Marco Aurelio: il pensiero dell’imperatore filosofo

Marco Aurelio governò il principato romano dal 161 al 180 d.C ed è meglio conosciuto con l’appellativo di “imperatore filosofo”. Gli studi greci e in particolare la formazione stoica ne incentivarono infatti la sensibilità intellettiva. Ancora oggi è considerato uno dei più grandi pensatori dell’epoca romana, ma forse è stato anche più di questo.

Marco Aurelio e i dilemmi del suo destino

Marco Aurelio
Marco Aurelio (Roma 121 – Sirmio 180)

Successore di Antonino Pio, Marco Aurelio decise di condividere il ruolo di imperatore con il fratello adottivo Lucio Vero, pur lasciando a quest’ultimo una minore autorità. Nonostante questo provvedimento venisse incontro alla poliedrica personalità di Marco Aurelio, dedito non solo al governo ma anche allo studio dei classici greci, egli sentì su di sé il peso del ruolo di cui era stato investito.

L’indole malinconica, che emerge dai suoi scritti, connota proprio le difficoltà di una vita divisa tra accettazione stoica del proprio destino ed esigenza di esprimere se stesso diversamente. Da un lato egli doveva ispirare sicurezza, incarnando la più importante autorità di Roma. Dall’altro lato si interrogava sui grandi temi dell’esistenza: destino, vita, morte, sofferenza. La difficoltà veniva parzialmente mitigata  dalla funzione consolatoria che attribuiva alla filosofia.

Egli, infatti, scrive:

Se tu avessi in pari tempo una matrigna e una madre, adempiresti certamente i tuoi doveri verso la prima, ma non di meno ritorneresti continuamente alla seconda. Tali sono ora per te la corte e la filosofia: a questa ritorna spesso, e in essa trova pace, perché è la filosofia che ha la virtù di far apparire la corte sopportabile a te e te sopportabile nella corte.

Con il termine “corte” si intende la vita politica, rispetto alla quale la filosofia rappresenta un’evasione. Grazie a questa particolare sensibilità, Marco Aurelio mise a punto un percorso introspettivo davvero insolito per un imperatore. Oggi è possibile confrontarsi con esso leggendo una raccolta di pensieri, che hanno contribuito a renderlo l’ultimo esponente dello stoicismo romano.

Un’autobiografia filosofica

Nella raccolta, intitolata A se stesso, Marco Aurelio si svela poco per volta attraverso una serie di riflessioni strutturate secondo uno schema colloquiale. Il filosofo si fa delle domande e porge le risposte, mettendo nero su bianco ciò che pensa istantaneamente. Il testo assume così le sembianze di un’autobiografia filosofica e per certi versi anche di un testamento.

A riprova di quest’ultimo appellativo vi è il fatto che nel primo libro, probabilmente scritto l’anno prima della sua morte, elenca  tutte le persone della sua vita che lo hanno profondamente arricchito. Nei successivi, Marco Aurelio incarnando perfettamente la figura del sapiente stoico,  invita a non lasciarsi andare ai piaceri dei sensi ma a prodigarsi a favore del bene comune. L’uomo, oltre a dover mettere al primo posto l’intelletto, deve sentirsi tutt’uno col cosmo. Solo così accetterà di buon grado le sorprese che questo gli riserva. Al riguardo scrive:

Pensa continuamente al cosmo come a un solo essere che racchiude una sola sostanza e una sola anima, e pensa come tutto pervenga a una sola sensazione, la sua, come quest’essere compaia tutto per un solo impulso.[…] Quanto avviene a ciascuno conviene all’universo.

Marco Aurelio manifesta dunque l’esigenza di elevarsi al di sopra delle cose materiali, affinare la propria spiritualità, perseguendo ideali di virtù e sapienza. Questa positività tiene conto però delle incredibili prove cui la vita ci sottopone. Spesso il filosofo, ricalcando questi aspetti, ha dato la percezione che vi fosse anche un elevato pessimismo nel suo pensiero. In verità egli parla, sì, della difficoltà di perseguire questa strada ma, nonostante ciò, giustifica la presenza dell’ostacolo.  Scrive:

Ricorda poi, ad ogni evento che ti induca a soffrire, di far uso del seguente principio: <<questo fatto non è una sfortuna, mentre è una fortuna sopportarlo nobilmente>>.

 

L’autoanalisi di Marco Aurelio

Marco Aurelio
Il pensatore di Auguste Rodin

L’idea che ciò che rende gioia all’uomo è fare ciò che gli è congeniale, cioè essere benevolo verso i simili e disprezzare i sensi, si oppone inevitabilmente a quell’irrazionalità che pur determina l’uomo e che sembra distruggere alla radice le convinzioni di Marco Aurelio.

La storia ci insegna infatti che la benevolenza verso l’altro, diverso o simile che sia, è ben più problematica. La disamina del filosofo però risulta innovativa per i canoni dell’epoca e non solo per i chiaroscuri e le oscillazioni tra ottimismo e pessimismo. Marco Aurelio, infatti, non solo si interroga e ragiona su ciò che è doveroso o meno fare ma analizza se stesso, i sentimenti e ciò che ci spinge a provarli. Egli asserisce:

 Se soffri per una cosa esterna, non è quella che ti disturba, ma il tuo giudizio su di essa. Ma è in tuo potere cancellare subito questo giudizio.

Si tratta di comprendere la propria anima, le dinamiche che inscena e il modo in cui queste si riversano nei comportamenti collettivi. È un’analisi introspettiva che assume un connotato fortemente sociologico e che ci dimostra come l’attitudine di Marco Aurelio a rifugiarsi nella filosofia  vada ben oltre la filosofia stessa, l’amore per la sapienza e anche oltre l’interesse, in quanto imperatore, di indurre gli altri alla saggezza. Più di un filosofo, più di un imperatore, Marco Aurelio fu un’anima alla continua ricerca di sé e del senso delle sue azioni. Forse proprio in questa veste, prima ancora che per i contenuti e per il ruolo politico, può essere ancora oggi un buon esempio per tutti noi.

Giuseppina Di Luna

Marco Aurelio, Scritti, a cura di Guido Cortassa, ed. Utet, Torino 1984.