Russia e mondo slavo

Tre colori: film bianco, un Kieslowski poco apprezzato

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Un maestro dell’analisi dei sentimenti

Quando cerchiamo nel cinema qualcosa che ci aiuti a vedere in noi stessi, quando vogliamo capire le piccole sfumature dell’animo umano e dei sentimenti resi attraverso il mezzo cinematografico, non possiamo esimerci dal conoscere Krzysztof Kieslowski. regista polacco noto sia per i suoi documentari-film, sia per i suoi lungometraggi, che in effetti sono documentari sulla vita, perché il cinema di Kieslowski è una finestra spalancata sull’essere umano. Di lui si ricordano in particolare alcuni film tra i quali: Il decalogo (composto da dieci episodi), La doppia vita di Veronica e la trilogia dei colori. Regista molto apprezzato da Stanley KubrickKieslowski riteneva che chiunque raccontasse storie sulla vita avrebbe dovuto conoscere se stesso, indagare per poi poter raccontare.

 

Cerco di convincere i giovani colleghi ai quali insegno regia o sceneggiatura ad esaminare le loro singole vite, non tanto per scrivere un libro o una sceneggiatura ma per loro stessi. […] Gli anni durante i quali non lavori su te stesso, sono anni sprecati. Puoi sentire o capire qualcosa intuitivamente e, di conseguenza, i risultati sono casuali. Solo facendo questo lavoro riesci a trovare una certa relazione fra gli eventi e i loro effetti. […] Senza un’analisi autentica, completa e spietata, non si riesce a raccontare una storia. Se non si comprende la propria vita, penso non si riesca a capire quella dei personaggi delle nostre storie e neppure quella delle altre persone.

La trilogia dei colori nasce dalla volontà di Kieslowski di voler indagare sulle parole motto della rivoluzione francese “Liberté, Égalité, Fraternité” non dal punto di vista politico o filosofico, ma da un punto di vista più intimo e più umano: “L’Occidente ha affrontato questi tre concetti su un piano politico e sociale, ma su quello personale è una cosa completamente diversa. Ecco il motivo per cui abbiamo pensato di realizzare questi tre film“. Come negli altri due film dominano il rosso e il blu, anche nel Film bianco domina il bianco e i colori chiari, colori scelti teleologicamente in funzione della rappresentazione di queste storie, eppure il Film bianco è stato uno di quelli meno apprezzati del regista polacco: sia perché non regge il confronto con gli altri due autentici capolavori sia per la sua atmosfera “leggera”, rispetto alle altre opere di Kieslowski appare quasi una voce fuori dal coro.

Film bianco, la trama

Karol Karol (Zbigniew Zamachowski), parrucchiere polacco a Parigi, è costretto dalla moglie francese, Dominique (Julie Delpy) ad accettare il divorzio a causa della sua impotenza. Dopo aver conosciuto Mikolaj, Karol riesce ad andarsene da Parigi, dopo che era rimasto senza soldi e senza passaporto, non prima però di aver rubato una scultura. Una volta tornato in Polonia, Karol, con l’aiuto di un compatriota conosciuto da poco, si insinua pian piano nel giro degli speculatori edilizi in una Polonia che ha da poco abbracciato il capitalismo: inizia così per Karol un repentino arricchimento, riuscendo addirittura a fondare una società con il suo amico Mikolaj (che tempo prima era stavo vicino al suicidio). Karol però arrivato a questo punto, per riavere accanto la moglie, si finge morto dopo aver lasciato tutti i suoi beni alla moglie, tutto allo scopo di farla arrestare.

Uguaglianza, rinascita e amore

Parte della critica negativa su questo film si è soffermata su una considerazione: se con questo film Kieslowski  ha voluto rappresentare l’uguaglianza, di quale uguaglianza ci vuole parlare? Forse di un uomo impotente che si sente offeso e umiliato dalla moglie e, come un bimbo capriccioso, decide di vendicarsi in modo da eguagliare le pene d’amore che ha provato lui dopo il processo? No, non stiamo parlando di un film da mero intrattenimento, l’uguaglianza di cui ci parla Kieslowski è l’uguaglianza nel comunicare tra uomo e donna. Karol dopo il matrimonio falliva nell’avere un rapporto sessuale con la moglie perché il suo essere donna non corrispondeva all’immagine di sposa che si era fatto, dunque Dominique era diventata per lui quasi un ideale, l’amore che provava per lei andava fuori dalla sensualità e sessualità corporale, rendendolo incapace di consumare il rapporto. La sua finta morte e l’incarcerazione di Dominique, preceduta dal rapporto sessuale tra i due, qui la scena si inonda di bianco, segno della raggiunta uguaglianza, dà a Dominique quell’immagine che Karol si era fatto di lei, per loro è una rinascita, finalmente riescono ad amarsi, a comprendersi e a comunicare, il tutto riassunto nella poetica e intimissima scena finale.

Come si è già detto, il bianco e i colori chiari dominano le scene, bianchi sono i cieli, bianchi i volti dei protagonisti e bianco è il vestito da matrimonio di Dominique che si perde nelle luci dell’orizzonte, trasformando di fatto il suo volto in una manifestazione angelica. Le meravigliose musiche di Zbigniew Preisner accompagnano le vite di questi due personaggi, interpretati magistralmente da Zbigniew Zamachowski e Julie Delpy; in particolare l’attore polacco, sotto il consiglio di Kieslowski, studiò i movimenti e la mimica di Charlot, dal quale trasse spunto per conferire al proprio personaggio quella tenerezza mista ad una dolce goffaggine, riuscendo poi a tenere il cambiamento del personaggio quando si trasforma in un uomo d’affari. Il film è chiaramente figlio del tocco di  Kieslowski: espressioni dei protagonisti studiate, atmosfere rarefatte e allo stesso tempo concrete, struttura narrativa strutturalmente caratterizzata da casualità geometriche, il simbolismo, che a volte potrebbe sembrare quasi eccessivo. Siamo di fronte all’ennesimo lavoro riuscito di Kieslowski, e nuovamente ci troviamo trasportati dalle sequenze del suo cinema, unico nella capacità di drammatizzare le storie raccontate, e non semplicemente raccontarle.

Roberto Carli

FONTI

 Danusia Stok , Kieslowski racconta Kieslowski,

http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=4450

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Roberto Carli

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