Conserve: la creatività della cucina napoletana

Le conserve alimentari sono prodotti conservati in vari modi per poter essere mangiati anche fuori stagione. Sin dai tempi antichi venivano preparati in casa dalle massaie e conservati per essere consumati quando non esistevano freschi. A Napoli sono tantissime e originalissime le conserve fatte in casa. Le “conserve della nonna” hanno cresciuto molti di noi !

La storia delle conserve

conserveLa storia delle conserve inizia nel Paleolitico e, nel corso dei millenni, conosce tre fasi fondamentali: la conservazione del prodotto allo stato naturale, la sua trasformazione e il suo trattamento con lo zucchero o altri elementi come l’aceto, il miele e l’olio.

Nel volume Le Conserve pubblicato dall’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale nell’ambito dell’Atlante dei prodotti tipici affidato alla AGRA-RAI ERI, si enunciano i tre gradi della conservazione alimentare.
Il primo è quello che si propone di conservare il prodotto tale e quale. Questo è lo stadio che ci ha tramandato la tradizione araba del XII secolo. Il conservante proposto per questo tipo di conservazione è il miele. Ad esempio, una mela conservata nel miele è come se fosse conservata nell’argilla. Questo metodo era però consigliato solo per la frutta.

Il secondo stadio si basa, invece, sulla trasformazione attraverso il sale ed è applicabile soprattutto ai prodotti ittici. Esso comporta una trasformazione perché l’originalità del prodotto va un po’ perduta. Ad esempio, il sale e la compressione in barile accentuano l’amarognolo insito nell’acciuga fresca.
Il terzo stadio irrompe sulla scena conserviera con la scoperta dello zucchero, ossia dopo la seconda metà del XVI secolo. A questo stadio è stato dato il nome di “borboniano” perché tra i primi sperimentatori dell’arte caramellatrice fu il re di Francia, Luigi XIII di Borbone.

Le conserve napoletane “della nonna”

conserve
Conserva di melanzane

Dopo aver spiegato brevemente la storia della conserva, è bene porre di più l’attenzione sulla napoletanità delle conserve. Qual è il modo migliore se non quello di presentare le ricette antiche “delle nonne” napoletane? Ebbene, riveleremo qui delle “chicche” che forse non avevate mai preso in considerazione e che solo una nonna napoletana può spiegarvi. Sapete come conservare le melanzane per la parmigiana? Magari, quando avanza qualche melanzana e non si ha il tempo per prepararla subito, si è costretti a buttarla. E invece i napoletani sono riusciti ad applicare i metodi di conservazione alimentare anche agli avanzi! A Napoli non si butta via niente ed è questa la sua creatività e originalità, tutta da ammirare.

Come conservare le melanzane per la parmigiana:

Fare asciugare al sole le melanzane tagliate a fette. Friggerle e metterle in un barattolo di vetro aggiungendo qualche foglia di basilico. Dopo aver chiuso bene il barattolo, lasciarlo bollire sul fuoco per 30 minuti.
N.B. In mancanza di barattoli di vetro, anziché tagliare le melanzane a fette, si tagliano a listelle e dopo averle fatte asciugare si mettono nelle bottiglie turate con tappi di birra e si fanno bollire per 30 minuti.

Come si può vedere, la conserva è un’arte di sopravvivenza a tutti gli effetti.

Le famose conserve di pomodoro: tutte napoletane!

conserve
‘a caurara

Chi ha avuto un nonno napoletano contadino può capire l’emozione che dava la raccolta di pomodori al mattino presto e può certamente ricordare le “riunioni di famiglia” che si facevano in cortile per dare inizio alla conserva dei pomodori !

Cosa serve per fare trenta bottiglie di conserva:

60 kg di pomodori San Marzano (per ottenere circa 30 bottiglie di conserva);
30-35 bottiglie di vetro da 75 cc (Vanno bene quelle del succo di frutta o delle passate);
Un bidone di ferro o un pentolone da 80/100 kg (‘a caurara): serve per cuocere i pomodori. Il pentolone deve essere munito di supporto sotto cui viene posto il fornelletto o acceso il fuoco;
Una macchina per separare le bucce e le sementi dalla polpa;

Le fasi di preparazione:

La prima fase è la selezione dei pomodori, a cui segue poi un accurato lavaggio. Dopo aver montato l’apposita macchina, si versano poco per volta i pomodori nel boccale, si raccoglie il residuo della macinazione del pomodoro in una bacinella dalla cui spremitura si otterrà ancora sugo. L’operazione deve essere ripetuta due volte. Ottenuto il sugo, si lascia riposare in una bacinella, e con l’aiuto di una pompa si aspira l’acqua che si sarà formata al di sotto del sugo.

Si preparano le bottiglie precedentemente lavate e si versa il sugo all’interno di esse. Si tappano per bene le bottiglie e poi si mettono in un bidone (‘a caurara), dove vengono disposte in modo attento intervallando ogni strato con strofinacci vecchi (i metodi della nonna!). I bidoni vengono riempiti d’acqua fino all’orlo, dopodiché si accende il fuoco e si inizia a contare un’ora dalla bollitura.
Per tradizione si mettono sopra l’ultimo strato d’acqua 4 o 5 patate (quando le patate si saranno frantumate le bottiglie avranno terminato la cottura).

La tradizione è la chiave della società, è il cuore di una città, è il mezzo attraverso cui creare.

Raffaela De Vivo

Bibliografia:

AA.VV., L’Italia delle conserve, Touring Club italiano, Milano, 2004.

L. DE CRESCENZO, Frijenno Magnanno. Le mille e una…ricetta, Il libro in Piazza, Napoli, 1989.

Sitografia:

http://www.lucianopignataro.it/a/come-si-fa-la-vera-conserva-di-pomodoro-napoletana-in-campagna-e-a-casa-in-citta/29131/