Un cuore spezzato: che espressione banale. Quante volte, invece, abbiamo sentito parlare di un’anima infranta? Che rumore farebbe, se potessimo sentirlo?
Probabilmente sarebbe quello di un delicato e prezioso oggetto di cristallo che finisce in mille pezzi. Così immaginiamo le anime di vetro dei personaggi di Maurizio De Giovanni.
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Mica è mia, la canzone. E nemmeno la storia. Io te l’ho solo raccontata.
Iniziamo la nostra lettura di “Anime di Vetro. Falene per il commissario Ricciardi” di Maurizio De Giovanni standocene in un angolino, in una stanza in penombra in cui non avviene nulla che sia legato alla trama, ma che ci dice molto sul modo di scrivere del napoletano che sta facendo parlare di sé non solo in Campania, non solo in Italia, ma anche nei diversi paesi in cui i suoi libri sono stati tradotti.
Il segreto del suo successo sta nella semplicità quasi disarmante del suo stile: come un bardo, un cantastorie, De Giovanni racconta storie. Storie di passioni vissute da un’umanità fragile e per questo bellissima, bella come le donne che ama tanto descrivere, bella come il vetro delle anime che si spezzano nei suoi romanzi.
Leggendo i primi capitoli del romanzo, che vanno giù tutti d’un sorso, ci accorgiamo subito che si tratta di una storia atipica. Per la prima volta Ricciardi, il commissario solitario che, senza volerlo, ha affascinato due donne bellissime nel mondo della finzione e tante appassionate lettrici in quello della realtà, dovrà indagare su un caso già chiuso da mesi. Si tratta dell’omicidio di Piro, un avvocato molto noto nell’ambiente aristocratico napoletano: l’assassino (o presunto tale) ha confessato a poche ore dal ritrovamento del cadavere e ora è in prigione a scontare la pena che merita.
Sarà Ricciardi, ancora una volta, a far luce sull’accaduto, dimostrando che non è solo “il fatto“, la maledizione che si porta dietro da tutta una vita e gli permette di ascoltare l’ultimo pensiero dei morti ammazzati, a renderlo un bravo commissario, ma una lucida capacità di giudizio e un intuito fuori dal comune.
Anime di vetro, però, non è soltanto un “romanzo nero”, come De Giovanni ama definire i suoi gialli: è la storia di anime fragili, anime di vetro appunto, che si muovono sullo sfondo di una Napoli multiforme e intrecciano i propri destini con quello di una storia più grande di loro, la storia del fascismo, che inaspettatamente coinvolgerà fin troppo da vicino il nostro commissario. Non vi sveliamo altro!
Vedete, commissario, le anime sono fragili. Esseri bellissimi e fragili, di cristallo, lasciano passare la luce e il calore, ma non sono in grado di trattenerli. Le anime sono di vetro, e a strapazzarle troppo possono incrinarsi e dare riflessi sbagliati. Non sottovalutate l’anima, commissario. Abbiate il coraggio di guardare al suo interno, la superficie è trasparente, ve lo consentirà.
Vattenn’ ‘a lloco!
Vattenne, pazzarella!
Va’, palummella, e torna,
E torna a ‘st’aria
Accussì fresca e bella!
‘O bbì ca i’ pure
Mm’abbaglio chianu chiano,
E ca mm’abbrucio ‘a mano
Pe’ te ne vulè caccià? [1]
A voi il piacevole compito di scoprire in quale modo la storia di Anime di vetro rimanda a quella della canzone.
Maria Fiorella Suozzo
Le citazioni sono tratte dal romanzo “Anime di vetro”, Einaudi 2015
[1] per la canzone completa e la traduzione italiana: palomma ‘e notte
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