Un’intervista a La Maschera: tra il primo album e il futuro

La Maschera è una delle band emergenti più interessanti del nostro panorama musicale. Noi li abbiamo convinti a raccontarsi e questo è quello che ne è uscito fuori.

La Maschera

Prendo appuntamento con Roberto Colella, autore, cantante e chitarrista de La Maschera, in un pomeriggio piovoso.

Ci vediamo all’esterno di un bar, e Roberto dapprima mi avvisa che sta per arrivare anche il trombettista Vincenzo Capasso e poi mi fa strada fino al tavolo, dove ordiniamo i nostri due caffè. Vincenzo non si fa aspettare tanto. Arriva, ordina anche lui un caffè e cominciamo a chiacchierare.

Guagliù, la solita domanda: come è nato questo progetto?

Roberto: «per essere precisi: La Maschera è un progetto nato nel Maggio 2014, da un incontro tra me e Vincenzo. Tra una parola e l’altra decidemmo di cominciare a suonare insieme, miscelando il suono della tromba con quello della chitarra. Chiamammo altri ragazzi e decidemmo di partecipare all’Agorà Jazz Festival di Giugliano. E da lì partirono altre cose, e cominciammo a suonare dappertutto!»

E il passo successivo qual è stato?

«Un colpo di culo!» mi risponde Vincenzo senza pensarci due volte. «Sì, un colpo di culo» prosegue Roberto, «Alla nostra terza serata, un regista di Pomigliano, Enzo Caiazzo, decise di farci un video. Mantenne la sua parola, e di sua spontanea volontà girò il video di Pullecenella  che ad oggi ha conquistato le sue 85.000 visualizzazioni.»

Oltre Roberto e Vincenzo, gli altri membri de La Maschera sono Eliano Del Peschio al basso, Marco Salvatore alla batteria e Alessandro Morlando alla chitarra elettrica.

«‘O vicolo ‘e l’allerìa è davvero ‘nu vicolo»

 

Finiamo di bere i caffè e passiamo a parlare del loro primo lavoro discografico.

La Maschera

Roberto: «O vicolo ‘e l’allerìa è davvero ‘nu vicolo. È un percorso che parte con Pullecenella, quindi con la napoletanità, quella vera. E che non a caso si conclude con Amarcord, una vera e propria dichiarazione d’amore a distanza verso Napoli. E sulla costruzione di questo vicolo ci ha aiutato anche il buon vecchio Pino».

In che senso?

«Noi abbiamo ascoltato i primi lavori di Pino Daniele con un’altra chiave di lettura quando abbiamo registrato l’album. Normalmente conosci la singola canzone, quelle che ti piacciono di più. Invece quando registrammo l’album riascoltammo quei cinque album come fossero un viaggio, che comincia con la prima canzone e si conclude con l’ultima. Ed è chiaro che ne esci influenzato».

E la vostra attuale etichetta quanto peso ha avuto nel vostro successo qui a Napoli?

«Beh, tantissimo» – e qui prende parola Vincenzo – «Alla Full Heads siamo come una grande famiglia e come in ogni famiglia ci si rispetta e ci si aiuta tutti. Siamo diventati grandi amici di Dario Sansone dei Foja per esempio. Loro infatti si sono occupati della post-produzione del disco e se ne sono occupati alla grande».

E ‘sto panorama musicale italiano come lo vedete?

«La scena underground è forte qui in Italia. Il problema è che il livello medio è troppo basso» mi dice Roberto. «Prendi il Regno Unito, lì il pop lo fa Paolo Nutini: e guarda come lo fa. In Italia ciò che andrebbe valorizzato non viene valorizzato e si fa l’esatto contrario. Un tempo i vari Lucio Dalla, De Gregori erano, sì, famosi, ma facevano anche musica di qualità».

Perfettamente d’accordo. Ok, guagliù, l’ultima domanda: che progetti ci sono in cantiere?

Roberto: «Continuare come stiamo facendo. Continuare a suonare tanto e a portare in giro per la Campania ‘O Vicolo ‘e l’allerìa. Per ora ce stamm’ divertendo, quindi va bene così!»

Paghiamo i tre caffè e andiamo via dal bar. Li saluto con la promessa di risentirci e salgo in macchina.

C’è il loro CD inserito nel lettore. Sorrido pensando a quanto a volte l’arte possa farti sentire più vicino alla tua terra. A me succede con Terra mia, Nero a metà, e adesso pure con ‘O Vicolo ‘e l’allerìa de La Maschera.

Raffaele Cars