Cari Mostri, l’ultimo libro di Stefano Benni

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Nella primavera del 2015 Stefano Benni ha pubblicato il suo ultimo lavoro chiamato “Cari mostri”.  Il nuovo volume è formato da 25 racconti brevi, una forma già utilizzata in altre opere come “La Grammatica di Dio” (2007), uniti tutti dalla presenza di una figura più o meno “mostruosa” a sconvolgere l’azione.

“Cari mostri”

I mostri di Benni non sempre sono quelli deformi della nostra immaginazione, ma come egli stesso ha affermato durante la presentazione, possono mescolarsi benissimo nella folla, assumendo varie forme e staccandosi nettamente da quello che è il corso direzionale della società. Lo scrittore mette in guardia contro i pericoli di coloro che pretendono di indicare alle masse chi o cosa temere; l’unica soluzione è adottare uno sguardo fanciullesco risolvendo il più semplicemente possibile la dicotomia tra bene e male.

Uno dei racconti di “Cari mostri”, il 21, riguarda proprio questa difficoltà di distinguere il bene dal male, o il male da un male ancora superiore, in grado di travolgerlo, inghiottirlo. È la storia del povero Dimitru Nosferatti, insigne vampiro trapiantato in Italia dalla Romania, alle prese con un nemico a quanto pare ancora più temibile e “vampiresco”: l’Ufficio Tributi Equitalia, che l’ha finalmente identificato come evasore. Il Nosferatti non può che arrendersi all’evidenza di essere l’ultimo baluardo di un tipo di paura tradizionale oramai superato dal cinismo e dal materialismo dei giacca-e-cravatta, a propria volta formidabili mostri, operanti in un mondo che, a detta dell’autore, non è più in grado più di ridere di se stesso, prendendosi troppo sul serio.

Benni e il tempo

Parlando di mostri, si finisce inevitabilmente per pensare alla paura, strumento magistralmente maneggiato da autori come E. A. Poe, da Benni molto amato, ma che ci conduce inoltre al pensiero del pericolo e della morte.
Ed è qui che si inserisce una breve riflessione sul tempo, effettuata dall’autore durante la presentazione del suo libro tra il serio e il faceto.

Benni si è lasciato andare a delle considerazioni sull’età e la gioventù, alcune delle quali riscontrabili nella composizione di “Di tutte le ricchezze” (2012), il romanzo di un anziano professore che vive pacificamente nel suo mondo, fino alla comparsa di una ragazza molto più giovane di lui a destabilizzarne l’equilibrio (di fatto rendendosi uno dei “mostri”).

All’altro capo della riflessione potrebbe situarsi “Saltatempo” (2001), al contrario il romanzo della formazione giovanile, nel tempo delle rivolte studentesche rivissuto dall’autore con grande nostalgia, come portatore di valori sociali più genuini, del tutto diversi dalla solitudine del mondo d’oggi.

Si tratta di un tempo che ci sfugge di mano, la cui gestione è spesso difficile, da qui avanzando dei consigli per i giovani: prendere in mano la propria vita, seguire le proprie passioni anche abbandonandosi al disordine tipico del momento, assecondando il gusto dell’avventura che ciascuno possiede in diversi gradi; rimanere fedeli a se stessi, ma non avere timore della società, evitando ad ogni costo qualsiasi forma di isolamento, il male più grande e “insospettabile” di questo nostro secolo di comunicazione alla velocità della luce.

Non-dichiarazioni

Benni nei suoi romanzi ha esaminato una vasta schiera di “mostri” di cui la sua ultima opera è solo il compimento finale. In alcuni romanzi come “Baol”, “La Compagnia dei Celestini”, “Margherita Dolcevita” essi sono particolarmente tenaci e pericolosi: sono i mostri del progresso, non ha chiosato, della cieca ambizione che snatura l’individuo e lo riduce alla fredda macchina degli interessi personali, a cui del resto si potrebbe contrapporre, non ha aggiunto, il mondo pulito e onesto delle realtà provinciali e campagnole, spesso costrette a combattere contro l’urbanizzazione forzata, snaturandole completamente e corrompendo i propri abitanti, come nel caso di “Pane e Tempesta”, o di nuovo “Saltatempo”.

Il mondo di Benni è talvolta un mondo catastrofico in cui ogni speranza sembra vana, non ha spiegato, in cui a farne le spese sono spesso i bambini, che tuttavia riescono spesso, in barba a quanti non credono in loro, ad andare avanti servendosi della forza primordiale propria della fantasia – migliore arma dello scrittore, non osa dire.

Daniele Laino

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