Il piccolo principe, il film: il ritratto della società

L’anno nuovo è stato inaugurato con il film de “Il Piccolo Principe“, il pilastro della letteratura frutto della fantasiosa mente di Antoine de Saint Exupéry, nelle sale cinematografiche italiane dal 1 gennaio 2016.

La trama del film de Il piccolo principe

Una bambina si trasferisce con la madre in un nuovo quartiere: un quartiere perfettamente organizzato, funzionale, ordinato su un reticolato che permette lo smistamento del traffico senza intoppi. E la vita della bambina non è altro che la trasposizione di quell’organizzazione maniacale: è già stabilita e regolamentata su un enorme tabellone, il suo futuro già scritto, proiettato verso la prestigiosa Accademia Werth finalizzata a formare una generazione di nuovi manager.

E procede così, senza che lei possa porsi delle domande, senza che sia stata educata a farlo. Ma tutto cambia quando la piccola bambina ormai già adulta, si scontra con un adulto che, invece, l’infanzia se l’è portata dietro. L’aviatore della porta accanto ha uno sguardo vispo, una fervida immaginazione, ed è impaziente di raccontare la sua storia. La storia di un aeroplano che, in avaria nel deserto, ha portato all’incontro più fenomenale della sua vita: quello con il piccolo principe.

La storia procede così, con i meravigliosi bozzetti di Antoine de Saint Exupéry che prendono vita mantenendo la loro essenza cartacea, grazie ad un attentissimo stop motion che permette di mescolare il linguaggio del cinema e quello del film senza che entrino in contrasto. Ed il risultato è quello di un nonno anziano che racconta una storia a tutto il pubblico che guarda, mentre allo stesso modo la bambina – come ogni bambino di fronte ad una favola – inizia a far volare la sua immaginazione rincorrendo quelle immagini di carta, fino al punto in cui ritrova la sua infanzia seppellita sotto le equazioni algebriche, fino a quando quel racconto inizia a vivere dentro di lei.

Differenze tra film e libro

Mark Osborne non ha trasposto cinematograficamente Il piccolo principe, in quanto l’impresa non avrebbe prodotto altro che un grandissimo flop. E l’errore ricorrente della critica sta proprio nel non aver saputo distinguere un film che traspone un libro da un film che prende spunto da un libro. La storia del piccolo principe, con una sorta di timore reverenziale, non viene intaccata neanche di un centimetro, resta se stessa fino all’ultimo, fino all’inevitabile conclusione con cui tutti abbiamo dovuto fare i conti. Ma il film no, il film prosegue su un binario tutto suo, un binario che arriva alla nostra diretta realtà attraverso le previsioni che il grande scrittore aveva fatto sotto forma di metafora quando la nostra società era appena nata.

Senza nessun virtuosismo retorico, nessuna spiegazione troppo complicata, il film de Il piccolo principe riflette quella che è la vera essenza della società occidentale attraverso gli occhi di un bambino, che non hanno bisogno di tante parole per descrivere quanto il materialismo consumista abbia logorato la nostra esistenza.

La morale del film de Il piccolo principe

Come il libro, il film de Il piccolo principe si pone lo scopo di insegnare agli adulti – troppo impegnati nelle loro faccende da grandi – cose che solo un bambino può capire.

Gli adulti da soli non capiscono niente, ed è stancante per i bambini dover sempre spiegare tutto. (Il Piccolo Principe, cap. I)

Il Piccolo Principe film

La naturalezza infantile con cui si affrontano nel film temi come l’amicizia e l’amore lasciano spazio ad una critica della nostra società spietata quanto oscura. Il piccolo principe è cresciuto, non ha più tempo per sognare, deve lavorare. E nella sua vita di tutti i giorni rincontra, senza stupirsi, tutti gli adulti in cui era incappato peregrinando nell’universo: l’uomo vanitoso, il re e l’uomo d’affari, adesso vivono tutti sullo stesso pianeta, fanno parte tutti del pianeta degli adulti.

Adesso l’uomo vanitoso è un membro delle forze armate, e fa qualsiasi cosa in funzione di un riconoscimento pubblico, di un “pollice verso”, per poter fare un inchino ed essere applaudito. Anche lo svolgimento del suo ruolo, il mantenimento dell’ordine prestabilito – da cui sono categoricamente esclusi i pericolosissimi bambini – non conta niente di fronte ad un applauso, perché l’importante è l’approvazione del pubblico. Il re, che pensa di poter dominare su tutto, ma in realtà può dominare solo ciò che gli è concesso da altri, senza alcun tipo di potere decisionale. Adesso gestisce un ascensore, pigiando i pulsanti ed illudendosi di aver permesso lui stesso l’accesso ai piani da parte degli impiegati, ma in realtà non fa altro che obbedire.

E poi c’è lui: l’uomo d’affari. Panciuto, al vertice dell’ordine sociale, rappresentato metaforicamente molto più grande rispetto agli altri, deve rendere tutto ciò che è poco essenziale, essenziale. Lui non si limita a contare le stelle, lui le possiede. E nella stessa misura in cui le possiede così le restituisce, sotto un’altra forma, sotto il profilo dell’essenziale, di ciò che serve, di ciò che è utile. E i sogni non sono utili.

Quindi l’uomo d’affari fa in modo di rendere anche i sogni qualcosa di proficuo: con un meccanismo di manipolazione decide cosa gli altri debbano desiderare, e glielo vende. Così, anche i sogni sono diventati materiali, anche i sogni sono quantificabili.

Ma solo chi non sogna davvero può cadere in questa rete. Anche l’uomo d’affari, che controlla tutto, non può controllare una mente che viaggia, e che viaggiando può allontanarsi verso pianeti sconosciuti, trasportata da quelle emozioni che sembrano dimenticate, ma intorno alle quali ruota davvero l’esistenza di ognuno, anche se ci vengono oscurate, anche se non possiamo vederle. Perché sono quelle il vero “essenziale”.

E l’essenziale è invisibile agli occhi.

Camilla Ruffo