del cinema italiano.

Cira Pinto

Bibliografia:

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Cira Pinto

Cira Pinto, nata a Torre del Greco l'8 dicembre del 1990. Cresciuta tra le videocassette Disney e le ginestre che tanto hanno ispirato Leopardi, decide il suo futuro accademico guardando ''Biancaneve e i sette nani''. Laureata al corso di laurea magistrale in Filosofia presso l'Università di Napoli Federico II con una tesi in Filosofia Morale dal titolo ''Il cinema come arte del tempo. l'analisi deleuziana, tra classicità e modernità''. Ha frequentato il corso di Analisi e critica cinematografica e quello di Sceneggiatura alla scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme. Collabora con LaCOOLtura da gennaio 2015.

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