Tucidide: il medico della storiografia razionale

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Dalla Tracia, il più grande fra tutti gli storici antichi

Originario della Tracia, membro dell’alta aristocrazia ateniese (discende da una famiglia di magistrati), Tucidide (c. 460 – 395 a. C.) considerato da molti il più grande fra tutti gli storici antichi, è prima di tutto lo storico che narra l’apogeo storico di Atene.

Egli è lo storico che ci narra la lunga e sanguinosa guerra del Peloponneso, combattuta a partire dal 433 a.C. fino alla definitiva disfatta ateniese per mano della potenza spartana nel 404 a.C., cui seguì il governo dei Trenta tiranni.

Peloponneso Guerra del
Guerra del Peloponneso, da Enciclopedia Treccani on line.

Stratega prima, storico poi

Tucidide partecipò questa guerra in qualità di stratega fino al 424 a.C., anno in cui venne esiliato per aver perso la battaglia di Anfipoli contro lo spartano Brasida.

“Esattezza chirurgica”

La grandezza della sua storiografia è dovuta alla drammaticità e alla gravità di quella guerra, alla sua complessità e alla sua capacità di rigorosa analisi oggettiva: a differenza di Erodoto non riporta mai miti o leggende, ma sceglie di raccontare con esattezza “chirurgica” la storia della guerra sia da un punto di vista cronologico che eziologico.

Tucidide d’Atene ha narrato la guerra tra i Peloponnesiaci e gli Ateniesi, su come combatterono fra loro, avendo cominciato subito, sin dal suo inizio, e avendo previsto che sarebbe stata grave e la più degna di memoria tra le precedenti.  (Proemio)

 

Il sovrannaturale e il divino

Lo stesso vale per ciò che riguarda il sovrannaturale e il divino: Tucidide non considera gli avvenimenti storici come parte di una concezione metafisica che include anche gli interventi degli dei. Egli si sforza di riportare esclusivamente i fatti nella loro susseguirsi temporale e causale.

Era, inoltre, un profondo ammiratore della politica di Pericle e si intrattiene in una lunga analisi geopolitica della strategia ateniese: in sintesi, egli considera la guerra come un inevitabile conclusione, la soluzione ad un inevitabile conflitto d’interesse fra gli scopi imperialisti ateniesi contro la più conservatrice visione di Sparta, che aveva da sempre, dal lontano VI secolo a.C., esercitato e mantenuto l’egemonia in Grecia.

I presupposti di Erodoto

Tucidide accettò il presupposto di Erodoto che la storia è fatta di tradizioni prevalentemente orali. Questa fu una concordia fondamentale. I documenti scritti sono accessori per Tucidide come lo sono per Erodoto: anche se sono documenti diversi (trattati invece che iscrizioni e oracoli).

Inoltre, Tucidide seguì Erodoto nell’interesse per gli avvenimenti contemporanei; scegli, infatti, di narrare, per primo, un avvenimento a lui contemporaneo, cui aveva preso persino parte come stratega – quindi in qualità di esperto di guerra – e che anche i suoi contemporanei avevano vissuto.

I criteri che egli adottò per lo studio della tradizione orale erano, però, più severi di quelli di Erodoto: lo storico doveva essere stato presente ai fatti o aver vagliato i rapporti di coloro che erano stati presenti. Perfino i discorsi seguivano il criterio della verosimiglianza.

La tentazione di raccogliere tradizioni non bene controllate era contenuta. Tucidide decide di registrare versioni differenti molto meno di Erodoto, e molto di rado, indica la fonte della sua versione, assumendosi la responsabilità di scegliere per il lettore la versione che gli pare più fondata.

Il suo – seppur non esente da critiche – fu il metodo che fece scuola e la sua storia politico/militare (che poco spazio lasciava alla geografia e all’antropologia in generale) fu il modello di storia a lungo prediletto dalla storiografia, sino all’umanesimo.

La storia per Tucidide…

La storia, per Tucidide, è studiabile, accessibile, prevedibile nella misura in cui lo è la natura umana, di cui essa è manifestazione. Per Tucidide, infatti, l’accadere storico non è regolato da leggi soprannaturali, ma da leggi immanenti: non esiste nessun fattore metafisico cui ascrivere il significato della storia.

Quando parla di τúχη, Tucidide non allude ad un’entità divina, ma alla “casualità”, a ciò che è esterno alla volontà umana e sfugge al suo controllo. Dunque la storia così intesa, in quanto regolata da leggi costanti, è “maestra di vita”, ktêma es aieí, “un possesso per sempre”; ma intendere tale definizione, come spesso si fa, in senso morale (cfr. Cicerone) o in modo letterale (cfr. Polibio), potrebbe sminuire il discorso tucidideo, che è invece più complesso e sfumato.

Nella storia i fatti non si ripetono mai: non è certo in questo senso che la storia è “maestra di vita“. Neppure scendere dal livello superficiale degli eventi a quello delle cause è sufficiente (sebbene sia poi indispensabile), perché nemmeno le cause si ripetono in modo universale e costante: solo ciò che si ripete in maniera costante e universale è studiabile scientificamente.

I principi della medicina applicati all’indagine storiografica

Tucidide conosce i princìpi dell’unica vera scienza esistente nel mondo greco prima del periodo ellenistico: la medicina e, intimamente influenzato dal metodo “razionalista” del grande medico Ippocrate di Cos (V a.C.), ne applica così i princìpi all’indagine storica.

I fatti non sono che sintomi, segni superficiali (tekméria e semeîa) di una crisi che ha radici più profonde (la “malattia”): essi vanno osservati di persona (autopsía) e ricostruiti, poi, con la massima precisione ed attendibilità possibile (akribía) per poterne comprendere innanzitutto le cause.

A tale scopo è rivolto l’uso dei discorsi diretti tucididei (più di 40 nella sua opera), così spesso criticati e equivocati perché storicamente inattendibili, apparentemente in contraddizione col principio dell’akribía, che invece costituiscono proprio il mezzo privilegiato attraverso cui si realizza il metodo dell’autore.

I logoi, infatti, non sono “veri” in senso storico, ma “verosimili”, cioè costruiti ad arte proprio allo scopo di fare luce sulle cause profonde dell’azione di un personaggio, anche a costo di prescindere delle reali affermazioni del personaggio stesso: questo perché le affermazioni realmente fatte dagli uomini politici sono spesso costruite ad hoc per un pretesto e non servono affatto a chiarire le motivazioni profonde delle loro azioni, che anzi per lo più vengono taciute (cfr. il celebre dialogo tucidideo fra i Melii e gli Ateniesi).

Il metodo storiografico scientifico.

Tucidide è considerato il geniale fondatore del metodo storiografico “scientifico” e dà l’impressione di una oggettività e di un rigore molto maggiori di quelli erodotei. In realtà occorre osservare che egli, a differenza di Erodoto, ci esclude sapientemente dal suo lavoro di selezione e vaglio critico delle fonti, rifiuta il relata refero erodoteo, ma – fra tante – sceglie la versione che gli pare storicamente più fondata, rendendo impossibile qualsiasi controllo sull’attendibilità dei dati che ci presenta.

Nei capitoli metodologici (I, 22-23), Tucidide non si pronuncia mai contro il suo predecessore di genere, Erodoto di Alicarnasso, ma sono chiari i riferimenti a quest’ultimo nelle sue frecciatine di metodo.

Egli rilega, infatti, l’opera erodotea a pezzo da agone e da competizione, un diletto momentaneo per il pubblico che la ascoltava nelle performances per le quali lo storico di Alicarnasso era divenuto famoso e per le quali fu ben remunerato dalla città di Atene; Tucidide la contrappone alla sua storia, “la più grave e la più degna di memoria tra le precedenti” e composta come un possesso per sempre, utile ai politici e ai cittadini.

La veridicità è la garanzia che l’uomo possa utilizzare la sua opera come ktêma es aieí, cioè come “manuale” di lettura universale della storia dell’uomo tra passato, presente e futuro. Di conseguenza, questo fine, che in Tucidide è una necessità ineludibile, evita e allontana qualsiasi elemento favoloso in nome della verità. La natura umana che assume nell’opera un ruolo centrale, è un fattore immutabile che influenza la storia.

[1] E le cose che ciascuno (oratore) pronunciò con il discorso sia mentre stavano entrando in guerra sia quando erano in essa, è difficile per me ricordarsi l’esattenza/precisione (akrίbeian) delle cose che furono dette, che io stesso ho ascoltato e per coloro che me li hanno annunciate prendendole da un’altra fonte; ma come mi sembrava che ciascuno avrebbe potuto dire le cose più appropriate per ogni situazione, io che mi tenevo il più vicino possibile al senso generale (tês xumpáses gnómes) delle cose che veramente furono dette, così li ho dette. [2] Invece i fatti che sono accaduti nella guerra non ho ritenuto di raccontarle avendo avuto informazioni dal primo che capitava (ek toû paratuchóntos), né come a me sembrava, ma su quelli a cui io ho partecipato e (appresi) da altri, per quanto possibile ho fatto un esame su ciascuno con accuratezza.  [3] sono stati appurati con fatica, perché coloro che erano presenti a ciascuno fatto non dicevano le stesse cose riguardo a questo, ma ognuno parlava secondo simpatia o secondo memoria dell’una o dell’altra parte. [4] E l’assenza di favoloso li farà apparire all’ascolto forse meno gradevoli: ma quanti vorranno scoprire la verità degli avvenimenti passati e di quelli che accadranno in futuro secondo la natura umana (tò anthrópinon), di tali o di simili, e giudicarla utile, sarà sufficiente. È stata composta come possesso per sempre (ktêma es aieí) piuttosto che come un pezzo per competizione da ascoltare sul momento.  (I, 22, 1-4)

 

Prodotto dell’Atene del V secolo

Per concludere con Claude Mossè (1925), importante storica e scrittrice francese: “Tucidide come i grandi poeti tragici, resta un prodotto dell’Atene del V secolo che non avrà successori né nel mondo antico né dopo.

Maria Francesca Cadeddu