The tree of life di Terrence Malick: l’analisi del film

The tree of life sulla scia di capolavori

Spesso il cinema ci mette di fronte a grandi dilemmi, ci catapulta in opere che sembrano trascendere luoghi e tempi definiti, e dopo esserne entrati in contatto, ci trasmette emozioni diverse, siano esse gioia, stupore, terrore o paura, eppure, queste emozioni che forse conosciamo così bene, ci sembrano diverse nel momento in cui le recepiamo attraverso il linguaggio del cinema, un linguaggio che come ci hanno insegnato anche Ridley Scott e Kubrick, può trasmettere grandi emozioni attraverso opere “lente” in cui prevale la bellezza delle immagini e la quasi assenza di dialoghi, è per questo che Blade Runner e ancora di più 2001: Odissea nello spazio, hanno molto in comune con The three of life.

Quinto lungometraggio diretto da Terrence Malick, personalità molto riservata e che tende a starsene lontana dai riflettori, The tree of life fu presentato al 64° festival di Cannes aggiudicandosi la palma d’oro per il miglior film. Un film che ha diviso la critica come pochi altri film hanno fatto nella storia: alcuni lo hanno considerato un capolavoro assoluto, altri lo hanno ritenuto un film che finge di essere un capolavoro ma che in realtà è sopravvalutato.

The tree of life

Tra gli addetti ai lavori della realizzazione di The tree of life, per il quale Malick ha scritto anche la sceneggiatura, troviamo l’esperto direttore della fotografia Lubezski. Ma tenetevi forte, perché gli effetti speciali, accompagnati dalla musica di Desplat, sono supervisionati nientemeno che da Douglas Trumbull, che aveva lavorato proprio per Kubrick e Scott nei film sopracitati, una scelta non del tutto casuale. Tra i membri del cast troviamo attori d’eccellenza come Sean Penn e Brad Pitt e, a quei tempi, la quasi esordiente Jessica Chastain.

The tree of life

The tree of life, la trama

Anni ’50, in una cittadina del Texas, Jack (Hunter McCracken-Sean Penn) cresce insieme ad altri due fratelli tra un padre autoritario ed esigente (Brad Pitt), che rappresenta la natura e la sua forza brutale e una madre remissiva (Jessica Chastain), che nella sua purezza e ingenuità rappresenta la grazia. Jack si trova a crescere tra due modi di intendere l’amore, due modi forti e diversi, diviso tra essi per tutta la vita, e costretto a condividerli con i due fratelli che vengono dopo di lui. Poi la tragedia, la morte del fratello a soli diciannove anni, che segnerà tutti i componenti moltiplicando le domande di ciascuno. Domande esistenziali risolte in una maniera fuori da ogni immaginazione.

Un poema sul senso della vita

The tree of life

Raccontare e soprattutto cercare di capire ciò che Malick abbia voluto esprimerci e dirci con The tree of life, risulterebbe un’impresa impossibile, perché se è vero che l’opera d’arte rimanda ad una significazione infinita, questo film ne è la prova. L’obiettivo almeno apparente e subito chiaro del film è quello della ricerca del senso della vita, ma questo è forse l’obiettivo di tutti i grandi film. C’è però chi ha visto di più in questo film. Molte parole si son spese sui paragoni con 2001: Odissea nello spazio, il quale oltre ad essere associato a The tree of life per il modo suggestivo che hanno di raccontare qualcosa servendosi delle immagini e riducendo al minimo il dialogo, darebbe una visione materialista a differenza dell’opera di Malick che andrebbe invece verso la religione e la metafisica. Sicuramente questo film è una riflessione sulla bellezza, una bellezza che ci fa amare,  partendo dalla visione di quanto più grande ci sia nel mondo (l’universo, le galassie, le nebulose) fino ad arrivare alla Terra con i suoi paesaggi, avvicinandosi all’uomo quindi la nascita, arrivando addirittura a mostrare quanto di bello possa esserci in una semplice struttura cellulare. “La bellezza salverà il mondo” diceva Dostoevskij.

The tree of life

In The tree of life anche la natura, intesa nella sua totalità, è un altro elemento importante, che però si intreccia con un altro elemento che potrebbe storcere il naso di osservatori cinici, ovvero la spiritualità, intesa come un tutt’uno con la natura, in una sorte di visione panteista. È la natura che ci fa venire al mondo, ci allontana dal mondo e allo stesso tempo ci accompagna per tutta la vita e in essa ci amiamo e ci ritroviamo in quanto è ciò che accomuna tutti noi esseri viventi. Tutta questa grandezza che sembra poter esprimere il film, non oscura però la rappresentazione dei sentimenti e delle emozioni dell’uomo, che appaiono invece in tutta la loro sincerità e coerenza. Ci si potrebbe soffermare ancora sulla tecnica di questo film, ma tutto ciò che questo film ha da esprimere, non può essere raccontato in altre parole, può essere solo mostrato attraverso il linguaggio del cinema, che diventa il linguaggio universale al servizio dell’intera umanità. Dunque non resta che guardare e riguardare questo capolavoro, restando come la prima volta, sempre estasiati di fronte a scene come quella finale, che forse racchiude nella sua bellezza, una parte del significato stesso del film.

Roberto Carli