L’onnipotenza di Dio secondo Jonas, Kehl e Werbick

L’ onnipotenza di Dio è uno dei concetti teologici più discussi e fraintesi. Questo termine è problematico a tal punto che molti oggi ritengono necessario farne a meno nell’intento di poter continuare a parlare di Dio in modo credibile.

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Opera calpestabile del museo ebraico di Berlino

Onnipotenza di Dio ad Auschwitz?

Sono nette le parole di Hans Jonas, filosofo ebreo del XX secolo:

Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile (nel governo del mondo in cui noi unicamente siamo in condizione di comprenderla)[1].

Jonas riprende il tema classico che vede onnipotenza, bontà e comprensibilità di Dio inconciliabili fra loro. Gli attributi in questione potrebbero al massimo sussistere come diadi senza però poter ammettere logicamente l’aggiunta del terzo: se Dio fosse onnipotente e buono allora il suo agire sarebbe incomprensibile; se fosse buono e comprensibile allora non potrebbe più essere onnipotente; se fosse onnipotente e comprensibile, allora non sarebbe più buono.

La posizione di Jonas è fortemente avvalorata dall’evento nefasto che colloca a banco di prova del suo pensiero: l’orrore dei campi di sterminio. La provocazione del filosofo non può certamente essere sottovalutata e merita una seria considerazione.

Una teologia che rimanesse impermeabile ai profondi interrogativi scaturiti dalle tragedie inedite del secondo conflitto mondiale, non potrebbe più essere credibile. Essa verrebbe meno al suo compito di traduzione della Parola di Dio se non indagasse il senso che questa dischiude.

Onnipotenza ed ermeneutica dei dogmi

L’onnipotenza di Dio è un contenuto vincolante per la fede cristiana, presente già nella professione di fede del Concilio di Nicea del 325. Jonas arriva a delle conclusioni stringenti e suggestive, partendo però da delle premesse che è necessario discutere.

Il filosofo riflette sul concetto di onnipotenza alla luce del suo odierno significato filosofico, trascurando però un’indagine filologica. Prima di capire se e quale concetto di onnipotenza vada scartato perché inconciliabile con l’intelligenza della fede, occorre scoprire che cosa significhi e che cosa si nasconda dietro di esso.

Questa operazione significa in fondo fare ermeneutica dei dogmi e merita una breve considerazione. In primo luogo è necessario superare la lettura riduzionistica dell’illuminismo che vede il dogma come qualcosa di indiscutibile, di irrazionale e di imposto dall’alto, dalla gerarchia ecclesiastica cioè, senza possibilità di libero esame. È questa la comprensione del dogma che si è imposta e che sussiste tutt’ora. Al contrario, la storia della teologia riporta una visione del dogma profondamente diversa dalla sua aberrazione moderna.

Il dogma nasce come riconoscimento ufficiale di qualcosa che è già stato creduto da sempre, una realtà direttamente o indirettamente connessa con la Rivelazione che fin dai primi tempi dell’epoca cristiana venne unanimemente creduta ed accolta nella liturgia.

A differenza del luogo comune, quindi, il dato dogmatico è qualcosa che procede dal basso verso l’alto, dall’esperienza di fede del popolo, al riconoscimento ufficiale della gerarchia ecclesiastica.

L’ermeneutica dei dogmi è invece uno sviluppo recente della scienza teologica. Essa è guardata con sospetto e disapprovazione dai fondamentalisti che vedono in essa il pericolo di un nuovo gnosticismo: un tentativo colto di assorbire e liquidare l’esperienza della fede.

In realtà, l’ermeneutica dei dogmi non solo non relativizza i contenuti della fede, ma è irrinunciabile per una loro corretta comprensione. Essa, servendosi di un’indagine storica e filologica, permette di scoprire che cosa significhi veramente il dogma, studiando il contesto linguistico e culturale che l’ha prodotto.

Onnipotenza nella Bibbia

Un breve excursus ermeneutico attorno al concetto di onnipotenza può mostrare i vantaggi incontestabili dell’ermeneutica dei dogmi.

Il termine onnipotenza deriva dal latino omni-potens che esprime la possibilità di poter fare tutte le cose, senza limite alcuno quindi. Questo concetto di natura filosofica è estraneo alle narrazioni bibliche che presentano Dio in un’altra ottica.

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Onnipotenza in senso magico dal film “Una settimana da Dio”

Il concilio di Nicea utilizza il termine biblico ‘pantokràtor’ παντοκράτωρ che a sua volta è un tentativo di traduzione dell’ebraico ‘Dio degli eserciti’  אֱלֹהֵ֥י צְבָא֖וֹת[2]

παντοκράτωρ significa ‘dominatore di tutto’ e nell’ottica biblica esprime un senso profondamente diverso dalla nozione di onnipotenza filosofica. Esso è, come il termine Padre, un concetto relazionale: esprime il rapporto tra Dio e la sua creazione, tra Dio e il suo popolo. È quindi tutta la storia biblica ad essere rievocata: siamo agli antipodi rispetto ad una onnipotenza astratta.

L’onnipotenza in questione è solamente una: l’onnipotenza nell’amore che emerge dalla storia biblica della salvezza. Essa si compie nell’evento della Pasqua di Cristo che culmina con la sua Resurrezione: non può essere dissolta nell’impotenza del Cristo Crocefisso, nella sua sofferenza. Dire onnipotenza nell’amore significa dire che a Dio

… non ‘mancano’ mai le possibilità di far trionfare l’amore e la benevolenza per quanto gli uomini facciano trionfare l’odio e l’indifferenza, per quanto essi diventino una fatalità gli uni per gli altri e siano visitati dall’estrema durezza, quale la definitività di un passare fatale, cioè la morte[3].

Anche nei campi di sterminio questa onnipotenza nell’amore si è manifestata: basta pensare alle testimonianze dei santi, celebri come Massimiliano Kolbe, Edith Stein o ignoti, che incarnarono l’amore di Dio in mezzo alle barbarie.

Rinunciare all’idea di Onnipotenza?

Che il termine onnipotenza sia ambiguo e conduca ad una falsa immagine di Dio, un Dio magico e non il Dio di Gesù Cristo, non è un’acquisizione recente: la ritroviamo nel III secolo. Omni-potens non è la traduzione del παντοκράτωρ biblico e cioè un termine relazionale, ma di panto-dýnamos, παντοδύναμος che veicola un’idea erronea:

Qui non si tratta di quel potere di Dio sulla creazione che sostiene tutta la realtà portandola verso la salvezza, potere che quindi fa nascere fiducia, ma piuttosto della capacità di Dio, per noi completamente inspiegabile (ed imprevedibile), di ‘essere capace di fare qualsiasi cosa’[4].

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Origene, celebre teologo cristiano del III secolo, nella sua opera Contra Celsum si scagliò proprio contro la falsa onnipotenza veicolata dal παντοδύναμος. Non è vero che Dio è capace di fare qualsiasi cosa: Egli non può contraddire sé stesso e quindi la sua divinità, il suo essere amore, il suo progetto salvifico[5].

L’analisi del concetto di onnipotenza ha mostrato quale onnipotenza possiamo continuare ad affermare e quale invece dobbiamo assolutamente deporre. L’onnipotenza vincolante per la fede è quella creduta dall’orante che affida a Dio con fiducia la propria condizione di afflizione e sventura:

La persona che prega confida – come Gesù nell’orto degli Ulivi – che Dio liberi lei, o coloro per cui prega, dalle necessità concrete o possa proteggerlo dalle avversità. E anche se ciò che ella si aspetta non si realizza, spera comunque che Dio possa e voglia impedire che la disgrazia, che non è stata evitata e che ha colpito lei o altri, non diventi perdizione, portando così ad una separazione radicale da Dio e dal suo amore; solo se si realizzasse ciò, la vita diventerebbe davvero priva di senso e di salvezza[6]. 

A ben vedere quindi, l’onnipotenza estranea all’esperienza della fede e alle narrazioni bibliche, a cui dobbiamo rinunciare, non è l’onnipotenza di Dio, ma la nostra idea di onnipotenza. Si tratta dell’onnipotenza magica, interventista, del cosiddetto ‘Dio tappabuchi’. Questa visione erronea contiene un’idea di potenza che richiama consapevolmente o meno quella di violenza, ponendo dei conflitti insolubili nel rapporto tra la libertà di Dio e quella dell’uomo.

Questa falsa onnipotenza è in realtà la proiezione su Dio del desiderio umano di onnipotenza e mal si accorda con l’onnipotenza nell’amore testimoniata dalla Rivelazione di Dio che culmina nella Pasqua.

Christian Sabbatini

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Bibliografia:

M. Kehl, “E Dio vide che era cosa buona”. Una teologia della creazione, Queriniana, Brescia 2009 (Biblioteca di teologia contemporanea, 146), 73-77.

[1] H. Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Nuovo Melangolo, Genova 2004, 34.

[2] Prendiamo in considerazione solamente ‘Dio degli eserciti’ e non אֵ֣ל שַׁדַּ֔י  che ugualmente spesso viene reso con παντοκράτωρ.

[3] J. Werbick, Un Dio coinvolgente. Dottrina teologica su Dio, Queriniana, Brescia 2010 (Biblioteca di Teologia Contemporanea, 150), 506.

[4] M. Kehl, “E Dio vide che era cosa buona”, 75.

[5] Non hanno senso quindi le affermazioni secondo le quali Dio avrebbe potuto (sterminare ed uccidere tutti, scendendo dalla croce, ad esempio) ma scelse di non farlo.

[6] M. Kehl, “E Dio vide che era cosa buona”, 76.