Il favoloso mondo di Amélie: l’analisi del film

Ad Amélie piace…” essere al cinema, voltarsi e osservare le facce degli altri spettatori. Sicuramente se Amélie Poulain si fosse voltata nella sala dove veniva proiettato Il favoloso mondo di Amélie avrebbe notato facce rapite e sbalordite di fronte a delle immagini avvolte in un’atmosfera così ovattata da sembrare quasi ambientate in un universo fiabesco.

Il favoloso mondo di Amélie è un film diretto dal regista Jean-Pierre Jeunet, uscito nelle sale cinema nel 2001, vincitore dell’Oscar per la colonna sonora. Infatti Yann Tiersen è un mago nel trasportarci nei più petits endroits della ville lumière, e sulla sua melodia, tra una passeggiata lungo il canal Saint-Martin e un giro al Carrousel di Montmartre, Jeunet ci fa vagare per le strade di Parigi immersa in caldi colori pastello.

Il favoloso mondo di Amélie: la storia di Amélie Poulain

Amélie

Amélie Poulain (Audrei Tatou) è una ragazza un po’ particolare, cresciuta in una famiglia in cui le dimostrazioni d’affetto venivano misurate con il contagocce, le viene fin da piccola diagnosticata una malattia cardiaca che le impedisce di andare a scuola e socializzare con gli altri bambini. In realtà l’aumento del battito era provocato dall’insolita vicinanza del padre, che si occupava appunto del controllo medico mensile, a causa della quale la bambina, poco abituata a tale emozione, non poteva certo evitare al suo cuoricino di battere più velocemente.

All’infanzia già segnata dall’inesistente contatto con il mondo esterno, si aggiunge l’improvvisa morte della madre che costringe Amélie a crescere in una sorta di bolla di sapone, in una casa in campagna in compagnia di un padre per il quale il giardinaggio era di sicuro un argomento sul quale era più preparato di come crescere un bambino.

Finalmente raggiunti i suoi 23 anni, Amélie abbandona il nido per recarsi nella grande Parigi dove viene assunta come cameriera in un café di Montmartre, “Café des 2 Moulins”. In realtà più che un trasferimento nella grande capitale francese, sembra quasi di trovarsi nuovamente in provincia o in un piccolo paesino dove i clienti sono dei veri e propri habitus, il fruttivendolo conosce le abitudini alimentari dei suoi clienti e la giornalaia è al corrente di tutti i gossip del quartiere. Di certo molto diversa dalla caotica Parigi dipinta nei romanzi di Zola.

Amélie

In ogni caso la protagonista, dopo aver restituito il piccolo scrigno di ricordi appartenuti all’ex inquilino del suo appartamento, decide di dedicarsi alla felicità altrui e di mettere un po’ di giustizia nel quartiere, prima tormentando il fruttivendolo, reo di aver maltrattato il suo aiutante, per poi occuparsi della portinaia dal cuore spezzato e della tabaccaia con la sindrome del malato immaginario.

Ma in realtà sono due gli incontri che cambieranno la vita di Amélie: il primo è con il vicino di casa, chiamato “ il vecchio di vetro” a causa della sua malattia congenita alle ossa, un anziano pittore che da più di vent’anni non esce di casa, eliminando così ogni riscontro con il mondo moderno. Il secondo è Nino (Mathieu Kassovitz) un giovane impiegato di un sexy shop la cui passione è quella di creare album con le foto, strappate o buttate, raccolte vicino alle macchine delle foto tessera nelle stazioni metropolitane.

Amélie

Uno spinge verso il mondo esterno e l’altro tira, due forze opposte che si completano nel lavoro di trascinare finalmente Amélie nel mondo reale. Amélie infatti dopo aver ritrovato l’album di Nino, decide di iniziare una caccia al tesoro prima per restituirglielo poi per potersi incontrare. In poco tempo e in maniera alquanto bizzarra i due, non essendosi mai propriamente incontrati, si ritrovano innamorati l’una dell’altro. Un sentimento nuovo, mai provato dalla protagonista che le sconvolge completamente la vita fino a farle rendere conto di come è necessario che le sue fantasticherie debbano essere accompagnate da un vero e proprio riscontro con il mondo vero e concreto.

Una commedia molto piacevole che, con delle scene così tenere e innocenti che sembrano provenire dalla mente di un bambino, porta lo spettatore a sorridere e a commuoversi allo stesso tempo. E, proprio come una favola di La Fontaine, anche qui il regista ci offre la sua morale, vivere a pieno la vita. Amélie Poulain è proprio questo, un inno alla vita.

Celia Manzi