Paolo Uccello, la battaglia di San Romano

Tra i dipinti più noti e apprezzati del Quattrocento toscano, sicuramente troviamo il trittico di Paolo Uccello raffigurante la Battaglia di San Romano.

L’opera, datata al 1438, è composta da 3 grandi tavole di 180×316 cm, molto più sviluppate nel senso orizzontale quindi, e dipinte a tempera. Lo sviluppo in estensione dei tre pannelli fu sicuramente dettato dalla scelta di svolgere una rappresentazione di tipo storico, inserendo in tale modo quanti più dati materiali possibili, e dalla predisposizione di Paolo Uccello a dipingere secondo un particolare tipo di prospettiva, estremamente matematica, che utilizzava non uno ma numerosi punti di fuga.

Il nostro sguardo si pone infatti non su un punto centrale da cui possa venire catturato, ma si perde in una raffigurazione che contiene moltitudini, benché ogni tavola abbia un unico episodio significativo da raccontare. Nel trionfo di colori che risaltano sul fondo nero scelto dall’artista, abbiamo solo l’imbarazzo della scelta su cosa ammirare: gli uomini d’arme, le loro armature variopinte, gli stendardi, o i loro cavalli, dall’anatomia impressionante e dai volti feroci e quanto mai espressivi.

Paolo Uccello attendolo
Micheletto Attendolo – particolare

La vicenda storica

Paolo Uccello dettaglio
Niccolò da Tolentino – particolare

Il trittico di Paolo Uccello narra 3 momenti salienti della Battaglia di San Romano, che il 1 giugno 1432 vide contrapposti Fiorentini e Senesi. Le tavole non furono dipinte in ordine cronologico ma sicuramente bisogna far iniziare la narrazione dalla scena di “Niccolò da Tolentino alla testa de’ Fiorentini“, conservato alla National Gallery di Londra: al centro si erge la figura del condottiero, con il suo cavallo bianco che spicca tra tutti gli altri, segue il “Disarcionamento di Berardino della Ciarda”, l’unica tavola rimasta agli Uffizi e infine “L’intervento decisivo di Micheletto Attendolo“, vero eroe e protagonista della storia, cugino del più famoso Muzio Attendolo. Quest’ultima tavola si trova invece al Louvre di Parigi.

Benché le scene ci comunichino un grande senso di movimento, tutto è addolcito, cortese, gentile, secondo quei canoni del gotico internazionale che accompagnano l’attività di Paolo Uccello; non c’è vera violenza, non c’è sangue, le armature, nonostante la patina del tempo, sono lucide come se si stesse tenendo un corteo, una giostra, e non una battaglia decisiva.

Erano oltretutto completate da lamine metalliche che le rendevano realmente brillanti agli occhi dello spettatore. Molte parti sono danneggiate e hanno perso la vivacità originale, senza contare che le tavole terminavano con una lunetta semicircolare, oggi asportata (e si può notare bene nei punti in cui le aste dei cavalieri risultano praticamente mozzate).

Impossibile non soffermarsi inoltre sulle scene che fanno da sfondo alla narrazione, che mostrano paesaggi con uomini occupati nelle attività di tutti i giorni, che fanno sembrare la guerra qualcosa di molto lontano.

La committenza, il destino di un’opera d’arte

Per molto tempo si è creduto che il trittico di Paolo Uccello fosse stato commissionato, come molti altri capolavori del resto, dalla famiglia Medici, e precisamente da Cosimo il Vecchio. In realtà la commissione venne da Lionardo Bartolini Salimbeni, un uomo comunque filo-mediceo, in occasione delle sue nozze; tuttavia Lorenzo il Magnifico si innamorò dell’opera, da volerla a tutti i costi nella sua già incredibile collezione.Infatti, chiamato a fungere da garante nella divisione dei beni tra i figli di Lionardo Bartolini alla sua morte, riuscì a portare, anche con l’uso della forza, a Palazzo Medici le tre straordinarie tavole, una alla volta. Addirittura gli eredi organizzarono una petizione per ottenere la restituzione delle tavole ma non ottennero risultati.

La cosa interessante è che già Vasari, nella biografia del pittore, parlando delle numerose opere realizzate per privati, citò, senza un vero titolo, quelle del’orto de’ Bartolini, affermando quindi la giusta provenienza delle opere; la critica letteraria ha invece inserito tale notizia tra quelle dello scrittore da ritenere poco attendibili, in quanto si era appunto sempre ritenuto che fossero di committenza medicea. Soltanto il professor Caglioti, dell’Università Federico II di Napoli, è riuscito, attraverso lo studio sui documenti diretti, a risalire alla vera storia del trittico.

Ma perché ora le opere sono in tre paesi diversi?

Quando palazzo Medici fu venduto e i quadri nel ‘700 passarono alla “Guardaroba medicea”, fu ritenuto inutile mettere insieme tre dipinti così simili, decidendo così di venderne due e conservare quello in migliori condizioni, cioè il “disarcionamento di Berardino“. Il trittico di Paolo Uccello si trova dunque oggi smembrato in 3 dei più bei musei del mondo, destrutturato però nel suo reale intento storico-narrativo.

Famoso tra i suoi contemporanei per la sua ardita prospettiva, sempre Vasari riteneva Paolo Uccello “bizzarro e capriccioso” per le sue forme; l’autore delle Vite ci riporta inoltre una frase dell’amico Donatello, il quale avrebbe detto al pittore “Eh, Paulo, cotesta tua prospettiva ti fa lasciare il certo per l’incerto”.

Antonella Pisano