I dubbi di fede secondo Verweyen e Werbick

Precisiamo che non tratteremo i dubbi di fede in generale o dal punto di vista dell’osservatore estraneo ad un fenomeno che ne voglia indagare le dinamiche: questa riflessione guarda ai dubbi di fede dall’interno della comprensione cattolica.

La prospettiva è interessante perché, se da un presunto punto di vista neutro la confessione di fede, la sua negazione o i dubbi riguardo ad essa sarebbero considerati sullo stesso piano, l’ottica del credente nella verità rivelata, invece, non può ridursi all’indifferentismo.

dubbi di fede

Dubbi di fede secondo Hansjürgen Verweyen

Esaminiamo due posizioni all’interno della sfera cattolica riguardo ai dubbi di fede, per mostrare quanto sia animato il dibattito e quanto possano essere diversi gli esiti della riflessione di coloro che partono dalla stessa precomprensione di fede.

Dubbi di fede

La prima posizione che mostriamo è quella di Hansjürgen Verweyen, Teologo di Friburgo ed Autore di un originale punto di vista sul rapporto tra fede e ragione. Secondo Verweyen,

Se qualcosa mi interpella sin nella sfera più intima della mia esistenza, devo essere almeno in linea di principio nella condizione di riconoscere anche come incontestabilmente valido davanti all’occhio critico della ragione ciò che qui mi si presenta con la pretesa di essere assolutamente valido. Fintanto che in me ci sono ancora ‘angoli non illuminati’ da cui potrebbero potenzialmente insorgere in me in qualsiasi momento domande e dubbi circa la validità ultima di quanto ho accolto nella fede, rimane – perlomeno e proprio dal MIO punto di vista – in sospeso il fatto di sapere se Gesù Cristo non sia in fondo solo uno di quei penultimi guru alla ricerca della mia salvezza personale, che si presentano in continuazione quotidianamente[1].

Il Teologo di Friburgo intende dire che è un’esigenza intima della fede, una sua caratteristica intrinseca, il fondarsi su un’adesione integrale della persona. In fondo basta ricordare l’appello contenuto in Matteo 22,37 Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente.

Se la fede non fosse fondata sull’impegno integrale dell’intelligenza oltre che della volontà, non sarebbe realmente tale e verrebbe meno al proprio compito. Una fede paralizzata dai dubbi non consentirebbe di adempiere la richiesta evangelica di impegnare l’intera propria esistenza e la totalità delle proprie facoltà.

Inoltre, dei dubbi che insidiassero la pretesa veritativa della fede fino a contestarla irrefutabilmente denuncerebbero una fede apparente, incapace, seguendo Verweyen, di mostrare la propria validità davanti all’occhio critico della ragione.

È importante notare che il Teologo di Friburgo non parla di una capacità argomentativa assoluta, ma sottolinea la condizione dell’essere ‘almeno in linea di principio’ in grado di poter sostenere la ragionevolezza della propria fede. Sarebbe irrealistico, infatti, pretendere da ogni credente una competenza filosofica e teologica di livello accademico. Verweyen non afferma questo, ma sostiene la necessità di essere consapevoli, almeno a livello intuitivo, della possibilità di legittimare razionalmente la pretesa veritativa cristiana, contro dubbi di ogni sorta.

Quindi secondo il Teologo di Friburgo una fede che voglia definirsi tale, che ritenga definitivamente valido il senso che l’ha affascinata, è una fede che conosce almeno l’esistenza di ottime ragioni che la sostengano. Altra cosa è dire che debba, come conditio sine qua non, sapersi muovere con destrezza in queste ottime ragioni e padroneggiarle: questa è evidentemente una competenza da specialisti.

Dubbi di fede secondo Jürgen Werbick

La posizione di Verweyen è contestata da un altro teologo tedesco, Jürgen Werbick, che sostiene decisamente un’altra opinione riguardo all’eventualità che la fede incontri dubbi e perplessità. Secondo Werbick il credente,

…Sarà forse continuamente colto da incertezze e da dubbi che lo spingeranno a domandarsi se non abbia rischiato se stesso per nulla. Fa parte dell’onestà intellettualmente responsabile della fede non rimuovere questa vulnerabilità della fede e della sua certezza. Non si tratta di coltivare il dubbio per non doversi legare. Si tratta piuttosto del realismo della fede[2]…

dubbi di fede

Colpisce notare la diversità delle due posizioni e la diversità delle prospettive di partenza dei due Teologi. Werbick riflette a partire dall’esperienza credente, dalla sua laboriosità ineludibile. Secondo il Teologo di Monaco sarebbe molto peggio confinare i propri dubbi, la propria incertezza, nel rimosso, piuttosto che ammettere apertamente la difficoltà della propria esperienza.

Ancor più, Werbick ritiene di svolgere una fenomenologia dell’esperienza credente. Quest’ultima sarebbe intrinsecamente caratterizzata da una tensione ineliminabile. Il coinvolgimento intero e senza riserve della propria esistenza si scontra con la dinamica dello scarto, dello iato, che si sperimenta nella fede. La fede stessa si qualifica come sequela continua, come non possedimento della realtà ultima, ma di orientamento continuo verso di essa.

 Le testimonianze della Scrittura descrivono spesso la fede nella dialettica continua con dubbi e resistenze. La dinamica della fede è quella della libertà che si impegna per il Dio di Gesù Cristo che la scuote e la interpella. L’appello di Dio non immunizza però dalla fatica del credere, del coinvolgersi interamente verso un orizzonte che si intravede, di cui si percepisce il senso e le ottime ragioni che conquidono, ma che non si possiede nella forma della dimostrazione matematica. Altrimenti non parleremmo di fede, di orientamento della libertà, di tensione relazionale, ma di un arido calcolo di probabilità, della ricerca dell’utile.

Dubbi di fede, ma di che tipo?

Le posizioni dei due Teologi sembrano inconciliabili. Infatti, a ben vedere, la differenza considerevole che separa gli esiti delle loro riflessioni è pari a quella che divide la loro prospettiva di partenza. Appartenere alla stessa confessione cattolica non significa non poter giungere a delle conclusioni opposte o dover scegliere la stessa prospettiva ermeneutica.

Verweyen e Werbick divergono profondamente nell’impostazione del rapporto tra fede e ragione. Considerando il nostro ambito, quello dei dubbi che assalgono la fede, possiamo giungere alle seguenti conclusioni.

 Le due riflessioni sono difficilmente assimilabili, perché muovono da diversi punti di vista e considerano i dubbi di fede da un’ottica, a nostro parere, molto diversa. L’approccio di Verweyen è notevolmente speculativo mentre quello di Werbick è molto più fenomenologico.

 I dubbi tematizzati da Verweyen sono dubbi di fede nel senso forte del termine, ovvero dubbi, magari silenti, ma che minano la fede nelle sue radici. Dubbi di tal genere rendono relativa la pretesa veritativa della Rivelazione: finché essi non vengono risolti, in un senso o nell’altro, la fede rimane in sospeso, perché richiede un assenso consapevole.

I dubbi che Werbick considera invece come insopprimibili una volta per tutte nell’esperienza credente sono di un altro genere. Essi sono i dubbi di fede che esprimono la fatica del credere, dell’affidamento nelle difficoltà concrete dell’esperienza storica. Sono dubbi, quindi, dall’interno della stessa fede, dubbi connaturali alla fede, che rendono laboriosa l’esperienza credente ma non solo non la compromettono, anzi, la confermano testimoniandone l’autenticità.

Christian Sabbatini

Bibliografia:

C. Sabbatini, La questione del senso in Hansjürgen Verweyen e Jürgen Werbick, Istituto Teologico Marchigiano, Tesi di Baccellierato 2014, 43.

J. Werbick, Essere responsabili della fede. Una teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 2002 (Biblioteca di teologia contemporanea, 122), 221s. 272s.

Immagine in evidenza: www.ascuoladiguggenheim.it-

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[1] Opera citata in J. Werbick, Essere responsabili della fede, 272s. Corsivo dell’Autore sul termine -mio- nell’espressione ‘mio punto di vista’, che ho reso con il maiuscolo.
[2] Ibid. , 222.