Terza età: l’ultima stagione della vita

Gli ultimi cinquant’anni hanno riscontrato, nella società occidentale, un allungamento della vita media e il conseguente aumento della popolazione over 60. Secondo una superficiale analisi condotta dal senso comune, la terza età rappresenta un traguardo, un periodo della vita caratterizzato dall’assenza di aspirazioni e particolari avvenimenti. Le scienze sociali si sono impegnate a smentire queste credenze studiando l’ultima stagione della vita da diversi punti di vista.

Terza età e apprendimento: è possibile?

Durante la tarda età adulta, la quale coincide con i 65-70 anni, si realizzano diversi cambiamenti fisici e psichici che prendono il termine generico di invecchiamento. Quest’ultimo è frequentemente associato a diverse forme di demenza senile, tra cui l’Alzheimer. Tuttavia non è sempre così: la terza età non è esclusivamente sinonimo di degenerazione cognitiva, può anche presentarsi come un periodo di apprendimento.

In psicologia, a tal proposito, è ricorrente l’espressione Lifelong Learning o “apprendimento per tutta la

terza età
Anziani e new media.

vita” anche per coloro che ne sembrerebbero preclusi per la loro età. Una spiegazione al rigurado deriva dalle neuroscienze, le quali hanno introdotto il concetto di plasticità del cervello: capacità, propria degli animali evoluti, di creare infinite connessioni neuronali in seguito alle stimolazioni esterne. Per questo motivo, il cervello umano è una struttura dinamica che permette di apprendere per tutto l’arco dell’esistenza.

Lo psicologo Jerome Bruner, nello scritto Il significato dell’educazione, ha dato una spiegazione antropologica al concetto di plasticità del cervello:

A mano a mano che gli ominidi divennero sempre più bipedi […], ci fu non solo un aumento delle dimensioni del cervello, ma anche la richiesta di una cintura pelvica più robusta per sostenere lo sforzo pressante di camminare eretti. L’aumento della forza nella cintura pelvica si verificò attraverso una graduale chiusura del canale natale e si determinò così un paradosso ostetrico: un cervello più voluminoso in rapporto a un canale del parto più stretto per il passaggio del neonato. La soluzione sembra essere stata raggiunta attraverso la immaturità cerebrale dell’infante umano […] che assicurava un’infanzia prolungata, durante la quale potessero essere trasmessi i modi e le capacità della cultura.

L’immaturità cerebrale di Bruner è traducibile come disponibilità ad apprendere: l’uomo può così continuare ad imparare per tutta la vita, se messo di fronte a nuovi input. Non è una caso che, negli ultimi anni, si siano sviluppate le scuole per adulti e anziani i quali vogliono avvicinarsi alle nuove tecnologie.

Le scienze sociali, inoltre, hanno ridimensionato alcuni falsi miti sugli anziani a proposito delle caratteristiche cognitive: il senso comune attribuisce loro calo della memoria breve, perdita dell’attenzione, abbassamento delle capacità di apprendimento; gli studiosi hanno ritenuto giusto utilizzare un termine più adeguato, la selezione adattativa. Con questo concetto si vuole indicare il comportamento dell’anziano, che seleziona le sue strategie cognitive utilizzando solo quelle più utili al suo stile di vita.

L’invecchiamento in psicologia

La terza età ha come tratto principale quello della perdita, il quale influenza tutte le istanze psicologiche dell’anziano. La prima perdita cui va incontro è quella lavorativa. L’invecchiamento inizia con il pensionamento, o meglio ci si rende conto dell’avanzare del tempo solo quando non si svolge più il proprio lavoro.

L’evento ha delle connotazioni positive: il pensionato potrebbe vedere questo momento come un’opportunità per svolgere tutte quelle attività o progetti accantonati in passato. Parallelamente, però, abbandonare l’attività lavorativa potrebbe condurre l’anziano alla sofferenza: smettere improvvisamente di fare un lavoro che ci ha accompagnato per molti anni insinua nell’animo umano un senso di smarrimento e di vuoto. Queste sensazioni aumentano notevolmente in un soggetto anziano poiché la situazione in cui vive è associata ad altre perdite oltre a quella

terza età
“Vecchio su panchina” – Peter Gallen

lavorativa: ricordiamo quella delle persone care (in seguito a lutti o all’allontanamento dei figli dalla casa). L’anziano, quindi, sperimenta la solitudine e la sindrome del nido vuoto. Accanto alla solitudine fisica è necessario parlare di quella interiore (o isolamento), la quale genera un sentimento di emarginazione. L’esclusione sociale è un tema ricorrente nella società contemporanea in relazione alla terza età. La realtà urbanizzata è rivolta soprattutto al consumismo e alla produzione di servizi che non lasciano spazio alla fascia anziana, la quale si sente talvolta addirittura rifiutata.

Eppure gli appartenenti alla terza età possono essere considerati una risorsa: sono i depositari della tradizione,terza età della cultura, delle storie del nostro paese. Sopratutto nel Sud Italia (o nell’Italia prevalentemente agricola) l’anziano è talvolta stimato come il sapiente e non è raro osservare scene di vita quotidiana nelle quali i nipoti interrogano i nonni sulla loro vita passata.

La terza età non è un periodo di spegnimento: all’interno vi sono dinamiche sociali e psicologiche molto complesse che possono avere risvolti negativi. Quindi è importante garantire un invecchiamento sereno attraverso l’utilizzo di migliori politiche d’integrazione per garantire l’obiettivo finale di una maturazione ben riuscita  evitando l’abbandono dell’anziano.

Alessandra Del Prete

Fonti

Elisabetta Clemente,Rossella Danieli. Scienze Umane. Antropologia, Sociologia,Psicologia. Paravia

Ugo Avalle, Michele Maranzana. Pedagogiga. Dall’età antica al Medioevo

Scienze Umane. Corso Integrato di Antropologia,Pedagogia,Psicologia,Sociologia. Einaudi Scuola

Fonti immagini : Google.