Mark Leckey: arte in media res

DESIDERATA (in media res) è il titolo della prima retrospettiva in un istituzione pubblica italiana, dell’artista britannico Mark Leckey (1964), firmata  Elena Filipovic e Andrea Viviani, ospite nelle bianche sale del MADRE (10 ottobre- 18 gennaio 2016).

Sono passati ormai sedici anni dal celebre quanto iconico Fiorucci Made Me Hardcore (1999), video con il quale Leckey si accaparra il prestigioso Turner Prize (2008), e lo pone all’attenzione internazionale.  La ricerca seguente si spinge ancora una volta verso una commistione fra arte visiva e pop culture,  virtualità e fisicità dei mezzi utilizzati, “esplorando il modo in cui simboli, icone, merci, feticci contemporanei , sia materiali che immateriali, sia ricercati e preziosi che banali e volgari, ridefiniscono ogni giorno la sfera delle nostre fantasie e memorie, fino a plasmare la nostra stessa identità”.

Leckey

Salutati da un Felix the Cat gonfiabile ad inizio percorso, la cui ingombrante presenza può spaventare quanto generare un sentimento giocoso, segue l’istallazione Green screen refrigerator action (2010-11): un frigorifero nero del noto brand Samsung posto su una pedana davanti uno degli sfondi verdi cinematografici, (che in post- produzione vengono sostituiti da scenari ricreati virtualmente); accanto, un maxi schermo in alta definizione che proietta video, foto, suoni che accompagnano la voce distorta dell’artista, mentre simula quella che potrebbe essere dello stesso frigorifero. E mentre noi fissiamo lo schermo quasi convinti, come se si trattasse di una pubblicità (e della pubblicità vengono utilizzati gli stessi strumenti di persuasione) ecco che capiamo che non lo è, ecco che vediamo la finzione. “Ibrido tecnologico in cui l’artificialità delle immagini o degli immaginari incontra la concretezza degli oggetti tecnologici che li riproducono, l’opera sembra conferire una personalità e una sensibilità autonome al mondo delle macchine a cui sempre più spesso affidiamo del resto l’espressione delle nostre più intime sensazioni”.

Passate le sale successive, ecco che si avvia il film in 16 mm Made in ‘even (2004): anche qui finzione e realtà, digitale e analogico si attraversano. Immagini create a computer e poi trasferite su pellicola, compongono una scena surreale in cui la superficie argentea e riflettente di un coniglio, scultura del famoso e super quotato  artista Jeff Koons, viene trasmessa in loop da un proiettore d’epoca, dando l’illusione che si tratti di una vecchia pellicola.

Arrivati nelle ultime sale, lo scenario muta nuovamente aspetto, e inconsueti piloni della luce e cavalcavia in cartone, ridotti per entrare negli spazi del museo, evocano luoghi urbani, luci arancioni come quelle del tramonto o dell’alba: il nostro consueto paesaggio. L’allestimento poi culmina nella presenza megalitica di  due grandi sound system (2011-2012), opere composte da una serie di altoparlanti e casse acustiche che emettono suoni regolati da un sistema informatico, e che invadono ritmicamente lo spazio facendolo vibrare come se fosse una cassa armonica. “Conferendo al suono una consistenza scultorea è come se l’artista prendesse infine la realtà in contropiede, per processarla e restituirla quale esperienza più potenziale, ai limiti di se stessa”.

Leckey

Commistione assoluta di linguaggi e dei media. Dai video alla scultura, dai fotomontaggi alle istallazioni, sul palcoscenico sono ritratti i desideri e la libido del mondo contemporaneo, gli oggetti, i brand di moda, o la musica e l’arte che affascinano l’artista e gli altri.  Il potere magnetico che esercitano e il senso di possesso che ci inducono a provare. Una critica sottile sul nostro mondo dunque, messaggi che l’artista ci invia per farci riflettere, e nonostante l’immediatezza dei mezzi, è un senso di estranietà che domina, e allora tutto diventa meno esplicito.

Studiata con attenzione, nell’illuminazione quanto nel percorso espositivo, la mostra di Leckey si sussegue tra  opere che si animano volutamente in sequenza; dove finisce una comincia l’altra, in un ossessivo e cervellotico bombardamento audiovisivo in cui il visitatore alla fine soggiace inevitabilmente.

Mark Leckey vive e lavora a Londra.

 

Marina Borrelli