Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi: il commento

La letteratura religiosa è, nel brulicante seppur neonato panorama letterario italiano del ‘200, uno dei generi, per le sue caratteristiche intrinseche, più rappresentativo della realtà nella quale nasce e si sviluppa. Come già abbiamo accennato negli articoli precedenti, il primo testo propriamente letterario, datato e firmato, della letteratura italiana è un testo religioso, iel Cantico delle creature o Laudes Creaturarum di Francesco d’Assisi.

Cantico delle Creature

Nel Medio Evo la religiosità cristiana pervade la cultura e la mentalità nella sua interezza anche quotidiana. Non vi sono, o quasi, opere nelle quali sia completamente assente qualsiasi spunto religioso. Volendo tuttavia compiere una scelta, possiamo concentrare la nostra attenzione su due protagonisti della letteratura religiosa nel ‘200: San Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi. Queste due figure, tanto vicine eppure tanto diverse, possono assurgere ad emblemi dei due diversi modi di rapportarsi a Dio nel Medioevo.

Letteratura religiosa: Francesco d’Assisi e il Cantico delle Creature

Cantico delle Creature

Il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi non è propriamente in versi: si tratta piuttosto di una prosa ritmica arieggiante i versetti dei salmi biblici. Datata nel 1224, è sostanzialmente una preghiera, un inno al creatore, pervaso dalla tipica spiritualità francescana. È inoltre un coro gioioso e sereno che si rivolge al signore attraverso e grazie alle meraviglie da lui create:

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Ecco la parafrasi in italiano:

Tu sia lodato, mio Signore, insieme a tutte le creature
specialmente il fratello sole,
il quale è la luce del giorno, e tu attraverso di lui ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con grande splendore:
simboleggia te, Altissimo.

Sia lodato, mio Signore, per sorella luna e le stelle:
in cielo le hai formate, chiare preziose e belle.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento
e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno e ogni tempo

tramite il quale dai sostentamento alle creature.

Dal breve frammento qui riportato, è inoltre evidente l’aspirazione, propria della poesia religiosa, che doveva rivolgersi a un pubblico ampio e spesso incolto, ad un volgare che regolarizzi e raffini le forme tipicamente umbre.

Letteratura religiosa: Iacopone da Todi

Cantico delle Creature

Completamente diversa è, invece, la concezione religiosa e poetica di Iacopone da Todi. Lo spartiacque della sua vita infatti fu la morte della moglie, avvenuta nel 1268. In seguito alla scoperta di un cilicio che le cingeva la vita sotto i vestiti, da lei portato per penitenza, Iacopone entrerà nell’ ordine francescano degli Spirituali.

Nella sua produzione poetica egli si servì della forma espressiva della lauda, genere sviluppatosi dalla ballata profana durante le processioni dei Flagellanti per le strade di Perugia. Nelle laudi di Iacopone, pervase invece dal pessimismo tipico del contemptus mundi, la presenza del corpo è ossessiva: ad esso il poeta guarda con orrore, paura; lo condanna come fonte di perdizione e peccato.

 Iacopone inoltre passa in rassegna le miserie della condizione umana, senza concedersi il lusso di evitare immagini crudamente realistiche e tetre. Anche il suo linguaggio è lontano da quello luminoso e gioioso del Cantico delle Creature, ed è volutamente rozzo e violento.

Omo, mìttete a pensare

Leggiamo ad esempio qualche frammento della laude Omo, mìttete a pensare:

 D’uman seme sii concetto:
putulente sta sonetto;
si ben te vidi nel deritto,
non hai donne te essaltare.

De vil cosa sii formato
ed in pianto fusti nato
e ‘n miseria conversato,
ed en cénnar dii tornare.

Venisti a nui co’ pellegrino,
nudo, povero e taupino;
menato in quisto cammino,
el pianto fo el primo cantare.

Menato en quisto paese,
non recasti da far spese;
ma ‘l Signor te fo cortese,
che ‘l Suo ben volse a te prestare.

parafrasi:

Sei nato da seme umano:
è materia immonda;
se ben guardi,
non hai di che vantarti.

Sei stato generato da cosa vile
e sei nato nel pianto
e vissuto nella miseria,
e destinato a tornare cenere.

Sei venuto tra noi come pellegrino,
nudo, senza ricchezze e infelice;
condotto in questa vita,
il pianto fu la tua prima espressione.

Condotto in questa terra,
non avevi con te di che vivere;
ma Dio fu generoso con te,
perché ti volle prestare tutto ciò che era Suo.

La distanza tra i due testi, anche a una rapida lettura, subito risulta  immensa. Nell’ampia terra di mezzo tra queste due visioni antitetiche del rapporto uomo- dio si inseriscono lettere di frati e vite di Santi, exempla morali e inni religiosi, canti liturgici e laudi drammatiche, in un quadro estremamente vario e al confine, sempre affascinante, tra letteratura e misticismo – ora limpido e pacifico, come quello di Francesco, ora cupo e fervente, come quello di Iacopone.

Beatrice Morra