Il Cristianesimo è una religione del libro?

Quale ruolo ricopre la Scrittura nella fede cristiana? Quando è stato fissato il canone? Il cristianesimo può essere definito una religione del libro?

Spesso, nel confronto tra i tre monoteismi, il cristianesimo viene annoverato tra le “religioni del libro”, insieme ad ebraismo ed islamismo. Si tratta di una definizione tanto diffusa quanto inappropriata. La fede cristiana ha infatti avuto un’origine particolare, tanto da mettere in discussione perfino l’idea di religione. Nonostante il ruolo centrale della Sacra Scrittura, la fede cristiana non è nata dal “libro”, che è anzi un suo prodotto.

religione
Abramo

Una religione da Dio all’uomo

L’etimologia della parola religione è dubbia, ma nel significato tradizionale essa indica quelle credenze frutto dello sforzo dell’uomo di raggiungere la divinità. In questo senso, il concetto di religione si applica perfettamente all’Islam, dove Maometto riceve la rivelazione in seguito ad una inquieta ricerca del divino.

Cristianesimo ed ebraismo, evidentemente, rientrano a fatica in questa categoria perché – da Abramo in poi – l’iniziativa è sempre di Dio e non dell’umanità.

Una religione del libro?

Ebraismo e cristianesimo hanno dato però luogo a formazioni storiche molto simili a quelle delle religione classiche. Quello che è certo, almeno per il Cristianesimo, è l’inadeguatezza della definizione di “religione del libro”. Ancora una volta, può essere utile il confronto con la fede islamica.

Gesù Cristo – rispetto a Maometto – non ha lasciato nulla di scritto né ha designato qualcuno a scrivere di lui. Gli apostoli non andavano predicando un libro di Gesù, ma un annuncio di salvezza trasmesso oralmente tramite la tradizione.

Il Kerygma, infatti, non è centrato su un testo sacro ma sulla persona di Gesù Cristo. Per questo la Bibbia e il Corano sono due libri del tutto diversi, in quanto il secondo mostra di essere già consapevole del suo ruolo. Mentre nessun libro e nessuna lettera del Nuovo Testamento si presenta come un testo sacro.

Una Scrittura apertareligione

Per intenderci, san Paolo non poteva sapere che le sue lettere sarebbero entrate nel canone biblico e le scriveva per altri motivi: la direzione delle comunità da lui fondate. Per questo san Paolo non dice mai di stare scrivendo il Nuovo Testamento, così come i Vangeli non sembrano interessati a stabilire un canone.

Nessun testo, in quello che oggi è il Nuovo Testamento, ci dice quanti e quali debbano essere i vangeli e i libri del canone. Cioè il Vangelo di Matteo non ci garantisce per quello di Marco, e le Lettere di Paolo non ci dicono se sono ispirate quelle di Pietro.

Quindi, pur costituendo un insieme di scritti, nel Nuovo Testamento non si parla di canone. E quando si parla di Scrittura, gli autori neotestamentari si riferiscono sempre e solo all’Antico Testamento. Tutto il problema del canone si sarebbe posto solo in seguito, nell’era post-apostolica.

La Scrittura e la Parola di Dio

La Sacra Scrittura infatti, per la fede cristiana, è Parola di Dio, ma in che senso? Non essendo il prodotto di una dettatura ma di un’ispirazione, essa sottintende una mediazione umana. Quindi la Scrittura esige di essere interpretata, non è direttamente Parola di Dio, ma lo diventa nella Chiesa. Si può dire quindi che nella teologia cattolica la Parola precede, accompagna e supera la Scrittura.

La nascita del canone: da messaggio orale a religione del libro

Se il messaggio cristiano è stato predicato in forma prevalentemente orale, come si è giunti al Nuovo Testamento? Dopo la morte degli apostoli, i cristiani sentirono il bisogno di fissare il messaggio cristiano in un testo scritto e – in maniera spontanea – si rivolsero a quegli scritti nati nelle cerchie apostoliche. Ovvero ai Vangeli e alle lettere apostoliche che andarono a costituire il nucleo fondamentale del canone neotestamentario.

Non si trattò certo di un processo lineare, inevitabilmente si vennero a formare molti canoni differenti tra loro, finché non intervenne il Magistero della Chiesa a fissare il canone definitivo che è giunto fino a noi.

Ettore Barra