A pochi giorni dalla scomparsa di David Bowie, la COOLtura vuole ricordare l’ultimo grande lavoro dell’artista inglese: ecco la recensione di Blackstar.
Parliamo di un’opera realizzata da un malato di cancro quasi 70enne, in fin dei conti. Un lavoro che darà parecchio filo da torcere a tutti i prossimi lavori di questo anno, cominciato purtroppo con la scomparsa di Bowie, il Duca Bianco, l’uomo dello spazio.
Impossibile non partire da Blackstar, la canzone che ha anticipato l’uscita del CD. Sono 10 minuti di gaudenza musicale tra il jazz e qualche ritmo pop inspiegabile, disegno variopinto di un Bowie a più facce, che si presenta come una stella nera, non una stella da ammirare né da celebrare.
Non vuole essere una popstar e ci impiega 10 minuti per esprimere questo concetto probabilmente anche per risaltare questo distacco, elevandosi tra i vari artisti che a malapena riescono a concepire tracce di due minuti. Blackstar è una corsa tra Bowie e la morte, quest’ultima purtroppo invincibile. Ma la sfida lanciata dal dandy inglese verrà ricordata in eterno.
Guarda quassù, sono in paradiso
Ho delle cicatrici che non possono essere viste
Ho una storia che non può essermi rubata
Ora tutti lo sanno
Guarda quassù, amico, sono in pericolo
Non ho nulla da perdere
“Lazarus” è il regalo d’addio, l’annunciazione. Un uomo malato che riesce ad avere sempre la forza di ballare, l’uomo che ci ha fatto ballare tutti con “Let’s Dance” ci vuole far ballare ancora, in attesa della libertà, in attesa di volare via, come il “bluebird” di Charles Bukowski (qui la poesia) citato nel testo.
Ma non è un album che farà storia solo per la morte dell’artista. C’è tanta qualità in questo lavoro, anche nelle canzoni che non vengono citate dai fan, occasionali o meno, di Bowie: “‘Tis a Pity She Was a Whore” è una canzone esplosiva, con il jazz che scorre fluido nelle vene dell’ascoltatore, inverosimilmente barocca, che rispecchia l’artista. Ed attenzione a “Girl loves me”, che oltre a contenere beat chiaramente ispirati a quelli di Kendrick Lamar, elogiato varie volte da Bowie (e da praticamente tutti, visto che il suo è album dell’anno 2015) ci sono vari riferimenti a Clockwork Orange sia per la versione di Burgess sia per quanto riguarda il film di Stanley Kubrick.
L’ultima riga del testamento è rappresentata dall’ultima canzone di Blackstar, “I Can’t Give Everything away”. Secondo Jonze, del Guardian, “c’è la sensazione che Bowie abbia un segreto spiacevole che vuole disperatamente condividere, cosa che vuole riaffermare anche nel ritornello: «non posso dare via tutto».”
«Vedere di più e provare di meno
Dire di no, volendo dire sì
Per me è sempre stato così
È questo il messaggio che mando»
Il messaggio è quello di un uomo che ha dato tanto alla musica, ma sente di non aver dato tutto. Ma David Bowie ci ha dato tanto, e Blackstar è un degno saluto di un’artista che ha rivoluzionato il modo di fare musica ed influenzato tantissimi altri artisti. Bowie ha fatto la storia e gliene saremo grati infinitamente. Non è semplicemente un CD barocco, jazz e magniloquente, è un monumento di confessioni, pensieri filosofici, ritmi sorprendenti, da ascoltare assolutamente. Grazie ancora David.
Voto: 5/5
Tracce consigliate: tutte.
Diego Sbriglia
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