Lapalissiano: storia di una parola

Se non avessi scritto quest’articolo voi non lo stareste leggendo. E se non fossi italiano lo avrei scritto sicuramente in un’altra lingua, probabilmente nella mia lingua natale. Infine, se La COOLtura mi avesse scelto per scrivere di cartomanzia o erboristeria, non avrei scritto un articolo intitolato Storia di una parola: lapalissiano . Tutti questi ragionamenti, alquanto sconclusionati e ovvi, in italiano vengono detti lapalissiani. Il termine, privo di un’etimologia che salti immediatamente all’occhio, ha una storia molto bella e curiosa, che vale la pena raccontare.

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Un cartello lapalissiano: se colpisci questo cartello colpirai il ponte!

Lapalissiano: ahimè, se non fosse morto…

Quando una verità o un fatto sono talmente manifesti e naturali che sarebbe ridicolo enunciarli, essi sono lapalissiani, come definisce la Treccani. L’origine della parola risiede in Francia, non in un termine del vocabolario transalpino ma nel nome di un generale vissuto fra il 1470 e il 1525, Jacques de La Palice. No, non era una persona che amava dire ovvietà, e non risulta abbia mai espresso pensieri lapalissiani. Egli fu in servizio per quarant’anni alla corte dei re francesi, ai comandi di Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I, e fu anche insignito del titolo di Gran Maestro di Francia. Morì a Pavia nel 1525, in una cruenta battaglia al termine della quale Francesco I fu fatto prigioniero e lui fu colpito a morte. I suoi soldati, gli sconfitti, decisero di rendere onore al coraggio del loro comandante, che aveva trovato la morte in battaglia, lottando di fianco al suo re. Per illustrare il valore militare dell’amato La Palice composero allora una canzone, destinata sì a restare nella storia, ma non per il motivo da loro sperato.

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Un altro cartello lapalissiano

…sarebbe ancora in vita!

La canzone, in francese, recitava:

«Hélas, La Palice est mort,
il est mort devant Pavie;
hélas, s’il n’estoit pas mort
il ferait encore envie.»

Cioè:

«Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
farebbe ancora invidia.»

Un evidente messaggio destinato a preservare nella memoria futura le gesta del comandante. Peccato però che, forse a causa dell’assonanza, forse a causa della somiglianza grafica tra la e la s, che all’epoca si scrivevano fſ e differivano solo del trattino centrale,  la parola ferait fu confusa ben presto con seraitsarebbeEnvie, così, smise di significare invidia, e per omofonia fu tradotta in en vie, ossia in vita, generando così una strofa completamente lapalissiana:

«Hélas, La Palice est mort,
il est mort devant Pavie;
hélas, s’il n’estoit pas mort
il serait encore en vie.»

In italiano:

«Ahimè, La Palice è morto,
è morto davanti a Pavia;
ahimè, se non fosse morto
sarebbe ancora in vita.»

Ecco come la memoria del valoroso soldato si trasformò in un’equivoca, erronea e surrealmente ovvia strofa, che nel giro di qualche anno si diffuse a discapito dell’originale.

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La ballata di Monsieur de La Palisse

Se fosse morto il sabato…

Il curioso necrologio poetico fu scoperto reso celebre dal membro dell’Académie française Bernard de La Monnoye, che compose altre strofe di sua invenzione in aggiunta alla canzone originaria, con ovvio fine parodistico, riscuotendo un gran successo. Nel XIX secolo, lo scrittore Edmond de Goncourt riscoprì la canzone di La Monnoye e, a partire da quella, coniò il termine lapalissade, per indicare un’affermazione all’interno della quale si ripete un assunto già espresso in precedenza e che è, dunque, del tutto inutile. In francese il termine è un sostantivo, e si potrebbe da noi usare in luogo di un’ovvietà un’idiozia: «Hai detto una lapalissade», insomma. Secondo il De Mauro, il termine compare invece in italiano nel 1914, ma nella forma di aggettivo derivato: lapalissiano. L’ortografia del nome proviene dal nome della città di Lapalisse, che ospita il castello dove il generale francese visse quando non era sul campo di battaglia.

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Una verità di La Palice: un quarto d’ora prima della sua morte era ancora in vita!

…sarebbe vissuto di più!

Per soddisfare ogni curiosità, ecco parte delle divertenti aggiunte di La Monnoye, con la rispettiva traduzione italiana che, a volte, riesce anche a ricalcare la rima, oltre che la metrica.

« Messieurs, vous plaît-il d’ouïr
l’air du fameux La Palisse,
Il pourra vous réjouir
pourvu qu’il vous divertisse.

La Palisse eut peu de biens
pour soutenir sa naissance,
Mais il ne manqua de rien
tant qu’il fut dans l’abondance.

Il voyageait volontiers,
courant par tout le royaume,
Quand il était à Poitiers,
il n’était pas à Vendôme!

Il se plaisait en bateau
et, soit en paix soit en guerre,
Il allait toujours par eau
quand il n’allait pas par terre.

Il buvait tous les matins
du vin tiré de la tonne,
Pour manger chez les voisins
il s’y rendait en personne.

Il voulait aux bons repas
des mets exquis et forts tendres
Et faisait son mardi gras
toujours la veille des cendres.

Il brillait comme un soleil,
sa chevelure était blonde,
Il n’eût pas eu son pareil,
s’il eût été seul au monde.

Il eut des talents divers,
même on assure une chose:
Quand il écrivait en vers,
il n’écrivait pas en prose.

Il fut, à la vérité,
un danseur assez vulgaire,
Mais il n’eût pas mal chanté
s’il avait voulu se taire.

On raconte que jamais
il ne pouvait se résoudre
À charger ses pistolets
quand il n’avait pas de poudre.

Monsieur d’la Palisse est mort,
il est mort devant Pavie,
Un quart d’heure avant sa mort,
il était encore en vie.

Il fut par un triste sort
blessé d’une main cruelle,
On croit, puisqu’il en est mort,
que la plaie était mortelle.

Regretté de ses soldats,
il mourut digne d’envie,
Et le jour de son trépas
fut le dernier de sa vie.

Il mourut le vendredi,
le dernier jour de son âge,
S’il fut mort le samedi,
il eût vécu davantage.»

In italiano:

«Signori, vi piaccia udire
l’aria del famoso La Palisse,
Potrebbe rallegrarvi
a patto che vi diverta.

La Palisse ebbe pochi beni
per mantenere il proprio rango,
Ma non gli mancò nulla
quando fu nell’abbondanza.

Viaggiava volentieri,
scorrazzava per tutto il reame
e quando era a Poitiers,
non era certo a Vendôme!

Si divertiva in battello
e, sia in pace sia in guerra,
andava sempre per acqua
se non viaggiava via terra.

Beveva ogni mattina
vino spillato dalla botte
E quando pranzava dai vicini
ci andava di persona.

Voleva per mangiar bene
vivande squisite e tenere
E celebrava sempre il Martedì Grasso
la vigilia delle Ceneri.

Brillava come un sole,
coi suoi capelli biondi.
Non avrebbe avuto pari
se fosse stato solo al mondo.

Ebbe molti talenti,
ma si è certi di una cosa:
quando scriveva in versi,
non scriveva mai in prosa.

Fu, per la verità,
un ballerino scadente,
ma non avrebbe cantato male,
se fosse stato silente.

Si racconta che mai
sia riuscito a risolversi
a caricar le pistole
se non aveva le polveri.

Morto è il signor de la Palisse,
morto davanti a Pavia,
Un quarto d’ora prima di morire,
era in vita tuttavia.

Fu per una triste sorte
ferito da mano crudele,
Si crede, poiché ne è morto,
che la ferita fosse mortale.

Rimpianto dai suoi soldati,
morì degno d’invidia,
e il giorno del suo trapasso
fu l’ultimo della sua vita.

Morì di venerdì,
l’ultimo giorno della sua età,
Se fosse morto il sabato,
avrebbe vissuto più in là.»

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Il poeta Gianni Rodari

Gianni Rodari e il Napoleone lapalissiano

Anche il grande poeta italiano Gianni Rodari, compositore di meravigliose filastrocche e poesie per bambini (ma non solo), prese ispirazione dalla Canzone di La Palisse per comporre una filastrocca. Il protagonista della storia, nella sua versione, è nientepopodimenoche Napoleone Bonaparte, e il suo testo fu poi musicato da un altro grande uomo della cultura musicale italiana, Sergio Endrigo.  La filastrocca di Rodari, risalente al 1974, fa così:

C’era una volta un imperatore,
si chiamava Napoleone.
E quando non aveva torto,
di sicuro aveva ragione…
Napoleone

Napoleone era fatto così
Se diceva di no, non diceva di sì
Quando andava di là, non veniva di qua
Se saliva lassù, non scendeva quaggiù
Se correva in landò, non faceva il caffè
Se mangiava un bigné, non contava per tre
Se diceva di no, non diceva di sì

Napoleone andava a cavallo
e la gente lo stava a vedere
E quando non andava a piedi,
era proprio un cavaliere…
Napoleone!

Napoleone era fatto così:
Se diceva di no, non diceva di sì
Quando andava di là, non veniva di qua
Se cascava di lì, non cascava di qui
Se faceva popò, non diceva però
Quando apriva l’oblò, non chiudeva il comò
Se diceva di sì, non diceva di no

Di tutti gli uomini della terra,
Napoleone era il più potente.
E quando aveva la bocca chiusa,
non diceva proprio niente…
Napoleone!

Napoleone era fatto così:
Se diceva di no, non diceva di sì
Quando andava di là, non veniva di qua
Se saliva lassù, non scendeva quaggiù
Se correva in landò, non faceva il caffè
Se mangiava un bigné, non contava per tre
Se faceva pipì, non faceva popò
Anche lui come te, anche lui come me:
Se diceva di no, non diceva di sì

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Il singolo di Endrigo

Davide Pascarella