Gender Studies: cosa ne penserebbe Freud?

È ricorrente, negli ultimi tempi, il termine Gender in riferimento alla riforma di legge Buona Scuola e al documento dell’Ordine Mondiale della Sanità sull’educazione sessuale nelle scuole.

Bisogna precisare che l’esistenza di una presunta “ideologia Gender” è qualcosa di assolutamente falso. L’Associazione Italiana di Psicologia si è espressa al riguardo con un comunicato:

Esistono, al contrario, studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studies, hanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari [..]e alla riduzione, a livello individuale e sociale, dei pregiudizi e delle discriminazioni basati sul genere e l’orientamento sessuale.[1]

La Teoria Gender sarebbe che, agli occhi dei complottisti che credono alla sua esistenza, una degenerazione di questi studi derivata dalla lettura della Legge 13 luglio 2015, n. 107 e, in particolare, del comma 16 nel quale si sottolinea di voler assicurare nelle scuole

 l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni.[2]

La presunta Teoria Gender, fortemente attaccata da ambienti politicamente conservatori, è quindi costituita da un calderone di notizie travisate e confuse. Inoltre, si può aggiungere che tematiche quali identità di genere ed educazione sessuale non sono poi così nuove: il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud ne aveva già parlato. Eppure, la confusione e lo scalpore sono tanti. Proviamo a chiarire quest’insieme di notizie punto per punto.

Gender: non una teoria ma studi scientifici

femministe gender
I Gender Studies sono nati da movimenti femministi che rivendicavano l’annullamento delle diversità di genere.

A partire dal 2010, nell’assemblea generale dell’ONU sono stati fondate le  United Nations Women  con lo scopo di diffondere le teorie elaborate in seno ai Gender Studies (Studi di Genere): ricerche scientifiche nate dagli studi di un movimento femminista negli anni Settanta, volte a sottolineare la costruzione sociale dell’identità di genere.

Secondo questi studi, i termini “sesso” e “genere” non possono più essere considerati sinonimi. Si intende per sesso l’insieme delle caratteristiche biologiche che determinano la differenza tra maschi e femmine; il genere è invece l’insieme delle storie, tradizioni, abitudini sociali che ci rendono uomini o donne. In altre parole si parla di socializzazione di genere.

Non è un caso che i ragazzi hanno determinate caratteristiche che le ragazze non hanno: un esempio è la tendenza alla leadership per gli uomini e la maggiore sensibilità nelle donne. Questo si spiega proprio attraverso un tipo di socializzazione, che inizia nell’ambiente familiare, diversa a seconda del sesso.

Gli Studi di Genere sono stati sviluppati dalle femministe per rivendicare l’uguaglianza tra uomini e donne, e dagli omosessuali, i quali volevano limitare le disparità riguardanti l’orientamento sessuale. Per questo motivo si teorizza che, al di là del corredo genetico, ciascuno dovrebbe essere libero di scegliere la propria identità di genere.

Un tema difficile: l’educazione sessuale

Un argomento molto discusso è quello dell’educazione sessuale. Partendo dall’ambiente familiare, è sicuramente giusto dire che, rispetto al passato, lo stile educativo utilizza meno punizioni e rimproveri; è comunque necessario sottolineare che il tema dell’educazione sessuale è il più delle volte evitato o trattato superficialmente. Quindi, tra i giovani, è spesso diffusa la cattiva informazione derivata, quasi sempre, dal “gruppo dei pari“: non ricevendo l’adeguata educazione sessuale in famiglia, ciò che conoscono i giovani si basa su nozioni acquisite dalle amicizie coi propri coetanei.

La sessuologa Giorgia della Giusta ha fornito una chiara definizione del concetto di educazione sessuale:

è una formazione fisio-psico-socio-culturale che, rivolgendosi prevalentemente ai giovani, guidano all’apprendimento di quegli elementi che rendono la sessualità responsabile, serena, armoniosa, equilibrata, quindi soddisfacente.[3]

Per questo motivo, secondo  l’Ordine Mondiale della Sanità, la scuola può essere il miglior mezzo per diffondere una sana educazione sessuale nelle scuole che, attenzione, non significa “pratica sessuale” (come hanno più volte sottolineato gli “anti-gender“).

Secondo le sostenitrici femministe più estreme degli Studi di Genere ognuno dovrebbe scegliere la propria identità sessuale attraverso un’educazione che sottolinea la neutralità: non si nasce più maschi o femmine, ma neutri e liberi di scegliere il proprio essere. Ciò che queste posizioni non recepiscono è che l’identità di genere (“io sono maschio/femmina”) è del tutto diversa dall’orientamento sessuale.

Tutto ciò attacca i fondamenti etici della nostra società, creando confusione sia negli adulti che nei bambini e adolescenti. Infatti bisogna tener conto che, nello sviluppo del bambino, non esiste solo una crescita cognitiva ma anche psicosessuale, studiata dal medico viennese Sigmund Freud.

Freud e lo sviluppo psicosessuale

Sigmud Freud gender
Sigmund Freud

Come numerosi studiosi dell’età evolutiva, anche Freud ha posto al centro dei suoi studi il bambino, interessandosi però al suo sviluppo emotivo. Esso avviene in fasi; il passaggio da una fase all’altra si verifica in base allo spostamento dell’energia sessuale ed innata, definita libido, nelle diverse parti del corpo.

Soffermiamoci soprattutto sulla terza fase (fallica) nella quale, a 3-4 anni, l’interesse del bambino è rivolto verso gli organi genitali; è qui che si pone il complesso di Edipo, una relazione triangolare fra il bambino, il genitore di sesso opposto verso cui prova amore e il genitore dello stesso sesso verso cui prova odio.

Nel bambino maschio, innamorato inconsciamente della mamma, si sviluppa l’«angoscia di castrazione»: teme quindi di subire dal padre, che è oggetto d’odio, la mutilazione genitale che attribuisce alle bambine. Il complesso si supera intorno ai 5 anni nel momento in cui il bambino si identifica con il padre rinunciando al sentimento di odio. Nella bambina il percorso è diverso. Inizialmente è legata alla madre ma sposta la sua attenzione verso il padre per la cosiddetta «invidia del pene»: percepisce la differenza fisica come un’umiliazione. Allo stesso modo, nelle bambine il complesso si risolve identificandosi con la madre.

È vero che il genere non è determinato dal biologicamente ma culturalmente, che una sana educazione sessuale è necessaria per la conoscenza di sé e degli altri, ma la Teoria Gender non può non considerare i complessi di Edipo e Elettra: questi avvengono naturalmente nella crescita del bambino e sono fondamentali per la formazione dell’identità (che avviene intorno all’età di 5 anni, una volta superata la fase).

Quindi, se si decidesse di tener conto di quest’ideologia, sarà più possibile identificarsi senza confusione? E soprattutto, i complessi di Edipo ed Elettra che fine faranno? Occorrerà creare un terzo complesso?

Alessandra Del Prete

Fonti:

[1] AIP – Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione nei contesti scolastici italiani

[2] LEGGE 13 luglio 2015, n. 107

[3] Giorgia della Giusta , Dizionari del sesso, Editori Riuniti, Roma 1997

Fonte immagini: google