Monade: dai Pitagorici alla Monadologia

Che cos’è una monade? In questo nuovo articolo cercheremo di rispondere a questo interessante quesito partendo da cenni del pensiero antico per poi arrivare a Leibniz e alla sua Monadologia.

La monade dai Pitagorici a Leibniz

Monade
Archita di Taranto

Il termine monade appare per la prima volta nel pensiero dei Pitagorici – in particolare Archita di Taranto – a indicare il principio da cui si originano tutti i numeri. Per il neoplatonico Proclo la monade costituisce, dopo l’Uno, che è essere assoluto, un principio intellegibile di limitazione (ciò sta a significare che l’Uno può essere compreso solo in quanto delimitato come monade). Sempre nel solco del platonismo, nella filosofia araba – in particolare Al-Kindi, noto in occidente come Alchindus – si presenta un altro significato di monade come una realtà che è specchio del tutto; in questo caso il termine si ritrova nel pensiero rinascimentale con Niccolò Cusano il quale indica, con esso, il principio secondo cui ogni creatura rispecchia a suo modo, come microcosmo, il macrocosmo.

Leibniz mette a tema il concetto di monade per la prima volta nello scritto giovanile Sulla resurrezione dei corpi (1671) in cui parla dei nuclei vitali inestesi che permangono anche dopo la resurrezione corporea.

La monade

Al-Kindi, a noi noto con il nome latino Alchindus
Al-Kindi, a noi noto con il nome latino Alchindus

Monade è il nome del concetto utilizzato da Leibniz per indicare la sostanza reale delle cose: in esso confluiscono tutti i temi esercitati nella sua speculazione, dalla logica all’ontologia, dalla fisica alla metafisica, fino a giungere alla psicologia e all’etica. Il termine di origine greca – μονάς, monàs, che deriva a sua volta da μόνος, mònos, singolo – significa l’unità o ciò che è uno ed indica la sostanza individuale considerata come soggetto che contiene in sé tutti i suoi predicati, passati, presenti e futuri. Riprendendo il termine aristotelico, Leibniz la chiama anche ἐντελέχεια, entelèchia, per indicare come essa abbia il suo fine ed il suo compimento in sé stessa. Le monadi costituiscono dei punti metafisici inestesi (i veri atomi della natura), ossia i più semplici elementi delle cose, quelli che danno origine, per aggregazione, ai composti. Esse non hanno un inizio naturale, né possono perire naturalmente in quanto, create tutte assieme con l’universo intero, non avendo estensione, le monadi non hanno nemmeno parti, cioè non sono divisibili, né hanno una figura determinata e si distinguono tra loro solo per le rispettive qualità interne.

Per spiegare questa natura propria di ogni monade, Leibniz compie un’analogia con l’anima umana, la quale, pur essendo una implica in sé diverse idee e molteplici funzioni, ossia “una varietà del suo oggetto”. Lasciamo nuovamente la parola al grande filosofo:

Non si può neppure spiegare come una monade possa essere alterata, ovvero cambiata al proprio interno da qualche altra creatura, perché non vi si potrebbe trasporre nulla, nè si potrebbe concepire in essa alcun movimento interno che possa essere eccitato, diretto, aumentato o diminuito, come si può fare nei composti, nei quali si da mutamento tra le parti. Le monadi non hanno finestre dalle quali possa entrare o uscire qualcosa. Gli accidenti non possono staccarsi e passeggiare fuori dalle sostanze.

Questo non significa che le monadi non abbiano rapporti con l’esterno o con altre sostanze ma solo che tali rapporti nascono dal loro interno, in un regime di autarchia che le rende uniche fonti delle loro azioni e quindi sufficienti a sé stesse.

Nel prossimo articolo torneremo a occuparci di Leibniz ed affronteremo uno dei temi più intriganti del suo pensiero: quello del male.

Deborah Rosiello

Fonti

Fonte immagine in evidenza: www.taniecpolska.pl

Fonte immagini media: www.francovalente.it; www.orientalia.me

Fonte citazioni: G. von Leibniz, Monadologia, 1714, Bompiani