Opinioni di un clown di Heinrich Böll: un’analisi

Svariati occhi riescono, sfuggendo alle più immediate associazioni mentali, ad abbattere l’immagine comica che offre di sé un artista di strada per coglierne la più assoluta malinconia; così, il clown che rivela il suo mal d’essere si fa immediatamente topos dall’innegabile fascino. Heinrich Böll (1917 – 1985), contribuendo a ricostruire le macerie di una cultura letteraria demolita dal nazismo, lascia, nelle sue Opinioni di un clown (1963), che sia proprio quella stessa figura pantomimica, all’apparenza alienata mediante una maschera dalla realtà, a penetrare quest’ultima a fondo, sferzando tanto feroci quanto veritiere critiche all’apparato sociale tedesco del secondo dopoguerra.

Tutti sanno, cioè, che un clown dev’essere malinconico per essere un buon clown, ma che per lui la malinconia sia una faccenda maledettamente seria, fin lì non ci arrivano.

Opinioni di un clown
Heinrich Böll

Opinioni di un clown: la vicenda di Hans Schnier

C’è una medicina di effetto momentaneo: l’alcol. Ci sarebbe una guarigione duratura: Maria.

Opinioni di un clown
Pablo Picasso, Arlecchino pensoso (1901)

Ancor più topica, probabilmente, è la malinconia derivante da una delusione amorosa. Hans Schnier, giovane clown originario di Bonn, si vede fin dall’inizio delle sue confessioni condannato dalla sua predisposizione alla monogamia: è Maria che desidera, ed era Maria l’unica che potesse riempire la sua quotidianità. Maria, credente (a differenza sua) e vicina ai circoli cattolici, l’ha lasciato per Züpfner, desiderosa di un matrimonio ordinario che tra i borghesi non destasse ulteriore scalpore, lungi dalla situazione d’instabile concubinato che per cinque anni ha vissuto con Hans.

Il clown, già diffidente nei confronti dei cattolici, ora li accusa per incitazione «all’adulterio e alla prostituzione»; amareggiato inoltre per gli insuccessi lavorativi e privo di risorse economiche, si vede costretto, in un breve arco di tempo che copre tutto il romanzo, ad un giro di telefonate a vecchie conoscenze e parenti per chiedere denaro.

Affronta così anche il difficile rapporto con la famiglia, quegli «Schnier del carbone» che, come molti, accolgono placidamente l’ondata democratica dopo aver assentito al regime nazista. Ma la ricongiunzione fallimentare con la figura paterna e la recente conversione del fratello Leo al cattolicesimo gravano ancora di più sulle spalle di Hans, che tra pensieri estremi («Un artista ha la morte sempre con sé, come un bravo prete il suo breviario») attende Maria, di ritorno dal viaggio di nozze a Roma, mendicando alla stazione ferroviaria di Bonn.

La chiave di lettura più superficiale di Opinioni di un Clown, relativa ai fatti e i personaggi, è avvolta in un’aura di vacuità e di stasi. È proprio essa, per analogia, ad introdurre alla chiave di lettura più profonda e importante: quella sociopolitica.

Le crepe contraddittorie della Germania post-‘45

Molte cose bisogna distruggere, per edificare il nuovo ordine; ora sappiamo che la Germania era una di quelle cose. (Jorge Luis Borges, Deutsche Requiem)

Anche Böll, assieme a molti letterati tedeschi del tempo quali la Bachmann o Enzensberger, aderì al Gruppo 47, movimento animato dal comune fine di riedificazione dell’attività letteraria in Germania: esigenza percepita come urgente alla luce dell’incresciosa esperienza totalitaria.

Difatti, fin dalle sue prime opere (esempio celebre è Il treno era in orario), Böll delinea con rigida precisione ogni tratto della stagione hitleriana, particolareggiando sulle conseguenze di quest’ultima nella coscienza politica del popolo tedesco. Il radicale sentimento di appartenenza nazionale non prolifica senza ipocrisia, ed è sull’ipocrisia che lo stesso popolo deve nuovamente fondarsi per fronteggiare lo smarrimento del dopoguerra: la Trümmerliteratur (letteratura delle macerie) di Böll, nella sua durezza, si rivela così terapia necessaria.

Opinioni di un clown
Alfred Andersch, tra i fondatori del Gruppo 47

La rancorosa (eppure motivata) analisi di Hans Schnier bersaglia, come prima accennato, ogni strato sociale. La sua stessa famiglia è espressione del ceto dirigente urbano.

Si osservi, ad esempio, come con amara ironia Böll dipinge in Opinioni di un clown il perbenismo della madre di Hans, “convertitasi” alla democrazia soltanto a guerra conclusa, ma prima senz’ombra di dubbio zelante nei confronti dell’incarico nella Flak (difesa antiaerea) della giovane figlia Henriette; la carriera militare l’avrebbe immediatamente portata alla morte.

Intanto mia madre è da anni presidentessa del Comitato Centrale della Società per la conciliazione dei contrasti razziali. Va alla casa di Anna Frank, di tanto in tanto va anche in America, dove tiene conferenze nei club femminili americani sui rimorsi della gioventù tedesca, ancora e sempre con quella dolce voce innocente con la quale probabilmente avrà salutato Henriette dicendole: “Fa’ la brava, cara”. Quella voce la potevo udire al telefono quando volevo, la voce di Henriette non l’avrei udita mai più.

Con la traumatica conclusione del vecchio ordine e la graduale occidentalizzazione della Germania dell’Ovest, sono soprattutto i rami del cattolicesimo tedesco ad imporsi: la loro aggregazione che invade anche la sfera politica è accostata da Böll, nelle parole di Hans, ad una più avanzata forma di simonia coincidente con la prostituzione.

Se la nostra epoca dovesse meritare un nome, dovrebbe chiamarsi l’epoca della prostituzione. La gente si abitua a un vocabolario da puttane. Una volta incontrai Sommerwild dopo una di queste discussioni («Può l’arte moderna essere religiosa?») e mi domandò: «Sono stato bravo? Le sono piaciuto?». Alla lettera le stesse domande che una prostituta fa al suo cliente che si congeda.

Sono il tenace sussurro contro l’ideologizzazione cieca e l’osservazione anticonformistica dei retroscena sociologici del “miracolo economico” degli anni Cinquanta a rendere onerosamente attuale Opinioni di un clown, un romanzo concepito per essere inattuale.

Pierluigi Patavini