Racine et Shakespeare: il pamphlet di Stendhal

[Nous mettons de la vanité à soutenir que ces mauvaises habitudes sont fondées dans la nature.]

Siamo nel primo trentennio dell’Ottocento. Il Romanticismo, gran motore del secolo, ha ormai da decenni innestato vigorose radici nell’élite letteraria europea, sviluppandosi in forme diverse di paese in paese, giungendo quindi a risultati autonomi. Non è compito di quest’articolo effettuare un’esaustiva disamina dei suoi punti focali, ma di limitarsi all’evidenziare la necessaria componente innovativa del Movimento, e di come in Francia essa si sia concretizzata alimentando la sempiterna querelle contro il Classicismo, in tal caso sostituendo ai Moderni di Perrault di oltre un secolo prima, i Romantici della nuova epoca. Tra il 1823 e il 1825 Stendhal, uno degli esprit più rappresentativi del periodo, compone un lungo pamphlet dal titolo assai immediato ed evocativo, che pone subito il suo discorso nei termini di una contrapposizione: scritto come “Racine et Shakespeare”, esso andrebbe letto piuttosto come “Racine contro Shakespeare”.

L’attacco a Racine

Jean Racine è stato una gloria della drammaturgia francese del XVII secolo: le sue tragedie, come ad esempio “Phèdre”, “Bérénice”, “Britannicus”, avevano riscosso grandi successi al tempo, ed instillato la mania della corte e della regalità come modello imitativo della figura umana. Egli era fautore di uno stile sublime, aulico, in ossequio al principio della separazione degli stili proprio ai Classicisti, che non prevedeva quindi una qualsivoglia “perdita di tono” delle sue figure regali, che restano sempre eteree e legate al proprio status nobiliare, relegando la manifestazione delle passioni ad una dimensione aurea ed elitaria.

William Shakespeare non ha bisogno di presentazioni; ci basti però affermare, sulla scia di quanto rilevato da Auerbach nel suo eccezionale saggio, Mimesis, che al contrario del suo collega egli era in grado di fornire una rappresentazione molto più realistica e innovativa del profilo umano dei suoi “grandi uomini” in scena.

Nel suo “Henry IV” il giovane principe Enrico è colto dalla sete e dalla stanchezza e se ne lamenta, componente umana inesprimibile per i grandi di Racine. I nobili di Shakespeare non presentano mai un unico stile, ma hanno in sé il tragico e il comico, a volte il grottesco: sono vittime del loro carattere, e agiscono con tutti i limiti posti dalle proprie capacità; hanno vizi, virtù, debolezze e forze inusitate, e la loro dimensione terrena non è mai messa in discussione. In pratica, sono uomini.
È a questo principio realistico, che chiamiamo mescolanza degli stili, che Stendhal e i romantici si appellavano, in particolare domandandosi:

Per fare delle Tragedie che possano interessare il pubblico del 1823, occorre seguire i dettami di Racine o di Shakespeare?

Un pamphlet mordace

Già nella prefazione Stendhal chiarifica i termini in opposizione, prendendo le distanze dall’alessandrino, verso-simbolo della poesia classica francese, e dalla limitatezza del linguaggio elevato, che per troppo tempo ha contribuito a formare i versi pomposi che hanno esaltato la retorica a discapito dell’azione.

Nella disputa tra Racine e Shakespeare viene indagata la possibilità di creare opere in grado di donare un piacere drammatico, contrapposto al piacere epico, nonostante il rispetto delle due unità di tempo e luogo, capisaldi della drammaturgia francese classicista.
A tal proposito, il pamphlet assume la forma di un dialogo, espediente estremamente efficace e versatile, sebbene ridotto a due soli elementi in opposizione: l’Académicien e il Romantique, il primo chiamato a rispondere alla domanda circa la liceità del rispetto di tali regole.

racine
Stendhal (1783-1842)

I romantici rilevano una contraddizione nell’osservazione delle unità da parte dei classicisti: se è vero infatti che è necessario assoggettare la trama ad eventi che possono svolgersi nella stessa scena e nell’arco di un paio d’ore, ovvero nella lunghezza effettiva di una pièce, è contraddittorio invece volersi servire delle pause tra gli atti per esprimere comunque allo spettatore l’idea di una dilatazione temporale figurata. Il Romantico-Stendhal accusa dunque i classicisti di non rifiutare in toto l’idea della dilatazione temporale, ma di ancorarsi a regole che proprio per questo perdono la propria ragione d’essere.

Senza dubbio le argomentazioni del Romantico sono molto meglio elaborate e convincenti: partendo da una primitiva istanza della teoria della durata soggettiva del tempo presso lo spettatore, su cui discuterà Bergson oltre settant’anni dopo, egli arriva a criticare l’attitudine nazionalista della Francia verso la propria letteratura, lamentando la rigidità della critica, incapace di osservare l’istituzione del teatro in Francia con imparzialità, rifiutando qualsiasi sguardo agli autori stranieri.

Una chiave del discorso risiede nell’illusione teatrale: lo spettatore è portato, a seconda dell’abilità degli attori e del drammaturgo, a credere totalmente in ciò che vede rappresentato, ovvero, in termini più precisi, cadendo nella cosiddetta sospensione d’incredulità.
L’illusione perfetta, che trasporta completamente lo spettatore nel mondo inscenato, non si può ottenere che in poche brevi sequenze, quali ad esempio la sensazione di avvertire il giusto scorrere del tempo in azioni distanti fra loro, o ancora nel calore di una scena concitata, quando le battute degli attori quasi si sovrappongono nel climax; scene che quasi mai si trovano nelle tragedie classiciste. Alla luce di ciò, il Romantico si lascia andare ad un giudizio lapidario:

Questi brevi momenti d’illusione perfetta si trovano maggiormente in Shakespeare, che in Racine.

Conclusioni

Le parole di Stendhal meritano una piccola spiegazione. Il trasporto con cui muove le sue accuse potrebbero depistare il lettore, ma egli non rinnega totalmente la figura di Racine. Di certo si tratta di un autore che va letto e analizzato quale figlio di un’epoca particolare: Racine ha infatti operato in pieno Assolutismo, durante il regno di Luigi XIV, in un periodo in cui l’aristocrazia aveva ripreso più che mai il suo status esemplare, ergendosi quale unico ceto degno di rappresentazione letteraria e capace di guidare e istruire il popolo finanche nell’espressione delle passioni. Fare di più a quel tempo non era dunque concesso.

Daniele Laino

Bibliografia:
Auerbach E., Mimesis, Einaudi, 1956.
Stendhal, Racine et Shakespeare, 1823.

Sitografia:

http://disciplinas.stoa.usp.br/pluginfile.php/18116/mod_resource/content/1/racine%20stendhal.pdf