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Cacao: natura sovrana e storie d’ingiustizia

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Cacao è un libriccino piccolo, poco più di cento pagine. Pubblicato nel 1933 dall’allora ventenne Jorge Amado, condensa nella sua essenzialità la profonda lacerazione che spacca e attraversa il Brasile come un secondo Rio delle Amazzoni, triste e insanguinato.

Spazi, temi e luoghi

Jorge Amado, venuto a mancare nel 2001.

Da un lato la miseria delle condizioni dei braccianti, malati, sfruttati, sottopagati quando non schiavizzati, costretti a vivere come animali in baracche sporche e soffocanti.

Dall’altro il lusso del coronel di turno, proprietario della piantagione, della sua casa-grande e dei figli laureati, viziati e delicati.

Al centro, la insuperabile lontananza di due mondi sviscera tragedie e ingiustizie sullo sfondo di una terra forte e triste.

Il cielo caldo e umido del sud del Brasile, il calore assuefacente e le piogge terribili; una terra ribelle e selvaggia da assoggettare e dominare per arrivare a formare roças, ossia appezzamenti di terreno coltivabili; i gialli, brillanti frutti di cacao, che disseminano il paesaggio con la loro sacra aria di sfida.

Eravamo molti nell’immensità della roça. Le foglie secche delle piante di cacao tappezzavano la terra, dove i serpenti si riscaldavano al sole dopo le lunghe piogge di giugno.

La trama: braccianti e fazendeiros

Protagonista del racconto, fortemente autobiograficoAmado ebbe infatti a che fare, per un breve periodo, proprio con le condizioni disagiate dei braccianti delle fazendas – è un giovane sergipano, José, che si trasferisce a Ilhéus in cerca di lavoro. Dopo qualche giorno di miseria e fame per le strade della capitale, decide di piegarsi alla dura legge del più forte e di cominciare a lavorare come bracciante nella fazenda del coronel Mané Frajelo, soprannome che può essere pressappoco tradotto come Manuel Flagello.

Frutti di cacao.

Avido, arrogante, arricchitosi nella giungla di faide combattute a colpi di fucile con gli altri proprietari terrieri, sfrutta i braccianti delle sue piantagioni, praticamente ancora obbligati a vivere sotto la morsa della schiavitù, abolita ufficialmente nel 1888.

I frutti gialli pendevano dagli alberi come lampade antiche. Meraviglioso intreccio di colori che faceva tutto bello e irreale, meno il nostro lavoro sfibrante. Alle sette di mattina eravamo gia a tirar giù i cocchi di cacao, dopo aver affilato i nostri coltellacci, sulla porta dello spaccio. Alle cinque di mattina il goccio di pinga e il piatto di fagioli ci davano forza per il lavoro del giorno.

I personaggi che José incontra nella fazenda recano tutti storie simili: il nero, misterioso Honorio, assassino dalla coscienza limpida, l’innamorato, illuso idealista Colodino, il mulatto, magro e nervoso João Grilo sono solo alcune delle povere anime incontrate da José.

Altrettanto lunga e triste lista quelle delle donne violate dai superbi padroni e destinate alla prostituzione, delle contadine disgraziate e distrutte dalla vita, delle bambine svelte e belle destinate a sfiorire presto.

Una edizione in lingua originale di Cacao.

Donne diverse dalle vite diverse sono Dona Arlinda, la grassa e stupida moglie del coronel, ingioiellata e vanesia, e sua figlia, Mária. Bionda e bellissima, ella non riesce nemmeno ad avvertire il peso delle ingiustizie commesse da suo padre, poiché, nella sua bolla d’oro di lusso e seta, è da sempre completamente inserita nell’ottica sfruttatrice.

E tuttavia, un popolo massacrato e rassegnato come quello brasiliano, dipinto dal tratto deciso di Amado – semplice, diretto, realistico -, riesce nel suo disincanto a costruire un forte, silenzioso legame di solidarietà, che, al di là delle implicazioni ideologiche sicuramente presenti nel libro, è innanzitutto umana, prima che sociale o politica.

Cacao, odi et amo

Sembrerebbe assurdo, eppure un collante tra l’universo orribile dei braccianti e quello terribile del coronel c’è. Ed è proprio il viscoso, appiccicaticcio miele di cacao.

Il cacao come siamo abituati a conoscerlo.

Impassibili, i gialli frutti di questo re silenzioso delle fazendas sono amati e odiati sia dai braccianti che dai proprietari; al di là di lotte di classe in germe e in sviluppo, di ingiustizie e differenze, di torti o ragioni, di lusso o miseria, nessuno può niente contro la taciturna volontà della natura.

Nel sud di Bahia, cacao è l’unico nome che suona bene.

È il cacao a dettare la sua legge, sopra gli uomini forti e sopra quelli deboli. Se dipende da lui la sopravvivenza dei braccianti, sicuramente ne dipende anche la vita dei proprietari. Essi sono allora, paradossalmente, vicini, nel dover accettare la sua sacralità.

Amato, il bellissimo, brillante, profumato cacao.
Odiato, il ribelle, restio, fiero cacao.

Che, comunque – e alla fine del libro il lettore se ne accorgerà bene – lascerà per sempre dietro di sé un retrogusto amaro.

Beatrice Morra 

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Beatrice Morra

Beatrice Morra è nata a Napoli il 27 maggio 1996. Nel 2014 si è diplomata al liceo classico J. Sannazaro e attualmente è iscritta alla facoltà di Lettere Moderne dell'Università Federico II. Nel maggio 2014 pubblica il suo primo romanzo partecipando al progetto "scouting" dell'iniziativa propugnata dallo scrittore Claudio Calveri "Napoli città della letteratura". Il romanzo, il cui titolo è "Dalla mia cenere", vede le stampe per una tiratura limitata di circa 200 copie ed è attualmente disponibile in ebook.

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