Storia del Cinema di Hollywood

Verso il Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI)

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Nello scorso appuntamento abbiamo visto come Méliès, nonostante il fatto che i suoi film hanno una struttura marcatamente teatrale, ha ampliato la narrazione facendo in modo che essa possa andare al di là della singola inquadratura1Tuttavia rientriamo ancora in quello che Noël Burch (critico cinematografico statunitense) definirebbe Modo di Rappresentazione Primitivo (MRP) ovvero il sistema del cinema delle origini, il quale si distingue dal Modo di Rappresentazione Istituzionale (MRI) che coincide con il cinema classico hollywoodiano.

Nel cinema primitivo, tendenzialmente, la comunicazione fra inquadrature è minima o mancante e il film risulta essere una giustapposizione di singole scene.

Tutto ciò comporta una logica di montaggio non continua; non c’è ancora un sistema di raccordi che permette alle inquadrature di poter dialogare l’una con l’altra.

È tra il 1896 e il 1906 che vengono sviluppate ed elaborate delle soluzioni di montaggio che saranno di importanza fondamentale per lo sviluppo dell’MRI.

Di grande influenza saranno le innovazioni tecniche e stilistiche dei registi appartenenti alla scuola di Brighton.

Georges Sadoul (storico del cinema e critico cinematografico francese), nella sua Histoire générale du cinéma (1947) indica con questa espressione un gruppo di fotografi, inventori e registi inglesi che proprio in questo periodo storico lavoravano a Brighton e a Hove e che conducono importanti ricerche nel campo del linguaggio cinematografico.

Ci sono personalità come James Williamson e George Albert Smith o Robert William Paul e Cecile Hepworth che raggiungono risultati di rilievo sul piano della ricerca linguistica e narrativa. Ciò che si nota immediatamente è che nei loro film viene data molta importanza alla componente attrazionale del trucco.

Se consideriamo, ad esempio, The Big Swallow (James Williamson, 1901) l’attrazione è il risultato di un gioco con il cinema stesso: c’è un signore che, non volendo essere ripreso, si avvicina minacciosamente alla camera fino ad occupare l’intero quadro, spalanca la bocca e inghiotte l’apparecchio e l’operatore; ed ecco che abbiamo il primo esempio di close up2!

C’è stata poi anche la tendenza a dividere l’azione in diverse inquadrature correlate. Prendiamo ad esempio The Kiss in the Tunnel (Albert Smith, 1899): l’azione è sezionata in tre inquadrature (il treno che entra in galleria/l’interno dello scompartimento con i due amanti/il treno che esce dalla galleria).

In Grandma’s Reading Glass (1901), invece, lavora sulla divisione in più inquadrature di uno stesso spazio e sceglie di alternare le immagini di qualcuno che guarda alla visione di ciò che viene guardato3.

Williamson risulterà invece essere più interessato alla continuità dell’azione tra inquadrature girate in spazi diversi. In Stop Thief (1901), film in cui riesce a definire uno dei più fortunati generi delle origini del cinema (il poursuite/film ad inseguimento), mette in successione più inquadrature di spazi contigui per rappresentare un inseguimento.

In Fire (1901), invece, la cinepresa mostra i primi segni di quell’ubiquità che sarà poi costitutiva del MRI: porta lo spettatore dentro una casa che sta bruciando prima che l’inquilino se ne accorga. Sempre in questo film, la concatenazione dei legami causa-effetto tra le inquadrature è perfetta e a differenza di Stop Thief qui abbiamo anche un uso corretto dei raccordi di direzione4.

Tra il 1903 e il 1906 vi è una vera e propria tendenza al racconto cinematografico e negli Stati Uniti il film narrativo diventa l’opzione privilegiata.

Sarà Edwin S. Porter a dare un grande contributo allo sviluppo di note tecniche che prefigurano il MRI e, tuttavia, nei suoi film queste innovazioni si mescolano ad elementi tipici del cinema delle attrazioni.

In The Great Train Robbery (1903) c’è l’abbandono di ogni intento documentaristico e la rinuncia alle riprese autentiche: la sceneggiatura è interamente scritta dall’autore e le scene sono interpretate da attori.

Porter, in quest’opera, adotta una grande libertà di composizione scenica, grazie al dinamismo delle situazioni, dei personaggi e all’alternanza delle inquadrature di esterni e di interni.

Cerca poi anche di costruire una certa continuità spazio-temporale ed è stato rivoluzionario: l’uso del cross-cutting5 per mostrare un’azione simultanea in posizioni differenti; il fatto che le inquadrature sono di breve durata; che i personaggi spuntano da varie parti dell’inquadratura (e non più solo dai lati) e che per la prima volta la macchina da presa viene messa su un oggetto in movimento.

Siamo, comunque, ancora vicini a una logica mostrativo-attrazionale, soprattutto quando c’è l’ormai famosissimo primo piano del bandito che spara verso la cinepresa (inquadratura che verrà citata da Godard nel film À bout de souffle del 1960). Si tratta di una scena extra-diegetica (cioè fuori dalla diegesi, il racconto), che non aggiunge nulla di quanto già non si conosca della vicenda, e che può essere montata all’inizio o alla fine del film.

Lo scopo di questa inquadratura è, ancora, stupire il pubblico; attrarlo; meravigliarlo. Queste sono le emozioni e i sentimenti di cui il pubblico dell’epoca voleva nutrirsi quando guardava un film.

Cira Pinto

Bibliografia:

1 Inquadratura: termine che ha due accezioni: 1) una porzione di film ininterrotta, compresa tra uno stacco e l’altro; 2) lo spazio compreso all’interno del quadro.

2 Close up/ primo piano: un’inquadratura in cui la figura umana è inquadrata dalle spalle in su.

3 Questa tecnica verrà poi teorizzata come raccordo di sguardo.

4 Un personaggio che in un’inquadratura esce di campo a destra dovrà rientrare a sinistra in quella successiva.

5 O montaggio alternato: una serie di inquadrature che raccontano situazioni parallele che tendono ad incrociarsi.

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Cira Pinto

Cira Pinto, nata a Torre del Greco l'8 dicembre del 1990. Cresciuta tra le videocassette Disney e le ginestre che tanto hanno ispirato Leopardi, decide il suo futuro accademico guardando ''Biancaneve e i sette nani''. Laureata al corso di laurea magistrale in Filosofia presso l'Università di Napoli Federico II con una tesi in Filosofia Morale dal titolo ''Il cinema come arte del tempo. l'analisi deleuziana, tra classicità e modernità''. Ha frequentato il corso di Analisi e critica cinematografica e quello di Sceneggiatura alla scuola di cinema, televisione e fotografia Pigrecoemme. Collabora con LaCOOLtura da gennaio 2015.

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