Cinema italiano

Le cinque rose di Jennifer, tra difficoltà e malinconia

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Le cinque rose di Jennifer è un film tratto dall’omonima opera teatrale a cura di Annibale Ruccello, e diretto nel 1989 da Tomaso Scherman.

Quando si vede Jennifer ci si sente a casa, allegri e di buon umore, ma basta davvero poco per capire che la sua spensieratezza è solo becera finzione.

Basta poco per capire che la luce negli occhi di Jennifer è solo riflessa, la felicità solo plastica e tutte quelle moine, tutta quella voglia di cantare… è tutto solamente frutto del suo grande disagio: “L’auciello ‘nta cajola, si nu’ ccanta p’a rraggia canta p’ammore”.

Jennifer è proprio l’auciello solitario che chiuso e costretto sul suo ramo canta fantasticando ed esorcizzando con i suoi modi di fare la realtà che la circonda.

Le cinque rose di Jennifer: orrori (apparentemente) ignorati

Napoli, 1970. Jennifer è un giovane travestito napoletano residente nel nuovo e rinomato quartiere residenziale “la vela”, situato nell’area nord della città. Jennifer è allegra, solare ed estroversa, ama cantare e raccontare di sé. Vive la sua difficile esistenza in maniera così disinvolta che talvolta sembra essere davvero una bella e semplice vita.

Ma la verità è come la polvere sotto al tappeto, volutamente nascosta e volutamente ignorata.
Vivere nel suo quartiere significa fare quotidianamente i conti con tutta una serie di difficoltà catalogabili e descrivibili solo da chi ancora adesso le vive.

Una tra queste, per esempio, è la fantasmagorica presenza di un serial killer che sceglie accuratamente le sue vittime tra i travestiti del quartiere seminando il terrore tra i condomini, tra tutti eccetto Jennifer che con il suo solito modo di fare ad ogni notizia radiofonica preferisce ignorare e godersi la bella voce di Patty Pravo.

Il cuore della vicenda si svolge in un luogo circoscritto, quello dell’ambiente casalingo in un giorno qualsiasi: la vita della giovane non è altro che un altalenante andirivieni tra radio e telefono.
Quest’ultimo è un elemento chiave, piuttosto simbolico ed emblematico per l’intera vicenda: il telefono è uno dei pochi mezzi che permette una comunicazione con il mondo esterno, è l’unico elemento al quale Jennifer si attacca con le unghie e con i denti, è la sua speranza più grande.

Non solo la protagonista aspetta la telefonata del suo caro Franco, passione di una notte, attorno alla quale figura ricama una serie di illusioni per “ far vedere” agli altri quanto perfetta sia la sua vita, ma ad ogni telefonata (non indirizzata a lei in quanto a causa di un’interferenza il segnale telefonico è disturbato) prova sempre a raccontare di se stessa e della sua vita ma con scarsi risultati: chi telefona per errore è sempre frettoloso, scostante e poco intenzionato ad ascoltare il celato-disperato sfogo.

Le cinque rose di Jennifer è un film estremamente intelligente perché veste i panni di una commedia, ma la gonnella, quella usata per tenere al riparo la propria intimità è pesantemente rivestita di un velo tragico.
La vicenda, come in precedenza detto, si svolge tutta in un solo giorno solare e questo sembra quasi collegato all’umore e alle emozioni della protagonista che vanno incupendoci con il calare della notte e quasi ossimoricamente il calare delle tenebre mette in luce agli occhi della protagonista la verità, la vera essenza della sua vita fatta prevalentemente di apparenze.

I dialoghi di Le cinque rose di Jennifer sono molto ben concepiti perché veramente aderenti ai personaggi ben caratterizzati e magistralmente interpretati da attori che sembra proprio che respirino a pieni polmoni l’aria nera della faccia sfregiata della città costretta in una soffocante morsa che stringe da un lato e separa dall’altro, stringe soffocando e separa dalla città una fetta della stessa, rendendo schiavi della solitudine che forse è il vero killer: silenzioso e fantasmagorico.

Corinne Cocca

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Corinne Cocca

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