Libro di Daniele: una Bibbia bilingue

Daniele è uno dei libri che appartengono al canone della Bibbia. La sua più grande peculiarità, è quella di essere un testo bilingue. Un lettore allenato a riconoscere l’ebraico biblico, scorrendo le pagine di Daniele, si troverebbe improvvisamente disorientato. Nel bel mezzo della narrazione, la lingua del testo cambia dall’ebraico all’aramaico.

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Daniele 2, 1-4 secondo la CEI 2008. In giallo la parte ebraica in rosso quella scritta in aramaico.

Daniele: uno scritto recente

Il libro di Daniele è uno dei testi più recenti del I Testamento, infatti, secondo il canone della Bibbia ebraica, esso si colloca nella sezione degli scritti, i testi cioè che seguono la legge (Torah) ed i profeti[1].
Nella concezione ebraica il libro di Daniele gode di un’importanza minore, appartenendo all’ultimo stadio di composizione degli scritti biblici, quello più recente. Lo stesso termine ‘Gli Scritti’ denota un valore inferiore rispetto a quello normativo della Torah. Daniele e gli altri scritti, si limitano quindi ad avere un carattere pedagogico ed edificante secondo l’ottica ebraica.

Al contrario, secondo il canone cristiano, il libro di Daniele è di grandissima importanza: esso è collocato fra i libri profetici a motivo della sua rilevanza cristologica. Gesù di Nazareth si identificherà nella figura apocalittica del figlio dell’uomo riportata dal libro di Daniele. Seguendo il Vangelo di Marco, Gesù citò espressamente il passo di Daniele 7, 13 davanti ai sommi sacerdoti, che poterono così agilmente procedere alla condanna a morte.

 60Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». 61Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». 62Gesù rispose: «Io lo sono!

E vedrete il Figlio dell’uomo

seduto alla destra della Potenza

e venire con le nubi del cielo».

63Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo

ancora di testimoni? 64Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti

sentenziarono che era reo di morte. 

 Marco 14  CEI 2008

Daniele bilingue

Il libro di Daniele continua a stupire gli studiosi a motive della sua composizione eterogenea: improvvisamente da 2,4 la lingua cambia dall’ebraico all’aramaico fino a tutto il capitolo 7.

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Daniele 2, 1-4. In giallo l’ebraico ed in rosso l’aramaico. Il termine in verde viene ancora considerato come parte dell’ebraico. Il cambiamento di lingua non è immediatamente visibile perché l’aramaico biblico è comunque scritto secondo le consonanti ebraiche. In ogni caso, già il primo termine evidenziato in rosso rivela la sua natura aramaica: in ebraico l’articolo è sempre un prefisso e mai un suffisso, oltre che ad essere indicato con una consonante diversa.

È interessante notare che un termine dal valore avverbiale presente nel testo ebraico (in verde nell’immagine), segnala il cambiamento di lingua dall’ebraico all’aramaico. Probabilmente, quel termine era assente dalla versione originale di Daniele. Durante il processo di trasmissione del testo, un copista, di fronte alla stranezza del testo bilingue scrisse a margine la glossa ‘In Aramaico’ per indicare che in quel punto il testo cambiava lingua.

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Daniele 2, 1-4 secondo la Nuova Diodati. La CEI 2008 riportata all’inizio dell’articolo, sceglie invece di omettere il termine evidenziato in verde, ‘In Aramaico’.

Secondo questa congettura, in seguito altri copisti inglobarono quella glossa nel testo, facendogli assumere valore avverbiale: è interessante notare che alcune traduzioni moderne scelgono di riportare il testo ebraico/aramaico di Daniele tale e quale, mentre altre omettono il termine ‘In Aramaico’ pensandolo come un’aggiunta successiva.

Christian Sabbatini

Fonti

Immagine in evidenza: www.corriere.it

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[1] Il libro di Daniele è datato prendendo come riferimento il sovrano Antioco IV Epifane, morto nel 164 a. C. Lo scritto di Daniele critica l’ellenizzazione forzata e la politica fortemente aggressiva di Antioco IV, dissimulando la contestazione attraverso una collocazione della narrazione in un passato ormai remoto. Come Alessandro Manzoni critica il dominio austriaco del XIX secolo sull’Italia, celandolo nella critica riscontrabile nei Promessi Sposi al dominio spagnolo del XVII secolo, così il libro di Daniele contesta l’occupazione seleucida del II secolo a. C., dissimulandola dietro la critica all’occupazione neobabilonese del VI a. C.